Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / È morto Baudrillard

È morto Baudrillard

di redazionale - 07/03/2007

"non si tratta di un conflitto di civiltà, ma di uno scontro quasi antropologico tra una cultura universale indifferenziata e tutto ciò che, in qualsiasi campo, conserva qualche tratto di un' alterità irrinunciabile"

Citato indifferentemente dagli indiani metropolitani sul finire degli anni '70 e da dirigenti televisivi controversi e creativi come Carlo Freccero, Jean Baudrillard (morto ieri a Parigi all'eta' di 77 anni) era una star indiscussa della filosofia e della sociologia francese da quando, nel 1968, pubblico' 'Il sistema degli oggetti' cui seguirono, fra gli altri, 'La societa' dei consumì e 'Lo scambio simbolico e la morte'. Nato nel 1929 a Reims in Francia, Jean Baudrillard inizia la sua formazione come germanista, e successivamente ottiene un dottorato in sociologia.
Autore e scrittore brillante, ha dedicato i suoi studi alla analisi della società contemporanea, studiando in particolare la società dei consumi, i suoi miti, le sue strutture. Il consumo è trattato nei suoi lavori come un espressione sociale, un mezzo per tendere ad aumentare i desideri degli individui piuttosto che a soddisfarli. Al centro del suo discorso la dematerializzazione della realtà, ovvero il progressivo allontanamento, anche strumentale, dell'uomo dal mondo naturale e concreto per uno di simulacri, virtuale, a cominciare da quello proposto dalla televisione, in questo partendo dalla scuola di McLuhan, che punta sulla centralità del mezzo di comunicazione.
Baudrillard ha cominciato a insegnare all'università di Paris X-Nanterre nel 1966 e negli anni successivi entrò a far parte dell'Institut de recherche sur l'innovation sociale, laboratorio del Centre national de la recherche scientifique. Seguendo i 'nuovi miti' proposti da Roland Barthes, che vanno a sostituire valori e punti di riferimento tradizionali, Baudrillard parla di un mondo dominato da una ideologia fondata sull' 'estasi della comunicazione'. Le sue analisi hanno fatto scoprire ai marxisti che la società (e anche i suoi cittadini-elettori) erano ormai arrivati a subire la fascinazione dei bisogni 'secondari' (quelli legati all'immaginario), e agli amanti di Internet e della realtà virtuale che erano tutti 'complici' di un Sistema Integrale della Realtà fatto di soli simulacri, tracce e surrogati. Il suo 'Guerra reale e guerra virtuale' ai tempi della guerra del golfo è in questo senso solo il naturale approdo, legato all'attualità, dei suoi discorsi. Questi trovano un punto di evidenza e nuove innervature con gli attentati dell' 11 settembre.
"Il terrorismo attuale - scrive Baudrillard in 'Power inferno' - non è il discendente di una storia tradizionale dell'anarchia, del nichilismo e del fanatismo. E' contemporaneo alla globalizzazione..." e quindi "non si tratta di un conflitto di civiltà, ma di uno scontro quasi antropologico tra una cultura universale indifferenziata e tutto ciò che, in qualsiasi campo, conserva qualche tratto di un' alterità irrinunciabile". In un mondo in cui siamo 'ostaggi dell'informazioné, recitandone la commedia e godendoci il suo 'spettacolo' senza però preoccuparci della sua credibilità (perché, in un certo senso, è impossibile risalire 'al di la' dello schermò cioé all'origine di ciò che dà fondamento alle informazioni), il Male viene pensato come una 'realta' oggettivà e dunque come qualcosa da estirpare. Ma per Baudrillard la questione, per noi e per i politici che dovrebbero risolvere i problemi e 'promuovere la pace', è più complicata. L' idea del Male come forza maligna è, per lui, una "superstizione tenace". "Con il Male non abbiamo a che fare con un oggetto da comprendere bensì con una forma che ci comprende. Nell' intelligenza del Male - riflette Baudrillard nel recente 'Il patto di lucidita' o l'intelligenza del malé - occorre capire che è il male a essere intelligente, che è lui a pensare noi, nel senso che è implicato automaticamente nei nostri atti". Per capire affrontare questo su un piano pratico, sociale, ci vorrebbe una politica più forte e non quel 'simulacro' con cui oggi abbiamo a che fare e che vive un disperato bisogno di rendersi credibile farsi 'riconoscere'.