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Iraq: la spartizione dell'oro nero

di Christian Elia - 01/03/2007

Il governo iracheno ha presentato il disegno di legge sul petrolio, ancora ricco di lati oscuri
“Questa legge è stata basata sui nostri interessi nazionali. Incoraggerà la coesione di tutte le parti che compongono il popolo iracheno. E' un dono per tutti gli iracheni. I benefici di questa ricchezza formeranno un solido pilastro per l'unità degli iracheni, e consolideranno la loro struttura sociale”.
 
Ottimismo di governo. Con queste ottimistiche parole, il premier iracheno Nouri al-Maliki ha presentato il 27 febbraio scorso, nel corso di una conferenza stampa, il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri sulla ripartizione dei proventi del commercio del petrolio. Adesso la palla passa al Parlamento, dove l’iter della legge si preannuncia tutt’altro che facile, anche se alla stesura del testo hanno partecipato più o meno tutti i partiti rappresentati nell’Assemblea nazionale. Il governo ritiene che la legge possa essere approvata entro la fine di maggio prossimo, come dichiarato dal vice Primo Ministro Barham Salih, ma troppi sono gli interessi in ballo, e non solo iracheni. La ratio della legge è sostanzialmente quella dell’equa, o presunta tale, distribuzione alle tre anime principali della società irachena (curdi, sunniti e sciiti) delle ingenti risorse economiche che il business dell’estrazione e della vendita del greggio garantiscono. Come ha spiegato lo stesso premier, la ripartizione sarà gestita dal governo centrale e si baserà su un criterio demografico. Una ripartizione delle ricchezze che tenga conto della composizione della popolazione irachena nelle 18 province nelle quali è diviso l’Iraq. Questo criterio è finalizzato ad accontentare in particolare i sunniti, visto che abitano in maggioranza i territori più poveri del paese. Ma rispetta anche, più o meno, il fatto che i sunniti stessi rappresentano la minoranza della popolazione irachena, e questo significa che otterranno meno soldi degli sciiti e dei curdi.
 
Un paese sconvolto. Il problema di fondo però è che l’Iraq, dall’invasione della Coalizione internazionale nel 2003, è stato completamente stravolto. Si calcola che, al momento, ci siano circa un milione di sfollati interni e un milione di rifugiati all’estero. Quindi è piuttosto difficile disegnare una mappa reale degli equilibri etnici e confessionali nel paese, almeno fino a quando la tensione non sarà calata, consentendo un progressivo rientro dei profughi, al quale dovrebbe seguire un censimento ex novo. Tutte cose irrealizzabili nell’Iraq di oggi. Altro elemento critico della legge è quello che prevede l’istituzione di un Consiglio Federale del petrolio e del gas e di una compagnia petrolifera nazionale, che garantiscano la gestione centralizzata del settore strategico dell’energia. Questo organismo da chi sarà eletto? A chi risponderà? Coloro i quali vedono nell’esecutivo di Baghdad un fantoccio della Coalizione, nel caso in cui il Consiglio risponda al governo, non si sentirebbero comunque rappresentati. E gli stessi curdi, che pure rappresentano un gruppo favorevole al rovesciamento del regime di Saddam, non amano l’idea di veder ridotta la loro autonomia gestionale nel settore petrolifero, che si sono di fatto guadagnati dopo la prima guerra del Golfo, all’inizio degli anni Novanta.
 
Conflitto d’interessi. Autonomia che diventa importante soprattutto in chiave di stipula di nuovi contratti. Proprio l’autorità regionale curda, nei mesi scorsi, ha firmato un accordo con la compagnia petrolifera norvegese Dno e, prima di accettare il disegno di legge, voleva la certezza assoluta che il contratto non sarebbe stato messo in discussione. Ancora i curdi sono alla finestra in attesa di conoscere l’esito della contesa con gli arabi sunniti e sciiti per il controllo della città mista di Kirkuk, che cambierebbe non poco gli equilibri economici del paese. “Una commissione di esperti indipendenti giudicherà la congruenza di questo tipo di accordi in caso di contenzioso”, ha dichiarato ancora Salih, ma non è detto che la soluzione possa essere così semplice. Anche perché non è stato chiarito il tipo di accordo che i governi regionali, dei quali si è formato solo quello curdo, potranno stipulare con le compagnie petrolifere internazionali, compresa l’italiana Eni. Il rischio è che, in un paese occupato, i rapporti di forza siano troppo sbilanciati per avere delle trattative eque. Questo vuol dire che, pur raggiunto l’accordo all’interno del governo, e magari anche in Parlamento, la legge potrebbe non essere accettata da tutti gli iracheni, molti dei quali la riterrebbero una svendita degli interessi nazionali alle compagnie petrolifere internazionali.