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Maometto fu creato due volte. Le antiche vite del profeta

di Pietro Citati - 07/03/2007


La prima volta nacque in un tempo anteriore a ogni tempo quando Adamo non c'era ancora, la seconda lo partorì Amina in un trionfo di luce
I biografi non idealizzano la sua esistenza, era lui a ripetere: sono soltanto un uomo
Quando lasciava la città saliva in una caverna sulle colline di Al-Hira passando le notti in adorazione
Durante il giorno mentre camminava per la campagna sentiva voci uscire dai sassi e dai muri
Dopo i quarant'anni ebbe le prime visioni la notte gli compariva in sogno una figura enorme e sconosciuta

Credo che pochissimi europei conoscano quale sterminata moltitudine di storie, aneddoti, immagini, leggende, idee, detti, aforismi, favole, fantasie si siano raccolte, nei secoli, attorno alla figura di Maometto.
Le troviamo dovunque: in biografie e raccolte di sentenze, in storie di città e prologhi di poemi; narrate, volta per volta, con le voci gelose delle tribù arabe che avevano avuto rapporti di parentela con lui o lo avevano conosciuto. Il Corano aveva dichiarato: «Voi avete, nel Messaggero di Allah, un esempio buono per chiunque speri in Allah e nell´ultimo giorno»: Gesù, che era Dio, non poteva essere, alla lettera, un esempio; e i Vangeli raccontavano pochi particolari sulla sua esistenza. Maometto era soltanto un uomo: il fedele musulmano pensava a lui con affetto, calore, fiducia, e una familiarità piena di venerazione. Se imitare Allah era impossibile, imitare Maometto era facile e divertente. Così, per quattordici secoli, i musulmani cercarono di svegliarsi e aprire gli occhi come li apriva il profeta, di fregare i denti con lo stesso ramoscello verde con cui li puliva, di lavarsi come egli si lavava, di tagliare le unghie come se le tagliava, di mangiare come lui le spalle di pecora, e di pregare come lui quando si rivolgeva al Signore.
Presso Mondadori, escono in questi giorni le Vite antiche di Maometto (pagg. XL-392, euro 17): un libro che non ha equivalenti in nessuna lingua moderna. Michael Lecker, un notissimo studioso israeliano, ha scritto l´introduzione e le note: Roberto Tottoli ha scelto le tradizioni più antiche, diffuse o degne di fede, e tradotto i testi arabi in modo piacevolissimo. Fino a cinquanta o sessanta anni or sono, gli studiosi occidentali avevano scarsa fiducia nelle vite e nelle raccolte di detti (hadith) attribuite a Maometto: le consideravano fantastiche, tardive, o menzognere. Negli ultimi tempi, specie grazie a Josef van Ess, un eccellente studioso olandese, autore di un´opera in sei volumi sulla teologia islamica nell´ottavo e nel nono secolo, l´atteggiamento è completamente mutato. Molte tradizioni sono state retrodatate, come narrava la cultura musulmana. Alle prime generazioni dell´Islam viene oggi attribuita una grande creatività religiosa. Non è più usuale, come un tempo accadeva, ricercare il modello ebraico o cristiano di un´idea teologica o di una tendenza mistica, che invece appartiene al primo Islam. E nessuno osa più chiedersi se Maometto fosse sincero; o eccedesse (come egli amava dire) nella passione per le donne e i profumi.
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Se Gesù si incarnò una volta sola, nella leggenda islamica la creazione di Maometto avvenne due volte. La prima volta egli nacque in un tempo anteriore ad ogni tempo, quando Adamo non era ancora formato. Secondo il primo racconto della Genesi, Dio creò Adamo a «propria immagine e somiglianza»: immagine e somiglianza con Dio che Maometto, nella severa tradizione monoteistica musulmana, non avrebbe mai potuto condividere. Maometto era soltanto una creatura: come noi siamo.
