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Ode all’autobus

di Alberto Fiorillo* - 21/11/2005

Fonte: lanuovaecologia.it


 

 Una proposta per invertire la tendenza al ribasso del trasporto collettivo

Quattro auto e una culla: in Italia è questo il rapporto fra immatricolazioni di nuove autovetture e nascite di bambini. Nel 2004 sono stati 2.258.861 i veicoli usciti dalle concessionarie, 562.599 i neonati. E questa è solo una delle tantissime statistiche che mostrano i paradossi 
 
 
della mobilità italiana. Ma nel caso dell’emergenza traffico, forse più delle cifre, è l’esperienza quotidiana, lo stare on the road a dare la misura dell’attuale insensatezza del sistema dei trasporti nel nostro Paese. Le strade sono ogni giorno intasate, a Treviso come a Salerno, a Napoli come a Milano. Si fatica a tenere il conto dei giorni in cui lo smog supera il livello di allarme, si perde tempo, davvero tanto tempo in questa processione motorizzata, lenta, pericolosa, maleodorante, rumorosa.

Il passato delle misure anti-smog (e anti-ingorgo) è fallimentare e contraddittorio, pieno di targhe alterne, blocchi sporadici della circolazione, rottamazioni. Meglio di niente, poco più di niente. Proviamo, però, a ragionare del futuro delle nostre città cercando di andare oltre le misure estemporanee che hanno segnato fin qui le politiche italiane per la mobilità collettiva. Per prima cosa bisognerebbe convincersi che un bene scarso, come la mobilità urbana, deve avere un prezzo di mercato adeguato. A San Diego, in California, sulla “Interstate 15” si paga un pedaggio direttamente proporzionale ai livelli di congestione. Due dollari se il traffico è scorrevole, otto se è intasato. Il costo riduce l’eccesso di domanda. A Londra il sindaco Ken Livingston ha introdotto il congestion charge, una tariffa di 5 sterline (7,3 euro) per le auto che vogliono entrare in centro. Questo meccanismo di road pricing 
 
 
ha ridotto il traffico e l’inquinamento del 20%: chi paga ha a disposizione strade più scorrevoli, chi usa il trasporto pubblico viaggia su bus più veloci. Tipologie diverse di pedaggio funzionano da tempo (o cominciano a funzionare) a Singapore, Melbourne, New York, in tanti altri centri urbani. Non in Italia, dove siamo abituati a liquidare ipotesi del genere con un semplicistico “basta nuove gabelle”. All’estero si punta spesso anche su una ragionata tariffazione della sosta. Da noi generalmente il ticket del posteggio pubblico (le strisce blu) ha lo stesso importo in tutta la città e la tariffa oraria non cambia se si sta fermi un’ora oppure quattro. A Oslo al contrario il costo cresce man mano che ci si avvicina a zone dove c’è una maggior domanda di parcheggio e quanto più lunga è la durata della sosta tanto più cara è la somma da versare per ogni singola frazione di tempo. Si tenta così di non colpire gli spostamenti occasionali penalizzando, invece, quelli sistematici: un impiegato che va giornalmente in ufficio in macchina potrebbe lasciare al parking una parte consistente del suo stipendio.

La leva economica da sola non può certo sciogliere i nodi della viabilità metropolitana, ma potrebbe togliere alibi ai sindaci e all’esecutivo che lamentano l’indisponibilità delle risorse da destinare alle infrastrutture urbane e a un trasporto pubblico, perennemente in crisi, che con i cosiddetti ricavi 
 
Traffico in città
da traffico (biglietti e abbonamenti) copre solo il 35% delle spese complessive. Non solo: con un meccanismo peraltro più equo di ripartizione dei costi (“chi usa paga”), il pedaggio – vincolando tutti gli introiti al miglioramento della mobilità collettiva – può innescare un circolo virtuoso: disincentiva il traffico, riduce l’attuale forbice che vede i cittadini spendere 3.000 euro l’anno per il trasporto privato e solo 180 per quello pubblico, offre appunto ai comuni entrate supplementari (a Londra 200 milioni di euro l’anno) da reinvestire in bus, metro di superficie e altre forme di mobilità sostenibile. L’altra forbice su cui lavorare, riequilibrandola, è quella della spesa statale: alla mobilità urbana è destinato un decimo dei finanziamenti pubblici del settore trasporti; strade, autostrade e ferrovie (soprattutto alta velocità) fagocitano il restante 90%.

