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Brevetti genetici

di redazione ECplanet - 27/02/2007

 



Sul numero di Science del 14 ottobre 2005, uno studio rivelava che circa un quinto dei geni umani erano stati brevettati. Tra i ricercatori di quello studio c'era anche Fiona Murray del Massachusetts Institute of Technology. Secondo la Murray, la copertura brevettuale dei geni è stata una pratica di importanza centrale nel corso del boom delle biotecnologie degli anni Ottanta e Novanta. I primi brevetti furono ottenuti nel 1978, ed erano relativi ai geni per l'ormone della crescita. Nel 2005, il numero di geni brevettati era salito a circa 4000, cioè circa il 18% dei 23.000 geni umani. Il 63% dei geni brevettati sono nelle mani di aziende private, il resto in quelle di università e istituti. In cima alla lista, l'azienda biotech Incyte di Palo Alto, in California, che ne ha brevettati circa 2000.

“I brevetti - spiegava la Murray - danno a chi li possiede diritti di proprietà sulle sequenze genetiche e quindi sui test per la diagnosi di malattie, per la sperimentazione di medicine o per la produzione di nuovi principi terapeutici”. In pratica, questi brevetti impediscono ad altri di usare quei geni per procedimenti e tecniche che sono già coperti dai brevetti. Il problema dei brevetti genetici sta già suscitando da tempo un notevole dibattito. I sostenitori di questa pratica sottolineano che grazie ai brevetti è possibile diffondere la conoscenza di nuove tecniche e nuove idee che altrimenti verrebbero tenute segrete e che i brevetti stimolano gli investitori a fornire capitali a progetti di ricerca molto costosi. I critici sottolineano che i brevetti sono troppo ampi e finiscono per ostacolare future innovazioni, impedendo l'uso di un gene già coperto da brevetto.

Un nuovo studio, dello scorso 2 febbraio, afferma che la brevettazione del DNA umano non rappresenta quell'ostacolo all'innovazione medica e scientifica da molti temuto. Il progetto PATGEN, finanziato nell'ambito del Sesto Programma Quadro dell'UE (6PQ), ha esaminato 15.600 casi di invenzioni nell'ambito dei quali, fra il 1980 e il 2003, erano state presentate presso gli uffici dei brevetti di Stati Uniti, Europa e Giappone domande di concessione di brevetti concernenti sequenze di DNA umano. I ricercatori dell'Università del Sussex (Regno Unito) hanno quindi intervistato 30 titolari di brevetti, fra cui alcune delle principali case farmaceutiche del mondo, per scoprire cosa intendessero fare con i loro brevetti. Il progetto ha rivelato che l'inasprimento delle linee guida e delle regole applicate dagli uffici dei brevetti, nonché le priorità commerciali e il crescente volume di informazioni genetiche a disposizione del pubblico attraverso Internet, aveva contribuito in misura significativa a frapporre ostacoli alla brevettabilità dei geni.

«Il cambiamento politico, unitamente agli sviluppi intervenuti nel settore commerciale e scientifico, hanno reso il conseguimento di brevetti sulle sequenze di DNA più difficile in generale e meno attraente in taluni casi dal punto di vista commerciale», scrivono gli autori dello studio. «Riteniamo che questi cambiamenti vadano nell'interesse sia dei ricercatori accademici e commerciali sia dei pazienti». I risultati dello studio, dal titolo «DNA Patenting: The end of an era ? Debates on patenting DNA must evolve to reflect the global decline in filings and the regional disparities in patenting activity» (Brevettazione del DNA: la fine di un'epoca ? Evoluzione dei dibattiti sulla brevettazione del DNA per riflettere il calo globale dei depositi e le disparità a livello regionale nell'attività relativa al rilascio di brevetti), indicano che l'ufficio de brevetti degli USA aveva concesso un numero di brevetti molto più elevato rispetto agli omologhi europei e giapponesi. Questa divergenza è stata ricondotta alla maggiore severità delle regole applicate in Europa e in Giappone per quanto riguarda il rigetto delle domande di brevetto non supportate da prove biologiche sufficienti.

Lo studio ha osservato che «il calo del numero di domande di brevetto, l'attuazione di procedure di esame più rigide e la verosimile restrizione della portata dei brevetti concessi operata dalla giurisprudenza fanno supporre che l'impatto negativo della brevettazione del DNA possa essere alla fine più limitato di quanto temuto da alcuni». Infatti, quando gli scienziati hanno iniziato a svelare il codice genetico umano nei primi anni '80, le imprese biotecnologiche, le case farmaceutiche e le università hanno fatto a gara per presentare domande di brevetto, suscitando il timore che le sequenze del DNA utilizzate per la ricerca sulle cause di malattie, quali il cancro o il diabete, non sarebbero più state disponibili per gli studi. Gli autori della relazione hanno concluso chiedendo di condurre ulteriori ricerche sulla disparità fra il numero di brevetti concessi negli Stati Uniti e in Europa, al fine di appurare se abbia inciso in modo negativo sulla potenziale competitività di alcune imprese europee.

Data articolo: febbraio 2007

Istituzioni scientifiche citate e correlate all'articolo:

Incyte

Massachusetts Institute of Technology

Genetic Engineering DNA Patent Law and Biotechnology

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