Allah ordinò a Gabriele e agli angeli della schiera più alta, quelli che sostengono il trono, di scendere a terra e di prendere della terra pura. Nello stesso luogo, migliaia d´anni più tardi, sarebbe stata scavata la tomba di Maometto; e di lì egli sarebbe risorto. Nascita, morte e resurrezione avvenivano dunque nello stesso spazio privilegiato. Gabriele portò la terra in cielo, la immerse nelle acque di una fonte paradisiaca, trasformandola in una perla bianca, e poi la tuffò per giorni nei fiumi del Paradiso, fino a quando la perla emanò una luce settanta volte più forte di quella del Sole - splendore che raccoglieva lo splendore di tutte le tradizioni religiose anteriori. Questa era l´essenza di Maometto: terra divenuta luce, che si propagò a tutti i profeti, da Adamo a Seth, a Noè a Sem, ad Abramo ad Ismaele ed ad Elia, illuminando la Ka´ba e innalzandosi fino al cielo, come se ogni luce dell´universo derivasse da una perla.
Quando il padre di Maometto si congiunse con la madre, Amina, la luce si trasferì sul volto di lei, come in uno specchio senza macchia. La notte in cui fu concepito Maometto, ogni animale della tribù proferì parole. In quel momento la madre vide uno splendore che usciva da lei, e una fiamma che illuminava i lontani castelli della Siria. Poco prima del parto, Allah disse agli angeli: «Aprite le porte del cielo e quelle del paradiso». Tutti gli angeli discesero rallegrandosi: le montagne si protesero verso l´alto, i mari si sollevarono, le creature si felicitarono, gli alberi si riempirono di frutta: in ogni cielo vennero erette una colonna di crisolito e una di giacinto, le Vergini Uri si ricoprirono di preziosi; gli idoli caddero in frantumi, gli altari di fuoco dei templi zarathustriani si spensero. Il giorno del parto, Amina sentì il frastuono di una scossa violenta, e venne presa dallo spavento. Poi vide qualcosa di simile all´ala di un uccello bianco, che le sfiorava il cuore. La paura e il dolore l´abbandonarono. Quando si voltò, scorse accanto a sé una bevanda bianca come il latte. Ne bevve a lungo: era più dolce del miele, e la penetrava di luce.
Mentre Maometto si separava dalla madre, lo splendore illuminò l´Oriente e l´Occidente. Maometto cadde al suolo, poi si sollevò sulle mani, quindi prese una manciata di terra, la strinse, e sollevò le dita e la testa verso il cielo, come ogni creatura terrena che invoca Dio. Una nuvola lo sottrasse alla vista. E dal cielo una voce disse: «Fategli visitare i confini dell´Oriente e dell´Occidente, e fategli vedere tutti i mari, perché conoscano il suo nome, vedano qual è il suo aspetto e sappiano che egli è stato chiamato Colui che cancellerà, perché non rimarrà idolatria del suo tempo che non verrà cancellata».
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Passati i quarant´anni, il secondo Maometto ebbe le prime visioni. La notte gli compariva in sogno una figura enorme e sconosciuta, che con la testa toccava il cielo e con i piedi la terra, e si avvicinava per afferrarlo. Durante il giorno, mentre camminava per la campagna sentiva voci uscire dai sassi, dai muri e dal ventre degli animali: voci che gli dicevano: «Salute, o apostolo di Allah». Il divino gli si presentava come l´esperienza del tremendo: una forza che non aveva nome, che poteva venire da tutte le parti, che non aveva a che fare col bene, che era solo contraddistinta dalla propria potenza, irrompeva sopra di lui, lo afferrava, lo dominava, e voleva soggezione senza limiti. Era sconvolto da brividi di freddo o si copriva di sudore: strani suoni di campana o fruscii di lontane ali celestiali o fragori gli risuonavano nella mente, e restava a terra senza coscienza.
Come confessò più tardi, gli sembrava che qualcuno gli strappasse l´anima a pezzi. Diventò inquieto: temeva di impazzire o di essere posseduto da un demone: «O Khadija» disse alla prima moglie, «temo di diventare pazzo». «Perché?» gli domandò lei. «Sento in me i segni degli indemoniati: voci misteriose per le strade, figure enormi nel sonno». Khadija gli rispose: «O Maometto, non inquietarti. Con le qualità che hai, tu che non adori gli idoli, tu che ti astieni dal vizio, che fuggi la menzogna, che pratichi la generosità e la carità, non hai nulla da temere. Dio non ti lascerà cadere sotto il potere dei demoni».
