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L’aquila e l’ombra cinese

di Gabriele Garibaldi - 02/03/2007

[Il libro dell’autore sulla medesima problematica è di prossima pubblicazione per la Arianna Editrice]

 

Il test anti-satellite cinese dell’11 gennaio 2007 impone la scelta tra due strade: un trattato per il bando delle armi nello spazio, l’inizio di una nuova corsa al suo armamento. La seconda è più probabile. 

 

 

Dopo aver stupito il mondo con il lancio in orbita del suo primo astronauta nell’ottobre 2003, la Cina ha suscitato nuovamente clamore, nel gennaio 2007, in seguito al suo primo test di un’arma anti-satellite. Anche in questo settore delle attività spaziali, la Cina si è posizionata terza, dopo gli Stati Uniti e l’ex Unione Sovietica, i cui ultimi esperimenti del genere risalivano a venti anni prima. 

 

Sull’altare delle proprie ambizioni spaziali, Pechino ha sacrificato un suo vecchio satellite meteorologico orbitante a 800 kilometri di altezza, il quale è stato distrutto l’undici gennaio -secondo le agenzie di sicurezza statunitensi che hanno denunciato l’accaduto - da un “kill vehicle” lanciato da un missile balistico a medio raggio partito dal centro spaziale di Xichang. 

 

L’evento ha suscitato le critiche di molti Paesi - Stati Uniti in testa – e sollevato paure dell’inizio di una nuova corsa all’armamento spaziale. Dal canto suo, la Cina ha riconosciuto il test a più di una settimana di distanza dal suo svolgimento, e ne ha ridimensionato il significato, ribadendo la fedeltà alla sua tradizionale politica di richiesta di un trattato internazionale per il bando dell’armamento dello spazio. 

 

Tutti gli osservatori, comunque, hanno collegato l’exploit di Pechino alla pubblicazione della nuova Politica Spaziale Americana appena cinque mesi prima. Se con quest’ultima gli USA hanno inteso mostrare i muscoli, la Cina ha deciso di fare altrettanto, muovendo il primo passo sulla strada aperta da Washington. Come a dire: se avete intenzione di garantirvi una “sicurezza assoluta” a scapito nostro, sappiate che abbiamo i mezzi per contrastarvi; giudicate voi se vi conviene la politica che avete appena impostato, invece di firmare e mettere in pratica un trattato che vieti l’armamento dello spazio – che, per gli stessi esperti di sicurezza spaziale statunitensi, è la miglior garanzia della sicurezza degli assets spaziali americani esistenti. 

 

La Cina, così, se sul piano della competizione strategica ha voluto dimostrare di esser pronta ad accettare la sfida che il Pentagono ha lanciato ai  “peer competitors” degli USA, con quest’azione ha inteso in primo luogo esercitare pressione su Washington per indurla a incontrare le note richieste dell’Impero celeste, mettendola di fronte alle conseguenze della sua nuova politica spaziale. 

 

L’armamento dello spazio non è inevitabile, ma se di fronte alla deliberata provocazione cinese la Casa Bianca sceglierà la strada dell’escalation militare (molto dipenderà dal successore di Bush, ma le premesse non sono incoraggianti, né lo sono le ultime notizie) la mossa cinese potrebbe passare alla storia come l’innesco di una corsa all’armamento dello spazio destinata a segnare il nuovo secolo, ma dalla quale non trarrà vantaggio nessuno. Non gli Stati Uniti, in primis, i cui apparati spaziali sono particolarmente vulnerabili alle tecniche “shashoujian” cinesi; non la Cina, che si esporrebbe ad eguali ritorsioni mentre avrebbe tutto da guadagnare dalla cooperazione internazionale nello spazio; né, infine, alcun altro Paese, se si considerano i rischi dell’innalzamento delle probabilità di conflitto nucleare accidentale derivanti da una situazione -come quella dell’ipotesi del dispiegamento di sistemi ASAT, sia a terra sia nello spazio- dove la sicurezza dei satelliti posti a fondamento della sicurezza nazionale delle Potenze nucleari sia sotto costante minaccia in un clima di deterioramento della fiducia reciproca tra quest’ultime.

 

Prima di divenire segretario alla difesa, Donald Rumsfeld mise in guardia contro una “Space Pearl Harbor” e insistette perché fossero prese nuove misure per meglio proteggere gli interessi americani. Ora che quest’ultime sono divenute politica ufficiale, è auspicabile che non siano proprio esse la premessa di nuove tensioni in un “medium” finora, almeno sulla carta, riservato a usi pacifici. Dal canto suo, la Cina ha reagito provocatoriamente con il suo test ASAT per sottolineare la sua contrarietà alla politica americana e l’urgenza della scelta tra due strade: un trattato internazionale per il bando delle armi nello spazio, l’inizio di una inedita corsa al suo armamento. Resta da vedere se la reazione di Washington scongiurerà la facile previsione che la seconda è più probabile.

 

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