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Sri Lanka: un conflitto dimenticato

di Antonella Sinopoli - 27/02/2007

Il ferimento dell'ambasciatore italiano ci ricorda che la guerra continua
L'ambasciatore italiano a Colombo, Pio Mariani, è rimasto ferito leggermente martedì mattina in un attacco dei ribelli delle Tigri Tamil. Il diplomatico, insieme all'ambasciatore statunitense Robert Blake e a quello tedesco Jurgen Weerth, stavano scendendo da un elicottero militare nella base aerea di Batticaloa, nel nordest dell'isola, quando sono stati feriti da alcuni proiettili di mortaio caduti sulla pista di atterraggio. Le Tigri Tamil hanno fatto poi sapere di essere "profondamente dispiaciute" per il ferimento dei diplomatici, e hanno accusato le autorità di Colombo di aver messo a repentaglio la loro vita portandoli in una zona di guerra. In risposta a questo attacco, l''aviazione cingalese ha poi bombardato le postazioni dei ribelli Tamil a Batticaloa, dove non si ha ancora notizia di eventuali vittime. Era da tempo che lo Sri Lanka non meritava gli onori delle cronache nazionali e, forse, il ferimento dell'ambasciatore italiano potrà riaccendere i riflettori su un conflitto dimenticato, che dall'inizio del 2007 ha già causato almeno 680 vittime. La guerra tra gli governo di Colombo e i ribelli delle Tigri per la liberazione della patri Tamil (Ltte), che chiedono l'indipendenza di quella parte del paese abitata in maggioranza dalla popolazione tamil, prosegue da oltre vent'anni e non conosce tregua, nonostante il cessate il fuoco del 2002 che ormai è carta straccia. Ma come finanziano la loro ventennale guerriglia le Tigri Tamil? Un’inchiesta del quotidiano britannico Sunday Times ha recentemente ipotizzato che l'Ltte, per sostenersi, estorcerebbe denaro ai migranti tamil. Abbiamo rivolto le stesse domande alla comunità tamil che vive in Italia: ecco le loro risposte.
 
 
 
il leader dell'Ltte, Velupillai Prabhakaran“Possono usare il termine terroristi, ma per noi coloro che combattono nell’Ltte sono i nostri difensori”. I tamil da anni in Italia rompono il muro del silenzio e decidono di farlo anche per difendersi, dicono, dalla falsa propaganda che “ci sta accerchiando”. Delusi, sottolineano, dalle organizzazioni internazionali, Onu compresa, da quelle per i diritti umani, dalla stampa che non darebbe spazio a chi, a causa di una guerra che dura ormai da decenni, vive in condizioni di disagio estremo, perennemente in pericolo. Squarciano il silenzio cercando una sponda in uno dei Paesi, l’Italia, dove da tempo è in atto una vera e propria diaspora per sfuggire alla fame e alla guerra. I gruppi più numerosi sono a Reggio Emilia, Genova, Bologna, Napoli, Palermo. Ma la loro posizione, vogliono sottolineare, è comune a quella dei circa 800mila tamil sparsi in ogni parte del mondo, con un’altissima percentuale in Canada.

"L'Ltte è il nostro governo". La comunità che abbiamo incontrato ha parenti sparsi in Canada, in Germania, Inghilterra, Svizzera. Famiglie divise, ma che ogni giorno si mettono in contatto telefonico o via internet per comunicarsi notizie, impressioni e, soprattutto per sostenersi… Sostegno morale, certo, ma anche economico. “Sì – ammette Adavan, da vent’anni in Italia – inviamo soldi ai nostri parenti o amici che sono rimasti nello Sri Lanka e inviamo quindi soldi all’Ltte (Liberation Tigers of Tamil Eelam). Le tigri hanno lo scopo di liberare il popolo tamil, sono i nostri rappresentanti politici, non terroristi. Dall’inizio della guerra nelle nostre aree sono morte circa 70mila persone, senza di loro ne sarebbero morti 700mila”. Ma appena facciamo notare che quei soldi servono per portare avanti la lotta armata, chiarisce: “I nostri soldi aiutano la popolazione civile e quello che nelle nostre aree è un governo di fatto, anche se la comunità internazionale non lo riconosce. Abbiamo una nostra polizia, un tribunale, sono state costruite strade e realizzati servizi, per tutto questo occorre denaro”. Il discorso è chiaro: l’Ltte e i Tamil sono una cosa sola.

la disperazione di una donna tamil che ha appena ritrovato il cadavere di suo figlio, freddato sa sconosciutiSostegno economico. “Loro combattono per noi, per la nostra indipendenza, io guadagno circa 1.200 euro al mese e lavoro 16 ore al giorno – continua Adavan, che gestisce un negozio di alimentari, frutta e verdura – ma non potrei non fornire il mio contributo per la causa”. Si dice, gli facciamo notare, che siate in realtà costretti a pagare una sorta di pizzo ai vostri connazionali che combattono nelle fila dell’Ltte. “Le posso assicurare – risponde assolutamente tranquillo – che il nostro contributo è volontario, tra noi c’è piena solidarietà e ognuno dà quel che può. Il 90 percento di noi tamil sparsi per il mondo contribuisce di sua iniziativa al sostegno di chi è rimasto in patria”. E chi non lo fa? “Cerchiamo di fargli capire cosa realmente succede lì, ma senza coercizioni” ci assicura. “I nostri soldi – si inserisce Nandan – non sono utilizzati solo per la guerra, ma vanno alle vedove, ai bambini mutilati a causa del conflitto. L’Ltte non fa soltanto la guerra, ci amministra”. E domanda: “Voi italiani, con le vostre tasse, non contribuite anche all’invio delle truppe in Afghanistan o in altre zone calde?”.

