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Il libro della settimana: Monica Di Bari e Saverio Pipitone, Schiavi del supermercato (recensione)

di Carlo Gambescia - 28/02/2007

Il libro della settimana: Monica Di Bari e Saverio Pipitone, Schiavi del supermercato. Il Consapevole - Arianna Editrice, pp. 96, euro 10,50

In apparenza la schiavitù sembra essere di due tipi: involontaria, cioè non dipendente dalla volontà di chi la subisce; volontaria, ovvero dipendente dalla volontà di chi vi è sottoposto. Nel primo caso il pensiero vola subito alle piantagioni nel Sud degli Stati Uniti prima della Guerra di Secessione; nel secondo ai lavoratori addetti alle moderne "catene" di montaggio. Il proletario, a differenza dello schiavo nero, non era direttamente costretto a fare quel che doveva fare. Ma di sicuro lo era indirettamente: se voleva vivere, doveva lavorare, e dunque accettare le dure condizioni “contrattuali” imposte da altri.
Invece, a nostro avviso, esiste anche un terzo tipo di schiavitù, che qui definiamo autodiretta: quella del moderno consumatore. Il quale, in apparenza, per fare un esempio molto superficiale, non sembra obbligato, direttamente o indirettamente (nei termini di eterodirezione), a cambiare quattro volte l’anno il telefonino cellulare, come invece regolarmente avviene.
Si dirà: interpretazione semplicistica. Perché, in realtà quel consumatore famelico di telefonini, viene sistematicamente condizionato dai meccanismi di legittimazione “all’acquisto”, che rappresentano la vera forza della società dei consumi. Il che è vero. Ma è solo un parte della storia. Perché sostanzialmente, e questo è quel che conta, il consumatore di telefonini, “soggettivamente” a differenza dello schiavo nero e dell’operaio alla catena di montaggio non percepisce assolutamente il peso della sua situazione, anzi si crede libero, e si sente ancora più libero, dopo aver proceduto, ogni volta, a un nuovo acquisto. E qui il discorso si fa più complicato, perché la schiavitù autodiretta rinvia allo sviluppo dell’individualismo moderno (con i suoi pregi e difetti) e a quello di una visione materialistica o sensistica della vita, nonché, sul piano delle istituzioni sociali, alle strutture produttive, distributive e di vendita della società capitalistica. E quindi per ragioni di spazio (un post per ragioni di psicologia della lettura, non deve essere troppo lungo… ) ci fermiamo qui.
Tuttavia a tutti coloro che desiderano affrontare quest’ ultimo aspetto, quello delle strutture di distribuzione e vendita, consigliamo la lettura dell’interessante libro, appena uscito, di Monica Di Bari e Saverio Pipitone, Schiavi del supermercato. La grande distribuzione in Italia e le alternative concrete, Il Consapevole - Arianna Editrice, Casalecchio (Bo) 2007, pp. 96, euro 10,50 euro - arianed@tin.it - http://www.ariannaeditrice.it/ - commerciale@macroedizioni.it ). I due autori, provengono dalla Redazione de “Il Consapevole”, rivista che si occupa di ecologia e consumi, e dunque conoscono profondamente l’argomento.
Il libro è diviso in due parti.
Nella prima sezione è affrontato il funzionamento della grande distribuzione organizzata in Italia ( sale cinematografiche comprese). In particolare vengono esaminati analiticamente Coop, Esselunga, Auchan, Carrefour, LDL, Mc Donalds (e superstiti), Ikea, Mediaworld . Il merito fondamentale del libro - oltre a quello della chiarezza espositiva - è di mettere a disposizione del lettore una grandissima quantità di informazioni, finora non reperibili organicamente. Il quadro tracciato, ovviamente, è sconfortante, perché il bilancio finale è tutto a sfavore del consumatore. Documentate e aggiornate, anche le analisi sulle pessime condizioni di lavoro nella grande distribuzione.
Nella seconda sezione il libro da descrittivo si fa normativo, o se si preferisce descrittivo-normativo I due autori si confrontano con le alternative teoriche e pratiche alla grande distribuzione, tutte sostanzialmente all’insegna del “piccolo e bello”, dell’idea di decrescita e di un auspicabile ritorno alla semplicità volontaria dei consumi. E vengono anche indicate alcune esperienze concrete nell’ambito del consumo di beni alimentari, del tempo libero e dei gruppi d' acquisto solidali.
Notevole la definizione della decrescita “come appello per un' inversione di rotta rispetto alla paradigma dominante della crescita” (p. 83). Un “appello”, in genere, si rivolge alla coscienza delle singole persone. E quindi punta a una “rivoluzione”, su base individuale, della mentalità consumistica, oggi vincente. Una mentalità, quella consumistica, che però come abbiamo detto all’inizio, fa anch’essa appello a un individualismo materialistico, purtroppo ben ramificato e dalle radici secolari.
Ora la domanda che ci poniamo da tempo - e che, a dirla tutta, come molti lettori hanno scoperto, quasi ci ossessiona - è la seguente: basteranno l’appello alle coscienze e la progressiva pratica sociale? Se si tratta, come detto all’inizio, di schiavitù autodiretta, come sarà possibile “parlare a un mondo” poco disposto ad ascoltare? L’immagine, come capita spesso di osservare nella realtà quotidiana, della persona, tutta presa, in strada, a conversare al telefonino, ignorando totalmente quel che le accade intorno, ci sembra esemplificativa della situazione di schiavitù autodiretta in cui oggi uomini e donne vivono.
Di qui il pericolo - stante il fatto che la politica come decisione e conflitto non ammette il vuoto - che l’idea di decrescita e sviluppo, visto che “il popolo potrebbe non capire”, possa essere imposta dall’alto e con la forza da qualche benevolo tiranno… Certo, c’è anche il pericolo che possano essere le cose stesse, considerata la crescente gravità del degrado ambientale, a imporre prima o poi una “sobrietà” di massa…
Probabilmente siamo davanti al problema tutto moderno di come conciliare libertà individuale e collettiva. E di come riuscire a concepire democraticamente, a livello diffuso, una libertà (non una schiavitù, attenzione) autodiretta, che non consista soltanto nell’acquisto dell’ultimo tipo di televisore. Ecco il vero problema.
La questione, come si può notare, probabilmente va ben oltre il notevole libro di Monica Di Bari e Saverio Pipitone. Un testo che però, anche sotto questo aspetto, costituisce un’ ottima occasione di approfondimento e speriamo dibattito . Di qui il nostro consiglio di leggerlo con grande attenzione.