Quando Maometto lasciava la città, saliva in una caverna sulle colline di Al-Hira, passando le notti nella meditazione e nell´adorazione, come un monaco cristiano. Una notte, la figura enorme dei primi incubi gli si presentò nella visione o nel sogno. Aveva in mano una veste di broccato: sopra c´era scritto qualcosa. Gli disse: «Leggi». Maometto rispose: «Non so leggere». La figura lo strinse con tanta forza che Maometto pensò di morire. Tre volte gl´impose: «Leggi!», tre volte Maometto rifiutò; finché, per liberarsi, disse: «Cosa devo dunque leggere?». L´altro rispose:
Leggi in nome di quel Dio che creò,
che creò l´uomo da un grumo di sangue.
Leggi! Il tuo Signore è il più generoso,
ha insegnato per mezzo del calamo,
ha insegnato all´uomo quello che non sapeva.
Secondo la tradizione islamica, erano i primi versi del Corano.
Maometto lesse, e la figura si allontanò da lui. Allora si accorse che le parole erano scritte nella profondità del suo cuore. Come accadde a Ezechiele e a Giovanni nell´Apocalisse, qualcuno gli aveva imposto con la violenza uno scritto vergato in un altro mondo. Ezechiele e Giovanni l´ingoiarono: lui l´aveva fatto diventare parte del proprio cuore. Soltanto attraverso questa totale appropriazione fisica, la rivelazione celeste diventò Apocalisse, e ora sarebbe divenuta Corano. Ezechiele e Giovanni accettarono senza timore il libro dal sapore dolce-amaro, certi del suo carattere sacro. Più dubbioso, inquieto e consapevole dell´ambiguità della parola ispirata, Maometto non osava accettare la rivelazione. Temeva di essere un «poeta estatico» o un «uomo posseduto»: uno di quei kahin, che in Arabia profetavano ispirati dai demoni.
Travolto dall´angoscia, avrebbe voluto uccidersi, e cercò di precipitarsi dalla collina. In quel momento, udì una voce dal cielo. Girò la testa, e scorse l´angelo Gabriele, con i piedi a cavalcioni sull´orizzonte, che diceva: «O Maometto, tu sei l´apostolo di Allah e io sono Gabriele». Era la stessa figura della visione: sebbene Maometto avesse l´impressione di scorgere una Figura molto più augusta, quella invisibile di Allah, nascosta dietro il suo angelo. Rimase stupito: girò la faccia dall´altra parte, e verso qualunque luogo del cielo guardasse, dovunque spingesse gli occhi ansiosi, scorgeva il corpo del grande angelo. Gabriele lo prese dolcemente tra le ali, in modo che non potesse muoversi, e gli ripetè: «Non temere, tu sei il profeta di Allah, e io sono Gabriele, il suo angelo».
Maometto discese dalla collina: tremava in tutto il corpo per il terrore della rivelazione, ma ripeteva tra sé le frasi di Gabriele, che cominciavano a rassicurarlo. Tornò a casa, raccontò la visione a Khadija, e le disse le parole dell´angelo. Poi fu ancora colto dal freddo e chinò la testa chiedendo: «Coprimi! Coprimi!» La moglie lo avvolse in un mantello, e lui si addormentò al suolo, come un bambino terrorizzato. Khadija andò da un vicino cristiano. Mentre Maometto dormiva, Gabriele entrò nella casa e gli parlò: «Alzati, tu che sei coperto con un mantello». Maometto si risvegliò e rispose: «Eccomi, che debbo fare?». E Gabriele: «Alzati e avverti gli uomini e chiamali a Allah». Maometto gettò via il mantello e si alzò. Quando la moglie tornò, gli disse: «Perché non dormi, e non ti riposi?» Maometto rispose: «Il mio sonno e il mio riposo sono finiti. Gabriele è tornato, e mi ha ordinato di trasmettere il messaggio di Allah agli uomini».
Dopo le prime visioni, Maometto rimase qualche giorno senza scorgere l´angelo. Se ne afflisse moltissimo: ora lo torturava l´assenza, non la presenza della rivelazione. Correva da un´altura all´altra, avanti e indietro, come impazzito, fin sulla cima del monte Thabir, e voleva ancora gettarsi nel vuoto. Poi, di nuovo, venne tramortito dal suono della voce. Alzò la testa. Davanti a lui c´era Gabriele, seduto su un trono tra il cielo e la terra, e lo confortava. «O Maometto, non temere, gli ripeté, tu sei l´inviato di Allah e io sono Gabriele». Maometto si rallegrò. La sua angoscia era calmata. L´animo era quieto. Le rivelazioni divennero sempre più intense e frequenti, come se fosse divenuto un solo, ardente grumo di sogni.