Opposte ragioni. Molti di loro raccontano di abusi da parte dei governativi, di fermi senza motivo all’aeroporto quando tornano in patria (“poi paghi 100 o 200 euro e ti lasciano andare via”), di continui soprusi. Ma le motivazioni dei tamil si scontrano con le ragioni della comunità cingalese che da tempo ha costruito una rete di contatti in tutto il mondo, e soprattutto in Europa con la Castis (Campagna contro il terrorismo separatista in Sri Lanka). A Ginevra e in altre capitali europee, tra cui Roma, l’associazione ha organizzato manifestazioni sollecitando l’intervento della comunità internazionale per fermare il conflitto. “Non basta – dice Vijith Deekiri, coordinatore della Castis con sede a Brescia– aver dichiarato l’Ltte un gruppo terroristico, bisogna fare di più per stroncare il canale di finanziamenti”. “Se si parla di armi, il nostro unico fornitore – dice Koby, giovane studente universitario tamil che ora in Italia lavora come artigiano – è il governo cingalese: sappiamo dove sono i loro arsenali e le loro basi, è lì che le rubiamo”. Dall’altro lato i cingalesi e il governo ritengono che i tamil svolgano attività illecite per il finanziamento della guerra e che anche dietro la Tro (Organizzazione umanitaria per la riabilitazione dei tamil) e le loro iniziative di solidarietà si nasconda la raccolta di fondi. “Propaganda diffamatoria – controbattono i tamil – perché non dovremmo aiutarci tra noi?”

un soldato cingalese e un gruppo di tamil all'ingresso di una zona controllata dal governo"Chi vuole questa guerra?". La Castis ha già consegnato una raccolta di firme all’Onu, nel dicembre 2006, per denunciare l’utilizzo di bambini soldato nella guerra: “Secondo l’Unicef – dice il rappresentante dell’organizzazione – ce ne sono 1.347 ancora nelle mani dell’Ltte”. Qualche settimana fa un’altra raccolta firme è stata presentata all’Ambasciata norvegese a Roma: “E’ stato appurato – spiega ancora Vijith Deekiri – che fondi inviati dalla Norvegia per aiuti umanitari sono stati invece utilizzati dai terroristi. Del resto poco tempo fa, nella loro roccaforte di Vakarai, ora tornata sotto il controllo dell’esercito cingalese, sono state trovate forniture provenienti da Ong come cibo, tende, generatori elettrici”. Nella vicenda cominciano a inserirsi contrasti diplomatici. La Norvegia, che aveva fatto da mediatore nel 2002 per la firma del cessate il fuoco (poi non rispettato), viene accusata dai cingalesi di “legittimare le aspirazioni separatiste dei terroristi”, come si legge in una nota ufficiale della Castis. “Sono state scoperte risorse di petrolio e di gas naturale nelle zone controllate dall’Ltte – dice Deekiri – e noi cominciamo a pensare che questa guerra si stia facendo per soddisfare interessi di altri”.

"Non siamo terroristi". Ma nessuno tra i tamil vuole vedere associato il suo nome al termine terrorista. “Possono inserirci nell’elenco dei gruppi terroristi continua Adavan – ma non lo siamo, azioni terroristiche sono quelle dell’11 settembre 2001, noi invece lottiamo per la nostra indipendenza. Anche il partito di Nelson Mandela era stato considerato terrorista perché lottava contro l’apartheid, e di Saddam si era detto che aveva armi di distruzioni di massa...”. Ma non si possono costringere anche i bambini a imbracciare le armi, lo provochiamo. Parecchie sono state infatti le condanne da parte dell’Unicef sull’utilizzo dei bambini soldato da parte delle Tigri Tamil. E’ Sara, un bambino in braccio che dorme e un’altra bimba seduta al suo fianco, a intervenire: “Molti ragazzi lasciano di loro iniziativa le case e vanno a combattere e molte madri mandano i loro figli con l’Ltte. Per molti di loro è più sicuro stare con i guerriglieri che aspettare di essere rapiti dai governativi o peggio. Giorni fa studenti hanno manifestato a Jaffna contro la sparizione di alcuni loro compagni. La polizia li ha fermati e ha stracciato i loro documenti. Dove pensate che siano adesso quei ragazzi?”

un giovanissimo combattente dell'Ltte"Pronti all'indipendenza". “Nel 2006 – incalza Sundara – sono sparite circa 4mila persone. Che fine hanno fatto, perché questo non interessa nessuno, perché nessuno va a controllare quello che succede?” In Italia, come negli altri paesi dove tamil e cingalesi sono espatriati, la vita tra le due comunità si è sempre regolata secondo canoni di rispetto reciproco e con una tacita regola: non parlare di politica e della guerra. “Ma – ci racconta Saman, ormai da vent’anni in Italia e da poche settimane in possesso della cittadinanza del nostro Paese – tutti i tamil continuano a sognare l’indipendenza e tutti i cingalesi non la vogliono. Se poi dovessero pretenderla anche i musulmani che vivono nello Sri Lanka?” “Noi all’indipendenza siamo pronti da tempo – conclude Adavan a nome di tutti – se viene indetto un referendum o se ci riconoscono e sediamo a un tavolo di trattative, la otterremo senza spargimento di sangue. Altrimenti… si va avanti così”.