La coperta corta del caffé equo e solidale di Nestlé
di segreteria@agices.org - 20/11/2005
Fonte: fareverde.it
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Da Transfair Italia riceviamo e volentieri pubblichiamo un comunicato sulla recente decisione di concedere il marchio equo e solidale in Inghilterra ad una linea di caffè targata Nestlè. Una decisione che lascia dubbi profondi anche a Fare Verde (favorevole al boicottaggio di Nestlè da molti anni). Pare francamente infelice la scelta di limitarsi a verificare su una linea di prodotti il rispetto dei criteri equi e solidali (con quello che vuol dire in termini etici tutto ciò)e dimenticarsi che Nestlè ha, a tuttoggi, una pendenza con l Organizzzione mondiale della Sanità per il caso del latte in polvere, Unicef boicotta tutti i suoi prodotti e permangono, come leggerete, molti interrogativi sulla condotta della multinazionale elvetica. "Parlare di Commercio Equo e Solidale oggi non significa richiamarsi a generali appelli alla solidarietà, ma vuol dire focalizzare l’attenzione sugli squilibri economici e sociali che caratterizzano le periferie del mondo, quelle delle nostre città come quelle di continenti lontani. In particolare vuol dire ricercarne le cause primarie ed agire a livello politico, economico e sociale per rimuoverle. Un intervento efficace non si può e non si deve basare su atteggiamenti autoreferenziali, in cui le organizzazioni di commercio equo guardano solamente a se stesse, ma deve saper intercettare le esigenze ed i bisogni di una società in continuo cambiamento, che parla di consumatori sempre più etici, di imprese che investono per riconvertire in maniera responsabile, di istituzioni che sempre di più sostengono esperienze pulite e sostenibili. Questo è il contesto in cui come organizzazioni ci troviamo ad operare e questi sono gli interlocutori con i quali vogliamo, di necessità, confrontarci; la forza di un’esperienza come il Commercio Equo e Solidale sta proprio in questo: condizionare il proprio intorno, inducendo comportamenti responsabili, se non addirittura etici, nelle imprese e nei consumatori. Tutto ciò non può però impedirci di guardare al mondo reale in cui viviamo, che parla ancora di aumento delle diseguaglianze, di crescente disagio sociale, di risorse naturali in esaurimento. E di imprese che, per la stragrande maggioranza dei casi, ricercano un profitto senza regole e senza limiti, in cui le persone e l’ambiente diventano risorse da sfruttare quando occorre, le comunità mercati da conquistare indipendentemente dalle conseguenze, i sindacati ingombranti cascami di un passato che non vuol passare. Comunicazione, marketing, ricerca di consenso sociale. Come in un grande mercato le imprese spendono fortune per rifarsi il trucco, per comunicare ciò che è compatibile all’aumento di profitti e dividendi, omettendo l’inopportuno e censurando il condannabile. Questo è il mondo con cui abbiamo a che fare, non l’ingenuo paese delle meraviglie, ma il più concreto territorio degli affari e dell’interesse personale, dove parole come “etica”, “giustizia”, “solidarietà” sono ottimi grimaldelli per aprire cuori e, quindi, portafogli. Se questo è vero, la certificazione di una linea di caffè della multinazionale Nestlé come equa e solidale presenta enormi contraddizioni. Ha l’apparenza di un vero e proprio regalo fatto alle politiche di marketing di una multinazionale che secondo il rapporto annuale della ICFTU, la Confederazione internazionale dei sindacati liberi: nell’aprile 2003 in El Salvador chiuse una sua fabbrica, rifiutando di negoziare i termini della chiusura col sindacato locale, SETNESSA (Sindicato de Empresa de Trabajadores Nestlé S.A.). Solo grazie ad una campagna internazionale di solidarietà si è giunti ad un accordo fra sindacato ed azienda che rispettava le richieste dei lavoratori. In Corea nel 2003 fu accusata dalla Commissione per le relazioni sindacali della provincia di Chungbook. Una dichiarazione della commissione afferma che la Nestlé “ha portato avanti ogni sorta di intimidazioni e intromissioni” nella