***
Dopo qualche tempo, Maometto discese a Mecca, si spostò a Medina, e in parte abbandonò il suo mondo di visioni, sogni, terrori, incubi, estasi. Questo abbandono colpì, qualche tempo più tardi, i mistici islamici: i quali immaginarono quale sarebbe stata la sua vita, se la rivelazione avesse continuato ad occupare tutta la sua mente, ed egli avesse ascoltato senza fine la voce, senza uscire dalla caverna. Qualche volta, abbiamo l´impressione che Maometto rimpiangesse i primi tempi della sua esistenza, quando era un uomo solo, che vedeva ed ascoltava, e non un Profeta che guidava un popolo alla vittoria. «Che cosa ho a che fare io con questo mondo? Diceva. Io e il mondo siamo come un cavaliere e l´albero sotto il quale egli si ripara dalla violenza del sole. Poi il cavaliere se ne va, e lascia l´albero indietro». E ripeteva: «Sii in questo mondo come uno straniero, o come un passante».
Quali siano stati i suoi dubbi e le sue inquietudini, Maometto non fu uno straniero o un passante. O non lo fu mai per le moltitudini che credettero in lui. Egli era un pezzo di terra, e la sua terra era il luogo al quale apparteneva e dove posava fermamente il piede. Viveva nel sacro: ma il sacro non trasformò le sue passioni umane, non cancellò o annullò in lui il mondo, ma stabilì il mondo come è, nella sua realtà di ogni giorno. Le Vite antiche non idealizzano la sua esistenza, come avrebbe fatto uno scrittore cristiano, che componeva la vita di un santo secondo una serie di modelli agiografici. Maometto ripeteva ai suoi fedeli: «Sono soltanto un uomo: un uomo con occhi che piangono e un cuore che soffre». «Non sono altro che un mortale simile a voi». «Ho ricevuto l´ordine di essere uno di coloro che sono sottomessi a Dio».
Così le Vite antiche diventano lentamente storie di piccole cose. Sebbene fosse la perla che aveva illuminato i profeti, Maometto sosteneva di non essere superiore a nessuno di coloro che l´avevano preceduto. «Che nessuno di voi dica che sono migliore di Giona». «Non vi dico: "posseggo i tesori di Allah", perché non conosco il mistero incomunicabile». Ai suoi fedeli, mostrava la sua modesta esistenza di essere umano. Era povero. Aveva una stanza nuda, con un materasso e tre cuscini per terra. Talvolta non aveva di che nutrirsi. Tra i cibi, preferiva la spalla di pecora. Era incerto, dubbioso, chiedeva consigli agli amici, talora sbagliava. Aveva passioni erotiche: amava i profumi; spesso il suo numeroso harem era uno starnazzante gruppo di galline, dove ora una donna ora l´altra lo attirava nel proprio letto. Talvolta Allah non gli dava giuste notizie: gli taceva cose di rilievo: o permetteva che egli commettesse errori religiosi.
Leggendo il Corano e le Vite antiche, il lettore cristiano cerca di identificare uno spazio puramente religioso. Questo spazio non esiste. Nessuno impedisce di usare la spada contro i nemici, come Cristo nel Getsemani, o distingue ciò che spetta a Dio e ciò che spetta a Cesare. Quando Maometto visse a Mecca e a Medina, la sua esperienza religiosa e quella politica non furono divise da nessuna frattura o incrinatura, come nessun contrasto aveva diviso le esperienze religiose e politiche di un re o di un profeta della Bibbia. Il visionario imbracciò la spada, come se la spada fosse visione. Simile a un grande uomo di stato, possedeva il dono di alternare il sinuoso spirito di compromesso e lo spietato spirito di determinazione. Le antiche biografie non cercano mai di cancellare o velare la sua violenza: ora Maometto si vendica di chi lo ha offeso, ora fa massacrare tribù di ebrei, ora assale a tradimento i nemici, ora infierisce sui morti. Sullo sfondo, scorgiamo l´Arabia del sesto e del settimo secolo: cammelli, montoni, pecore, odore di sterco, di sudore e di rovine: fame, vagabondaggi, orgogli e beghe tribali, tradimenti, liti femminili, pettegolezzi, chiacchere di mercanti; carovane che attraversano il deserto, agguati presso i pozzi, feroci battaglie di predoni, orecchie tagliate, donne che mangiano le lingue e il fegato dei nemici.
