La classe politica francese appare completamente inadeguata a far fronte alla situazione a tre settimane dall’insurrezione delle banlieu – periferie – di Parigi e di tutta la Francia. Il governo di destra, nella persona del ministro degli interni Nikolas Sarkozy, fa il duro: tot arresti, tot espulsi, e tiene alta la tensione provocando gli insorti. Esiste un problema di ordine pubblico ma Sarkozy si comporta come se solo di quello si tratti. L’ultradestra denuncia un inesistente complotto islamista. Le sinistre tergiversano. Evocano misure sociali – incontrandosi inevitabilmente al centro col primo ministro Dominique de Villepin – ma non mettono in dubbio il sistema consumista e competitivo che ha causato la rivolta.
Tutta insieme è una classe politica prigioniera degli schemi politici del tardo ‘900, quando ancora poteva vivere nell’illusione che il neoliberismo potesse funzionare. Fu allora che la sinistra politica abdicò definitivamente dal suo ruolo storico di progettare e proporre il cambiamento e si fece elemento di conservazione. La manipolazione del termine “riformismo” traghettata dal socialismo al servizio del conservatorismo più osservante è una foglia di fico che non regge più. Ancora al principio degli anni ’80 il programma del governo socialista francese era distinguibile da un programma di destra. Oggi destre e sinistre politiche appartengono ad un’aristocrazia decadente – la stessa che si riunisce nei vertici europei o nei G8 – che sembra vivere a Versailles alla vigilia del 14 luglio 1789.
Ma fuori del Palazzo reale, anche se la sommossa attuale dovesse spegnersi, il mondo esplode. Le città stesse non rispecchiano più e non sono più adeguate alla società atomizzata dal sistema di consumo e dai dogmi neoliberali che prescindono da qualunque tipo di redistribuzione, economica, territoriale, geopolitica. Le nostre città nei secoli sono cresciute per circoli concentrici. Al centro stanno i veri ricchi ed i simboli del potere e del successo. Nel municipio centrale di Londra risiedono meno di mille persone e paradossalmente sono quasi tutti senza tetto. Nei quartieri che li circondano stanno i borghesi. In epoca fordista – sembra ieri – il terzo e il quarto anello erano la cintura industriale. Una cintura normalmente rossa e il partito, come il sindacato, erano elementi di coesione sociali oggi evaporati. Lì l’immigrato, francese o straniero, riusciva a disimpegnarsi in un processo di promozione sociale. È il lavoro il vero ascensore sociale che nell’epoca neoliberale non funziona più. Oggi si prescinde da qualsiasi politica che protegga il lavoro salariato e si ideologizzano i tagli selvaggi allo stato sociale che penalizzano prima di tutto le periferie. La disoccupazione giovanile supera il 50% e i pochi che lavorano sono precari. Il migliore dei mondi possibili sarebbe una vita da Pony Express? Anche se molti sono immigrati di terza o quarta generazione, tutti sono francesi, parlano la lingua e hanno conseguito titoli nelle scuole francesi; ma fino a lì arriva l’integrazione.
I loro genitori hanno pagato prezzi altissimi ma hanno ottenuto lavoro e cittadinanza. Nel 1960 Alain Delon, in “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti, è un giovane immigrato che dalla Puglia si trasferisce nella periferia di Milano: “Io la voglio l’automobile – dice Delon nel film – ma prima ho bisogno di desiderare tutto quello che viene prima dell’automobile. Cominciando da un lavoro degno e sicuro”. Non è un caso che il dramma viscontiano si concluda con un segno di speranza e che questo segno di speranza sia l’ingresso di centinaia di tute blu nella fabbrica dell’Alfa Romeo. Oggi il citatissimo “La Haine” (1995) di Mathieu Kassovitz, può essere considerato un “Rocco e i suoi fratelli” rivisitato trentacinque anni dopo, ma non può inserire nessun segno di speranza nella narrazione.
Pugliesi o algerini, Italia o Francia, cambia poco nella condizione d’immigrato, ma cambia radicalmente il sistema economico con il quale l'immigrato si confronta. Quello attuale è inefficiente ma nessun politico ha il coraggio di affermare che il neoliberismo – semplicemente – non funziona. E senza la dialettica politica che offra la prospettiva di un cambio radicale, non ci sono speranze. Se il lavoro è una merce, il Lavoro, degno e stabile, quello che produce integrazione, non è incluso tra i beni di consumo alla portata dei giovani delle periferie francesi. Gli insorti sanno che non c’è nessun cammino, ascensore o autobus che colleghi la loro periferia con il paese. Non sono loro ad avere fatto i blocchi stradali, è il neoliberismo che ha bloccato le strade per loro. Così decine di migliaia di giovani esclusi hanno passato le ultime due settimane bruciando tutto.
