Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ambientalisti vecchi e nuovi

Ambientalisti vecchi e nuovi

di Nando de Angelis - 27/02/2007




“Non è scientificamente provato che bruceremo tutti fra poco a causa dell’effetto serra”, è quanto dichiarava l’ottimo presidente Usa, George W. Bush, qualche anno fa, salvo ricredersi negli ultimi tempi e divenire un novello paladino dell’ambiente. Non a torto, perché chi potrebbe provare scientificamente che ciò possa realmente accadere? E’ innegabile, però, che ci stiamo facendo seppellire sotto cumuli di rifiuti.
Diverse sono le proposte per invertire la rotta: c’è chi si danna pensando al modo in cui dovranno vivere le generazioni future; c’è chi conclude che è tutta colpa della tecnica, chi pensa che i guasti prodotti possano essere risolti proprio con la tecnica, ossia con un diverso modello di produzione e divisione dei beni. C’è anche chi ha risolto il problema semplicemente negandolo.
Durante i lavori di uno dei tanti convegni internazionali sull’ecologia ed il futuro del pianeta, un rappresentante Usa. affermò che era improponibile ed inconcepibile che il tenore di vita dei sani cittadini americani potesse essere intaccato e che, quant’anche si volesse mettere un limite alla produzione ed al consumismo, risulterebbe troppo costoso modificare l’attuale modello di sviluppo.
Qualche anno fa un certo Manne fece notare che per gli Stati Uniti sarebbe stato meno costoso premunirsi contro l’effetto serra, circondando il paese di dighe contro le inondazione, che evitare l’effetto serra in se stesso. In queste affermazioni c’è tutta la filosofia nordamericana.
Ma per noi europei non è così, tutta la nostra cultura, prima di Cartesio, è stata uno sforzo di corretto rapporto con una natura spesso dura ma mai vista come nemica. Per noi europei il mare, il sole, i monti non sono mero sfondo alle azioni umane ma valori in sé, esistenze in sé. I nordamericani, invece, sin dal primo momento hanno avuto il preciso scopo di sottomettere quella terra nuova, da buoni puritani quali erano e sono, ritenevano tale atto cieca obbedienza a Dio. Per il wasp (bianco, anglosassone, protestante) non esiste amore per la natura, anzi, c’è un’avversione metafisica per il bisonte e per l’Apache (letteralmente: “nemico dei campi coltivati”).
Apaches, Sioux, Navajos, Creeks e tutti gli altri popoli della nazione indiana non rientrano nell’american way of life, hanno il grave torto di non credere che possedere danaro sia il segno di una benedizione divina, quindi non hanno ragione di esistere. La vera causa del disastro ecologico è proprio in questa mentalità utilitaristica che la cultura moderna ha largamente diffuso, indicando come unico fine dell’uomo, secondo il più gretto calvinismo, il benessere materiale ed il piacere egoistico. E’ l’attuale modello di sviluppo, inquinante e rovinoso, con il suo produttivismo e consumismo ad ogni costo.
Sarebbe auspicabile che nascesse fra i popoli una nuova solidarietà, per la sicurezza di tutti e non per il benessere di pochi, che si convincessero che l’unica norma per un nuovo equilibrio economico è il rispetto della vita e la dignità dell’Uomo.
Dai paesi del Sud del mondo viene la richiesta di essere aiutati senza però arrecare ulteriori danni ecologici al proprio territorio imponendo modelli di sviluppo capitalistici. Sono in aumento quei popoli che, avendo perso tradizione e dignità, per ritrovare la libertà a loro negata decidono di lasciarsi morire, o di armarsi, per non vivere con i bianchi. Tra le tante specie di animali e piante in via di estinzione che gli ecologisti di tutte le tendenze vorrebbero proteggere dimenticano le minoranze umane che stanno man mano estinguendosi per volontà propria o per ragioni esterne. E’ il caso dei Lapponi (circa 50 mila all’estremo nord d’Europa), dei Pellerossa (2 milioni in tutto il nord America), degli Ainu (50 mila in Giappone), dei Guarani e Yanomani (20 mila in Brasile), dei Tuareg (circa 1 milione in tutto il Sahel), dei Masai (200 mila in Kenia e Tanzania) e di tanti altri in tutta quell’area che viene comunemente individuata come il Sud del mondo. Un Sud, povero e sfruttato, contrapposto ad un Nord, ricco, potente militarmente e oppressore, formato dai grandi paesi industrializzati.
O si cambia registro o saremo responsabili di questo ennesimo e più grande genocidio.
Il vero nemico è il sistema capitalistico ed il suo braccio armato, gli Usa. Perché è un sistema economico teso a realizzare benefici, per poche persone, considerevolmente superiori a quelli che potranno essere goduti dalla stragrande maggioranza degli uomini.
Non si potranno conseguire la riduzione degli inquinanti, la diminuzione dei rifiuti, la conservazione delle risorse idriche e del patrimonio forestale, lo sviluppo dei paesi più poveri che versano ormai al limite della sopravvivenza se non verrà sconfitto questo nemico.