Poi c´era il Corano. A´isha, la più giovane e intelligente moglie di Maometto, disse: «La natura di Maometto è il Corano. L´archetipo celeste del Corano era fissato fuori dal tempo in una tavola ben custodita: poi quei racconti, quelle sentenze e quelle prescrizioni si rivelavano nel tempo, ogni volta che la voce colmava Maometto - e venivano trascritte su pezzi di cuoio, ossa di cammello, cocci di ceramica, fibre di palma, che a loro volta ispirarono i libri della terra. In quelle frasi, Maometto aveva cercato di parlare con la stessa voce di Allah, con autorità, furore e dolcezza, come se il suo accento terreno fosse davvero la Voce. Eppure, il Corano era incompleto. «Se tutti gli alberi della terra fossero penne, e se il mare, alimentato da altri sette mari, fosse inchiostro, non si riuscirebbe a trascrivere fino all´ultimo le parole di Dio». Qualsiasi libro, persino quello supremo, era un fallimento, perché non poteva raccogliere l´immenso flutto marino dell´ispirazione.
Quel libro inesauribile e pieno di contraddizioni suscitava la stabilità della fede. C´era Allah, unico: creatore assoluto e arbitrario di ogni cosa: Allah responsabile di tutti gli eventi dei quali, tuttavia, l´uomo poteva portare la colpa: Allah che ignora le regole che ci ha imposto: Allah che non ha nessun obbligo verso di noi, nemmeno di giustizia; Allah che talvolta prodiga a un uomo cento carezze e abbatte un altro con cento colpi di frusta, senza che il primo abbia compiuto un solo atto devoto e il secondo abbia peccato. E c´era l´uomo, del quale Maometto aveva un´idea altissima. L´uomo aveva la conoscenza dei nomi: era superiore agli angeli; veniva venerato dagli angeli; non era sfiorato dall´ombra della malinconia che il peccato originale lascia nell´anima cristiana. Infine, c´era l´ultimo sigillo; il sigillo della tolleranza; «Allah desidera agio per voi, non disagio». «Agevolate, non inasprite». «Non vi sia costrizione nella fede». «Nella mia comunità», al contrario che nelle comunità religiose anteriori, «il disaccordo è una occasione per la misericordia divina».
Secondo le testimonianze delle Vite, Maometto esercitava una fascinazione alla quale non si poteva resistere. Il suo volto era (quando voleva) così dolce, penetrante e attraente, che nessuno poteva smettere di guardarlo: ciascuno dimenticava la fame, il dolore, l´abbandono, il male, la morte. Maometto conosceva l´irradiazione affettuosa di questo dono. «Nessuno di voi - dice un hadith - avrà la fede finché io non gli sarò più caro di suo figlio, di suo padre e di tutti gli altri uomini messi insieme». Un altro detto racconta: «Una volta Maometto stese la mano per afferrare qualcosa e poi la ritirò. Un amico gli chiese il motivo: "Ho visto il Paradiso - rispose - e ho cercato di cogliere un grappolo d´uva. Se lo avessi colto, voi ne avreste mangiato sino alla fine del mondo"». Un acino d´uva: l´eternità del Paradiso non era altro.
***
In una notte di primavera del 632, ventidue anni dopo la rivelazione, Maometto mandò a chiamare un liberto. Gli disse: «Mi è stata offerta la scelta tra le chiavi dei tesori di questo mondo, una lunga vita quaggiù e poi il paradiso, oppure l´incontro immediato con il mio Signore e il Paradiso». «O inviato di Allah, insistette il liberto, tu che mi sei caro come mio padre e mia madre, scegli i tesori di questo mondo, una lunga vita quaggiù e poi il Paradiso». Maometto rispose: «Ho già scelto di incontrare subito il mio Signore e il Paradiso». Poi pregò e tornò nella sua casa.
