Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Tutte le strade portano ad un checkpoint

Tutte le strade portano ad un checkpoint

di Remi Kanazi - 27/02/2007


 
 
   

Potrebbe esserci stato un tempo in cui tutte le strade portavano a Roma, ma per il popolo palestinese, tutte le strade portano ad un checkpoint. Il più recente dei checkpoint con cui i Palestinesi hanno dovuto fare i conti non era presidiato da Israele, ma piuttosto da quell'apparente mediatore del processo di pace Israelo-Palestinese che è il Quartetto composto dagli Stati Uniti, la Russia, l'Unione Europea e le Nazioni Unite.

Il presidente Palestinese Mahmoud Abbas si è presentato a quest'ultimo checkpoint in rappresentanza del popolo Palestinese nella speranza di poter riuscire ad attraversarlo e di trovare dall'altra parte un'estensione del processo di pace. Per quale ragione ad Abbas non è stato permesso di attraversarlo? Perchè per la prima volta sin dai tempi della traversata di Yasser Arafat, si è rifiutato di lasciarsi alle spalle gli interessi del popolo Palestinese.

Abbas deve ancora imparare pienamente una lezione fondamentale: più l'animale da circo si dimostra intenzionato a saltare attraverso i cerchi del domatore, e più numerosi saranno i cerchi nei quali il domatore chiederà all'animale di saltare. Mettere da parte le necessità dei Palestinesi non equivale ad essere flessibili. Dimostrarsi accondiscendenti nei confronti delle richieste presentate dal Quartetto può anche permettere la conquista dei titoli di testa in Occidente, ma tutto questo non renderà la vita più facile per i 3.8 milioni di Palestinesi che vivono nei territori occupati. Gli 86 milioni di dollari che gli USA hanno previsto di trasferire ad Abbas non rappresenta altro se non una bustarella per indurre Abbas a vendere la propria gente. La formazione di un governo di unità nazionale composto da Hamas e da Fatah, conosciuto come l'accordo della Mecca, è stato il passo giusto per il popolo Palestinese e la giusta decisione da parte di Abbas.

Il primo obiettivo del governo di unità nazionale sarà quello di porre fine alla lotta di fazione fra Hamas e Fatah. Il secondo obiettivo sarà quello di porre fine alla politica della fame, che è stata imposta sul popolo Palestinese dall'Occidente e da Israele a seguito della travolgente elezione di Hamas nelle elezioni parlamentari dell'anno scorso. Il governo Palestinese non può funzionare propriamente se manca delle risorse necessarie a soddisfare i salari della popolazione Palestinese e delle loro malnutrite famiglie. Data la retorica Statunitense e il suo iniziale rigetto del governo di unità nazionale, non c'è ragione per credere che ci sarà un significativo miglioramento economico nei territori occupati. Quindi, il fermento continuerà ad essere lo status quo e, unità o meno, i territori occupati continueranno a cadere in pezzi.

Anche se Abbas viene visto come un'alternativa moderata ad Hamas, il Primo Ministro israeliano Ehud Olmert non lo ritiene degno di molta fiducia. Olmert vede Abbas come qualcuno a cui volgere la propria attenzione solo quando gli Stati Uniti ne hanno bisogno. Sfortunatamente, l'unica volta in cui la amministrazione Bush lo ritiene necessario allo scopo di ringiovanire il processo di pace Israelo-Palestinese è quando una fresca debacle incita un accresciuto dibattito sulla guerra in Iraq [come per esempio il formidabile fallimento di Bush nel vendere al popolo Americano un aumento nel numero delle truppe schierate in Iraq]. Gli altri partecipanti del Quartetto hanno fatto ben poco per esercitare la loro influenza sugli Stati Uniti o su Israele. Indipendentemente, il Primo Ministro Britannico, Tony Blair, ha asserito che esistono delle componenti “sensibili” in Hamas con i quali l'Occidente può discutere. Convincere gli Stati Uniti che in Hamas esistono forze moderate non è semplicemente un compito arduo; è una missione che Blair non ha alcuna intenzione di intraprendere. Questa mancanza di spina dorsale è un problema che plagia l'Unione Europea, le Nazioni Unite tanto quanto gli Stati Europei e quelli Arabi in generale.

