Le grandi verità della storia “minore”
di Alberto Figliuzzi - 24/02/2007
La “grande” storia, quella degli ampi panorami d’insieme, effettuata su larga scala, ha sempre avuto bisogno della “piccola” storia, dedicata ai dettagli degli scenari locali, nei quali gli indirizzi generali di ordine politico, economico, culturale di una società in un determinato tempo trovano il loro concreto terreno di attuazione. E’ tale storia “minore” che va ad avvalorare, ma talora anche a smentire, la rappresentazione offerta dalla storia “maggiore”, specie quando questa, per ragioni che stanno al di là della logica di una ricerca disinteressata e mentalmente libera, si svolge entro giudizi precostituiti e addirittura, in certi casi, imposti per legge.
Succede questo, ad esempio, considerando il fascismo, rispetto al quale, col passare dei decenni, si fa sempre più pronunciata la discrepanza tra la valutazione “politicamente corretta”, che ne asserisce l’intrinseca negatività, e invece la sempre più diffusa percezione della sua feconda complessità, della grande originalità propositiva, della straordinaria dedizione ai bisogni della comunità, dell’impressionante mole di realizzazioni, in ogni campo e in ogni parte del territorio nazionale; il che riceve dovizia di prove appunto dai tanti studi che, a livello locale, con sempre maggiore frequenza vengono condotti col proposito di conservare la memoria, insidiata dalle uniformatrici dinamiche globalistiche del presente. Tanto più significative, poi, queste indagini, non gravate da pregiudizi ideologici, quando dovute ad autori dalla formazione culturale del tutto estranea al fascismo e ai successivi indirizzi politici ad esso idealmente affini.
E’ il caso di Alberto Fico, un giovane intellettuale calabrese, impegnato, con encomiabile fervore, oltre che nella sua attività di docente e in una seria e scientifica riconsiderazione della storia remota della sua terra (Petilia Policastro, nella parte silana del Marchesato crotonese), anche nella riscoperta delle vicende recenti di questi stessi luoghi, lontane o addirittura ignote, nell’animo smarrito e senza radici delle nuove generazioni, forse più di quanto lo siano quelle relative all’antichità greco-romana o bizantina.
Di recente Fico ha dato una ulteriore prova della sua vocazione pubblicando un libro dedicato al conterraneo Titta Madia, il grande avvocato ed oratore (ma anche giornalista, scrittore, parlamentare), la cui brillante vita professionale, culturale e politica in ambito nazionale si intreccia con la parabola storica del fascismo, nonché, in ambito locale, con un periodo particolarmente interessante e per tanti versi felice del suo paese d’origine. Il volume, dopo le belle pagine dedicate alla biografia dell’Uomo (che presentano il combattente, mutilato e decorato, della “grande guerra”, quindi il giornalista amico di Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio, lo scrittore e romanziere di grande potenza espressiva, il politico coerente ed equilibrato dal 1921 al 1957, il maestro di diritto e di eloquenza) trova la sua più originale ed efficace realizzazione per come riesce a mostrare la consapevole sintesi, che la vita di Titta Madia seppe attuare, tra la grande passione ideale mai tradita e la capacità di concretezza; a dimostrazione di un fascismo che, anche quando retorico e altisonante, non dimenticava mai versatilità e pragmatismo. Evidenziano ciò, selezionati da Fico, eloquenti passi, densi di dottrina, dedicati all’idea fascista, come pure la dettagliata esposizione delle costanti iniziative, dall’alto valore sociale, messe in atto da Madia a favore della sua terra. In particolare, egli si prodigò, nel 1924, perché la zona di Sila comprendente territori di Policastro e dei comuni contigui fosse interessata dalla attività industriale della Società Forestale Meridionale (So.Fo.Me.), che, subito dopo, con uno sfruttamento del bosco oculato ed ecologico, riuscì a dare lavoro a migliaia di persone anche settentrionali, bloccando ed anzi invertendo in tal modo, per la prima ed unica volta nella storia di quei luoghi, il fenomeno dell’emigrazione. In relazione a ciò, la creazione di case, di una scuola, di moderni centri di aggregazione e di svago per i lavoratori ed i cittadini, nonché, come indotto economico, il potenziamento e la valorizzazione di innumerevoli attività artigianali. In seguito alla sconfitta e all’arrivo degli americani, come rievoca Fico, le nuove amministrazioni “democratiche” pongono fine all’accordo con la società forestale, giungendo a smantellare attività residue e infrastrutture dall’alto valore sociale e mettendo sul lastrico migliaia di famiglie. Né, ormai, può fare niente Titta Madia, sottoposto a confisca dei beni, cancellato dall’albo degli avvocati e radiato persino dall’associazione dei mutilati di guerra, sebbene in seguito prosciolto da accuse e procedimenti.
Tutto ciò, e molto altro, dice il libro di Alberto Fico, che si propone, quindi, come esempio di coraggio ed onestà intellettuale, contro l’inerzia culturale e morale che, a distanza di più di sessant’anni, persiste in una visione manichea dei fatti e degli uomini.