Settore di intervento decisivo, a costo zero o quasi, è quello delle corsie preferenziali dei bus. A Parigi già coprono capillarmente il territorio e l’amministrazione sta allargando quelle esistenti per rendere più agile il cammino dei mezzi pubblici. In Italia (come conferma il rapporto Ecosistema urbano 2006 di Legambiente) non esistono affatto in 35 capoluoghi su 103 e dove esistono (invase spesso dalle auto) coprono appena l’1% della rete di trasporto pubblico locale nazionale. È impossibile 
 
Autobus ad idrogeno
pensare che i bus possano migliorare le proprie performance (frequenza, puntualità e velocità) ed essere davvero concorrenziali se continuano a condividere il proprio percorso con quello delle autovetture. A Roma per esempio la risistemazione viaria di un quartiere attraversato quotidianamente da 300mila autovetture (trasformazione in “strada verde” riservata al solo trasporto pubblico di un asse viario ad alta intensità commerciale) ha fatto passare la regolarità dei passaggi delle 28 linee di bus che attraversano la zona dal 50% al 97%. Le corsie preferenziali, diversamente dalle grandi opere pubbliche, sono economiche e non hanno bisogno di anni per essere inaugurate: fanno sentire i loro effetti nel breve periodo. Fare in modo che almeno i percorsi principali degli autobus siano interamente in sede protetta è dunque tra le priorità, al pari dell’espansione fisica delle infrastrutture di trasporto (nuovi mezzi, nuovi tram, nuove metropolitane soprattutto leggere e di superficie) e delle limitazioni al traffico (isole pedonali diffuse sul territorio, zone a traffico limitato).

Un contributo importante può arrivare inoltre da una corretta pianificazione territoriale. Le nostre città sono diverse da quelle statunitensi, non sono nate a misura d’automobile. Le strade sono strette, diventano imbuti man mano che ci si avvicina al centro. Per ridurre il numero di auto bisogna lavorare bene anche all’esterno 
 
Traffico
degli abitati intercettando il traffico in entrata con la realizzazioni di parcheggi di scambio periferici e un’armonica e funzionale integrazione tra tutte le modalità di trasporto: autovetture, metro, tram, ferrovie locali, taxi, bus, biciclette, pedoni. Nel medio periodo possono avere valore strategico anche alcune innovazioni oggi allo stato embrionale (car sharing, car pooling) o sperimentale (taxi collettivi, bus a chiamata), così come l’introduzione di percorsi o strade ciclabili che non abbiano solo finalità di svago, ma che servano zone dove ci si muove, e tanto, per motivi di studio o lavoro.

Di quanto detto finora non c’è traccia, se non in misura assolutamente residuale, nelle politiche delle amministrazioni locali e del governo. Si potrebbe obiettare che sindaci e ministri non condividano questa ricetta antitraffico. Sì, potrebbe essere. Ma le alternative fin qui messe in campo sono difettose, insufficienti, limitate. All’esecutivo si può rimproverare sia una certa miopia nel non percepire l’importanza nazionale della mobilità urbana (anche da un punto di vista economico, sociale e sanitario) sia quel che di propagandistico che spinge Berlusconi a preferire un ponte sullo stretto di Messina a una decina di nuove metropolitane. Ai sindaci si può rimproverare l’inazione, una assoluta mancanza di coraggio. Restano immobili, come l’auto in mezzo all’ingorgo.

 *responsabile mobilità di Legambiente

21 novembre 2005