Quest'ultima fiammata del processo di pace non è stata nient'altro se non la possibilità per la Segretaria di Stato Condoleeza Rice di farsi scattare qualche foto opportunistica e per riaffermare ufficialmente che i Palestinesi “non ricorreranno ai loro metodi terroristici”. Quello che ancora manca nei discorsi della Rice e di Olmert tanto quanto negli organi di stampa che hanno seguito gli eventi di questa settimana sono le responsabilità di Israele durante la prima fase della Roadmap. La fase uno della Roadmap richiede al popolo Palestinese il riconoscimento di Israele e la rinuncia alla violenza. Ma richiede anche ad Israele di congelare qualunque espanzione dei propri insediamenti, compresa la attività che è “necessaria” per la crescita naturale. Israele, tuttavia, ha fatto praticamente l'opposto di questo: ha accellerato l'attività degli insediamenti e si è rifiutata di smantellare i suoi avamposti illegali. Inoltre, anche dopo il drammatico calo della violenza Palestinese – e il marcato aumento della violenza Israeliana – Israele non ha fatto niente per migliorare le condizioni di movimento in tutta la Ciscgiordania e continua ad usare la punizione collettiva contro il popolo dei territori occupati.

Secondo la legge internazionale e innumerevoli risoluzioni delle Nazioni Unite, le condizioni della fase uno della Roadmap non sono un prerequisito legale per porre fine alla occupazione Israeliana. L'occupazione non è una struttura a cui Israele ha alcun diritto. Mettere fine alla occupazione non dipende dal riconoscimento ufficiale di Israele e del suo diritto ad esistere da parte dei Palestinesi, e non dipende neanche dalla rinuncia verbale del popolo Palestinese alla violenza.

Anche se si guardasse ai termini delle richieste del Quartetto, in linea di principio Hamas ha rispettato le tre condizioni che sono state presentate. Sin dal 2005, il gruppo si è attenuto ad un auto imposto cessate il fuoco e in diverse occasioni ha indicato le possibilità per raggiungere una hudna [armistizio] di lunga durata. Anche se Hamas non ha verbalmente “riconosciuto Israele”, ha ammesso l'esistenza di Israele e non ne ha cercato la distruzione, un punto che è rinforzato dalle loro richieste per un armistizio di lunga durata. Terzo, Hamas ha affermato ripetutamente di essere disposta a negoziare con Israele attraverso un interlocutore quale il Presidente Abbas. Entrambi i partiti, Hamas e Fatah, basano la propria piattaforma politica sulla soluzione dei due stati – la via che è riconosciuta a livello internazionale per porre fine al conflitto Israelo – Palestinese. Hamas non è la stessa organizzazione del 1988 e trattarla come se ancora lo fosse serve solo all'agenda di coloro che non hanno alcun interesse per la pace e preferiscono il dominio e la continuazione dello status quo.

L'assedio di un popolo ha il solo effetto di provocare l'erosione della moderazione, fomenta l'odio e trascina i Palestinesi e gli Israeliani indietro nel tempo, verso frangenti del passato alquanto oscuri. Questo potrebbe essere il piano della amministrazione Israeliana e sicuramente trova d'accordo molti nella amministrazione Statunitense, ma non fa niente per la pace, e si limita ad offuscare le prospettive di un futuro che deve essere fondato sulla fine della occupazione, la fine delle sanzioni economiche e l'inizio di una reconciliazione fondata sulla giustizia per entrambi i popoli.

Remi Kanazi è il co-fondatore del sito web di ambito politico www.PoeticInjustice.net. È l'editore del libro di poesie di prossima uscita, Poets for Palestine; per maggiori informazioni visitate Poetic Injustice. Gli si può scrivere all'indirizzo di posta elettronica - remroum@gmail.com.

Remi Kanazi
Fonte: http://www.dissidentvoice.org
Link: http://www.dissidentvoice.org/Feb07/Kanazi24.htm
24.02.2007

Traduzione a cura di Melektro per www.radioforpeace.info e www.comedonchisciotte.org