disputa con il sindacato locale, Nestlé Korea Labour Union. La disputa è nata per il trasferimento forzato di 44 lavoratori ad un nuovo settore, che preludeva ad un licenziamento. Le stesse lotte sindacali in Colombia nel biennio 2003-2005 del sindacato Sinaltrainal, così come quelle dell’Union of Filipino Employees-Drug and Food Alliance (UFE-DFA), il sindacato dei lavoratori della fabbrica della Nestlè di Cabuyao, Laguna, indicano un’alta conflittualità con la multinazionale svizzera, in tema di diritti del lavoro e rapporti sindacali. Il 14 luglio 2005, l’International Labor Rights Fund ha depositato presso la Corte federale di Los Angeles una denuncia contro tre compagnie che importano cacao dalle coltivazioni della Costa d’Avorio, maggior produttore mondiale, accusandole di traffico di bambini, torture e lavoro forzato. Le tre società sono Nestlé, Archer Daniels Midland (ADM) e Cargill. La class action è stata avviata da uno studio legale dell’Alabama, “Wiggins, Childs, Quinn & Pantazis”, per conto di tre bambini, in nome di tutti quelli del Mali coinvolti dal 1996 ad oggi, calcolati in migliaia. Da diversi anni Nestlé è accusata di violare il Codice internazionale Oms/Unicef sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. A dispetto di quanto previsto dal Codice internazionale, promuove i propri prodotti principalmente attraverso il sistema sanitario e gli operatori sanitari dei vari paesi, attraverso forniture gratuite, incentivi per favorirne la prescrizione e la diffusione di materiale informativo fuorviante sull’alimentazione infantile, nonostante sia l’Oms e la stessa Unicef abbiano più volte indicato lo scorretto utilizzo dei sostituti del latte materno come causa di morti infantili nei paesi del Sud del M ondo. Secondo Dijbril Diallo, consigliere speciale dell’Unicef: -la Nestlé spaccia per \"aiuti\" le sue scorrette pratiche di marketing-. Entrando più nello specifico della questione caffè equo e solidale Nestlé afferma che “D\'altro canto […] se da un lato ai coltivatori di caffè si pagassero su vasta scala i prezzi del commercio equo e solidale, superiori a quelli di mercato, si incoraggerebbero quegli stessi coltivatori ad aumentare la produzione, con un ulteriore effetto di distorsione sull\'attuale squilibrio tra domanda e offerta, e dunque di abbattimento dei prezzi del caffè verde” (Nestlé, Novembre 2003). Insomma, equo e solidale va bene, purchè i bassi prezzi pagati ai produttori non si tocchino. Proprio per questo, per le crescenti perplessità che comportamenti non chiari o dichiaratamente illegali suscitano, come organizzazioni riteniamo assolutamente impropria la concessione della certificazione equa e solidale a Nestlé, concessa dalla Fair Trade Foundation Uk. Per questo chiediamo: - a tutte le esperienze di marchio europee e mondiali, di impedire la concessione del marchio Fairtrade alla linea di caffè in questione; - a tutte le organizzazioni della società civile europea e mondiale, di fare pressione sulla Fair Labelling Organization (Flo) per aprire una discussione sui criteri utilizzati per la certificazione delle imprese multinazionali; - alle organizzazioni del Commercio Equo e Solidale europee e mondiali, di chiedere una presa di posizione pubblica ad Efta (European Fair Trade Association), Ifat (International Federation of Alternative Trade), News (European Network of World Shop) sul rapporto tra Commercio Equo e Commercio convenzionale; - a tutte le organizzazioni della società civile internazionale, ai movimenti sociali, di appoggiare e sostenere tutte le iniziative sviluppate dalla rete Ibfan; - alle catene della Grande Distribuzione Organizzata, in particolare quelle catene certificate SA8000, di chiedere conto dei comportamenti in tema di diritti del lavoro, rispetto delle convenzioni internazionali e rispetto dell’ambiente da parte delle imprese fornitrici. Agices (Associazione Generale Italiana Commercio Equo e Solidale) Associazione Botteghe del Mondo Italia Fairtrade TransFair Italia per informazioni: segreteria@agices.org; segreteria@assobdm.it;stampa@transfair.it |