Il giorno dopo iniziò la lunga malattia di Maometto. Aveva febbri e dolori di capo così forti da farlo gridare. Continuava a passare le notti nelle case delle sue spose. Qualche giorno dopo chiese loro di potersi trasferire in quella di A´isha. Da principio si occupò degli affari di stato, prese decisioni, dettò lettere: poi smise; spesso sveniva e non poteva parlare. Una mattina si sentì meglio. Al momento della preghiera comune si alzò, sollevò la tenda che serviva da porta e si fermò sulla soglia. Lì accanto c´era la moschea - un povero muro di mattoni essiccati al sole, coperti da rami di palma - , dove i suoi fedeli, guidati da Abu Bakr, il futuro califfo, dicevano le orazioni. Quando lo videro, per la gioia interruppero la preghiera: ma egli fece un cenno con la mano, invitandoli a continuare. Era felice: il suo viso si illuminò; disse: «Grazie siano rese a Dio, perché, dopo la mia morte, il mio popolo seguirà le mie istituzioni». Qualcuno affermò di non aver mai visto il suo viso così radioso.
Quando mancarono tre giorni alla morte di Maometto, l´arcangelo Gabriele scese da lui e gli disse: «Allah mi ha mandato a te per renderti onore e per testimoniarti la sua grazia. Ti chiede quello che egli conosce meglio di te: "come ti senti?"». «Mi sento, o Gabriele, rattristato e preoccupato». Il terzo giorno Gabriele discese, seguito dall´Angelo della Morte, e da un altro angelo in volo, Ismael, che era a capo di settantamila altri angeli, ognuno dei quali, a sua volta, ne guidava altri settantamila. Gabriele disse a Maometto: «Questo è l´Angelo della Morte che chiede il permesso di prenderti. Non lo ha mai chiesto a nessun altro uomo prima di te». Allora l´Angelo della Morte annunciò: «La pace sia con te, o Inviato di Allah. Allah mi ha mandato da te con l´ordine di ubbidirti in quello che mi ordinerai. Se mi ordini di prenderti l´anima, la prenderò, ma se mi ordini di lasciarla, te la lascerò». Gabriele rivelò a Maometto: «Allah desidera ardentemente incontrarti». «O Angelo della Morte, disse Maometto, fà quello che ti è stato ordinato». Per la seconda volta, scelse la morte: era la scelta definitiva.
La mattina dell´8 giugno, Maometto sembrava guarito. A´isha, che ignorava la visione notturna, gli chiese se voleva un ramoscello verde, un piccolo ramo di salvadora persica, per pulirsi i denti. Maometto disse di sì. Allora A´isha prese il legno, lo masticò, lo rese tenero, e glielo porse. Quando Maometto cominciò a fregarsi i denti con vigore, A´isha gli disse: «Non strofinarti troppo i denti, se no li guasti». Egli rispose: «O A´isha, Gabriele mi ha sempre raccomandato di fare così». Così per l´ultima volta ripeteva di essere soltanto un uomo: la sua vita era composta di particolari infimi; ma ognuno di questi particolari - persino il modo di pulirsi i denti - aveva un esempio angelico. Appena Abu Bakr ebbe terminato le preghiere comuni, corse nella casa di A´isha, dove vide Maometto che si puliva i denti. Anche lui pensò che fosse guarito. Cercando di farlo ridere, si mise a scherzare con A´isha: «Ora che il Profeta è guarito, dovrà passare questa notte nella casa di un´altra moglie». A´isha si offese e disse: «Quando era malato, è stato con me. Ora che è sano, andrà nella casa di un´altra donna?». Maometto rise, ma restò in silenzio.
Poco dopo, Maometto avvertì attorno a sé le grandi ali silenziose dell´Angelo della Morte. Si sentì mancare. A´isha si sedette dietro di lui, lo attrasse e gli prese la testa nel grembo. Maometto rimase disteso per qualche tempo. La fronte cominciò a sudare, lo sguardo diventò fisso: mentre A´isha lo udiva mormorare: «No, l´amico sommo del Paradiso... ». Era l´ultima volta che Maometto ricordava il nome di Gabriele, dietro il quale aveva spesso celato quello di Allah. Dopo la morte, gli uomini lavarono il corpo. Non sapevano dove seppellirlo. Abu Bakr disse: «Ho sentito dire all´Inviato di Dio: "Ogni profeta è stato sepolto dove è morto"». Allora spostarono il letto e scavarono nella terra. Così, senza saperlo, nascosero il corpo nel luogo puro dal quale, al tempo della prima creazione, l´avevano tratto gli Angeli del trono. Fra poco, Maometto avrebbe accolto i suoi fedeli presso un lago del Paradiso. Quell´acqua li avrebbe dissetati per sempre.