Sull'Unità del 28 febbraio Ho letto un'intervista del generale Fabio Mini. Il generale dirige la missione militare italiana a Kabul e con misura e ragionevolezza, senza alzare il tono della voce dice una cosa comprensibile. Noi siamo qui, dice a un dipresso, con regole d'ingaggio poco chiare. La situazione precipita, fra poche settimane potremmo trovarci a portata di tiro dei kalashnikov dei talebani, e non si capisce come dobbiamo comportarci. Diteci chiaramente, se dobbiamo combattere combatteremo come dio comanda. Altrimenti vedete un poì di avvertire gli alleati del fatto che noi a fare da bersaglio non ci possiamo stare. Il generale si esprime più finemente, ma il senso della missiva mi pare questa.
Non più tardi di ieri il vice presidente americano, cioè una persona molto ma molto ma molto importante si è trovato in una situazione imbarazzante: un combattente suicida si è fatto esplodere sulla soglia della caserma di Bagram nella quale il vice presidente soggiornava. Sono morte venti persone e la fortuna (cieca) ha voluto che il vicepresidente ne uscisse illeso. Ne prendiamo atto con una certa afflizione, ma questo vuol dire una cosa soltanto: che gli americani e i loro alleati non controllano più neppure un centimetro di quel paese.
Fino a quando deve durare questo otto settembre? Fino a quando seguiteremo a fingere che non c'è la guerra, o a fingere che l'occidente la vincerà? Sarebbe utile almeno rendersi conto di due verità: è in corso una guerra, e l'occidente la sta perdendo, e la perderà.