La "pecora nera" difesa da Chomsky
di redazionale - 24/02/2007
Scienziato afroamericano controle staminali embrionali, il Mit gli nega la cattedra, Chomsky lo difende
Dal 6 febbraio scorso il professor James
L. Sherley, biologo molecolare di fama
internazionale e studioso di cellule staminali
adulte presso il Massachusetts institute
of technology, ha cominciato uno sciopero
della fame a oltranza. Figlio di un pastore
battista, laureato ad Harvard, afroamericano
e conservatore, Sherley si dichiara “pronto
a morire” per protestare contro la decisione
del Senato accademico del Mit, che gli
ha negato la cattedra di professore ordinario
nel dipartimento dove lavora dal 1998 come
associato. Quella bocciatura non è stata
determinata da carenza di titoli, dice Sherley,
ma nasce da un doppio pregiudizio, uno
più inconfessabile dell’altro. Il primo sarebbe
di origine razziale (Sherley è l’unico ricercatore
nero nel dipartimento di Bioingegneria
del Mit). Il secondo è, con ogni probabilità,
legato alle sue posizioni fuori dal
coro in tema di bioetica. Sherley, infatti, non
ha mai fatto mistero di considerare moralmente
inaccettabile l’uso di staminali embrionali
a fini di ricerca, e inoltre ha più volte
sottolineato, senza troppi complimenti,
come quel filone di studi sia in realtà un binario
morto. Sul Boston Globe del 12 giugno
scorso, per esempio, ha scritto che la ricerca
sulle staminali embrionali darà frutti e
produrrà terapie “solo quando i porci metteranno
le ali”. I suoi colleghi impegnati ad
accaparrarsi fondi per gli studi sulla clonazione
terapeutica gli rimproverano anche di
aver attivamente partecipato, nello scorso
autunno, alla campagna in Missouri contro
lo stanziamento di fondi pubblici per quel filone
di ricerca (il relativo referendum, svoltosi
a novembre, è stato poi vinto di misura
dai fautori della clonazione terapeutica).
Santuari intoccabili e ricchi finanziamenti
Per ora il conservatore Sherley ha incassato
la – mediaticamente assai rilevante – solidarietà
del super-radical Noam Chomsky,
professore di Linguistica al Mit, che ha promosso
una petizione tra i docenti perché siano
verificate senza indugio le infamanti “accuse
di intolleranza e razzismo” mosse dal ricercatore
afroamericano nei confronti dell’ateneo.
Questa petizione l’hanno firmata in
molti, ma l’impressione è che il vero Moloch
offeso da Sherley sia l’intangibilità dei santuari
scientifici. Chi gli perdonerà la grande
franchezza con cui in questi anni, per giunta
facendo ricerca ai massimi livelli, ha denunciato
la “disinformazione fuorviante” attivata
dai sostenitori (scienziati o politici) delle
ricerche sugli embrioni umani? Ospite di un
convegno di studi sulle staminali (organizzato
nel settembre 2006, a Roma, dalla Pontificia
accademia pro vita e dalla Federazione
italiana dei medici cattolici) Sherley ha spiegato
come l’opinione pubblica americana
sia sempre più bombardata da bugie, spacciate
per dati di fatto, sulle potenzialità terapeutiche
delle staminali embrionali. “Che gli
embrioni umani non siano esseri umani – ha
detto in quell’occasione – è un’affermazione
insostenibile. Certo che sono esseri umani,
che cos’altro potrebbero essere?”. E’ inaccettabile,
secondo Sherley, che il dibattito
sull’uso delle staminali embrionali sia spacciato
come “le ragioni della religione contro
quelle della scienza, quando in realtà esistono
argomenti altamente scientifici contro la
ricerca sugli embrioni”. Un saggio di questi
argomenti Sherley lo ha dato proprio nel citato
articolo sul Boston Globe, nel quale
spiegava che le cellule embrionali totipotenti
sono, per questa loro caratteristica, inadatte
a “trattare le malattie in adulti o in
bambini”. A mano a mano che questa consapevolezza
si fa largo nella comunità scientifica,
e vista la persistente impossibilità di avviare
anche solo sperimentazioni cliniche
con le staminali embrionali, diventa indispensabile
trovare altri motivi per giustificare
l’oceano di fondi a esse dedicati. Così,
scrive Sherley, va prendendo piede una nuova
linea che promette, attraverso la clonazione
di embrioni, “la determinazione delle
cause delle malattie” delle singole persone.
Ma anche questo non è affatto plausibile,
scrive Sherley, e spiega perché. Nel 2003, il
gruppo di lavoro del Mit da lui guidato riuscì
a far moltiplicare cellule staminali provenienti
dal fegato di un topo e a farle comportare
come se fossero embrionali. Grazie alle
sue ricerche, nello scorso settembre gli è stato
assegnato l’importante Pioneer Award del
National institute of health (due milioni e
mezzo di dollari), come riconoscimento per il
suo “approccio innovativo ai problemi biomedici”.
Ma, evidentemente, chi viene meno
al patto tra chierici, anche nel libero mondo
della libera ricerca scientifica, paga pegno.
E a Sherley non rimane che giurare: “O ottengo
le dimissioni del rettore e vengo assunto
meritatamente al Mit, oppure morirò
di fame fuori dal suo ufficio”. (
nic.til.)