Le bande non tentano neanche di uscire dai loro ghetti. I casseurs – demolitori in francese – non hanno neanche provato ad esportare la violenza verso il centro. Non c’è – per ora – una Bastiglia da espugnare e neanche negozi di lusso da saccheggiare. È il suicidio sociale di una generazione che brucia le auto del proprio quartiere, gli asili dei fratelli minori, le palestre che frequentano, gli autobus che li collegano al mondo esterno. Se diventare cittadini significa uscire dal ghetto, i ragazzi, nella loro violenza nichilista, non credono più che diventeranno cittadini. E allora restano lì, bruciando la periferia dove sono nati, senza speranza né futuro.
Se la colpa della fine della ragion d’essere delle periferie – come risultante della crisi della città post-industriale – non sono tutte di Sarkozy, la rivolta è il fallimento della società sarkosiana. Questa guarda al modello anglosassone, imponendolo sotto il pugno di ferro di “legge e ordine” mettendo nel mirino esclusivamente due categorie: giovani e immigrati. Il “destro” Sarkozy, che nell’ultima finanziaria ha tagliato altri 300 milioni di Euro alle banlieu, non inventa nulla. Il suo modello è il “sinistro” Tony Blair. Questo da due anni ha imposto il coprifuoco per i minori che commettono crimini così gravi come il vestire una felpa col cappuccio e non si arrende alla sconfitta parlamentare e pretende di imporre il fermo di polizia fino a 90 giorni senza incriminazione alcuna. Sarebbe una misura che sospenderebbe di fatto l’Habeas Corpus in Gran Bretagna, uguagliando quel paese all’Iran o alla Cina.
“Legge e ordine” è l’unico slogan che può propugnare un governante europeo per continuare a tenere in piedi un sistema inefficiente come quello neoliberale che produce esclusi con la stessa rapidità con la quale la fabbrica fordista produceva automobili. E impone – prova ad imporre- “Legge e ordine”, nel tentativo di riprodurre il sistema liberale statunitense spacciandolo come se questo fosse davvero desiderabile e non fosse soprattutto inquinante, producendo sproporzionatamente più esclusione e miseria di quanta ricchezza riuscisse a creare. Per ogni ricco (con un reddito superiore alle 50.000 £ l'anno, circa 75.000 €) "creato" negli anni '80 da Margareth Thathcher, furono contemporaneamente prodotti dieci poveri (persone che passarono ad avere un reddito inferiore alle 5.000 £ l'anno). Oltretutto gli anni '80 sono lontani e gli europei continentali hanno aperto i loro mercati nell’illusione di essere più forti di quello che poi hanno dimostrato di essere. Sono finiti invece in un’impossibile competizione con la Cina che produce ancora più esclusi e più precarietà. A meno di non accettare che la violenza parigina si faccia endemica, la soluzione meno traumatica – se ce n’è una – è ripudiare un sistema regolato dalla competizione per sostituirlo con uno fondato sulla cooperazione.
La tentazione di accettare un sistema di esclusione endemicamente violento è forte. Gli Stati Uniti hanno tre milioni di carcerati e funzionano benissimo, potrebbe rispondere Sarkozy e troverebbe il favore degli elettori di ultradestra di Jean-Marie Le Pen. Eppure Parigi, più della statua della libertà, è l’idea stessa dei valori occidentali condivisi. Parigi, con la sua “libertà, uguaglianza, fraternità” è la Summa Theologica della presunta superiorità e desiderabilità di questi valori. Non si può continuare a bruciare mille auto per notte e non si può zittire la rabbia di una generazione di esclusi solo con “legge e ordine”. Qualcosa succederà.
Sorgeranno dirigenti che si libereranno dei dogmi neoliberali. Potrebbero essere odiosi e pericolosissimi: un Pierre Laval, un Hitler che interpreti la paura delle classi medie e degli impoveriti e lo sintetizzi in odio. O un Osama Bin Laden -se esiste- che porti davvero allo scontro per religioni. Come Bush e Saddam sarebbero due facce della stessa medaglia e porterebbero ad una guerra civile probabilmente europea.
È dovere di tutti evitarlo ma all’oggi sembra meno probabile che nasca un altro Gandhi. Sarebbe desiderabile che, come nel 1930, un Gandhi conduca i ragazzi della banlieu in una nuova Marcia del sale contro la definitiva anglosassonizzazione della società e verso una nuova idea di convivenza e di città. Allo stesso modo è difficile che la sinistra politica possa riciclarsi e tornare a rappresentare quegli esclusi che per natura dovrebbe impersonare.
Sarebbe necessario un nuovo Antonio Gramsci con una rinnovata lucidità di analisi. Ma senza più operai e con i contadini oggettivamente a destra del quadro politico, riuscirebbe un nuovo intellettuale gramsciano a trovare una sintesi che trasformi in egemonia i diritti di questo lumpenproletariato disperato? Resta la possibilità che sorga un nuovo Malcom X. Parlerebbe lo stesso linguaggio dei ragazzi delle banlieu e sintetizzerebbe la rabbia di una generazione in un progetto identitario. Ma chissà poi che strada prenderebbe.
Fonte: http://www.zmag.org/italy/carotenuto-cercandomalcomx.htm