Ma Darwin va difeso dall’evoluzionismo
di Rutilio Sermonti - 07/03/2007
L
eggendo il titolo, forsequalcuno dei lettori trasalirà.
Ma come? Il
vecchio Rutilio, noto in tutto il
nostro ambiente come nemico
giurato del Darwinismo e
denunziatore da oltre quarant’anni
di tutte le sue frodi, fratello
di quel Giuseppe che è
l’alfiere scientifico italiano
dello strutturalismo anti-trasformista,
amico dell’implacabile
Roberto Fondi, autore del
recente “Evoluzionismo:
scienza o frode?”, ora si mette
a difendere Darwin? È forse
stato folgorato su una qualche
via di Damasco e ha cambiato
idea?
Nulla di tutto ciò. Sono, anzi,
sempre più convinto che la
teoria della formazione dei
gruppi tassonomici l’uno dall’altro
per selezione naturale
sia un assurdo logico e biologico,
tenuto in piedi ad ogni
costo con metodi mafiosi e
fraudolenti. Ma difendo Darwin
proprio per questo. Perché
Darwin era un naturalista onesto
e appassionato, acclamato
profeta suo malgrado, e del
suo nome si è abusato per oltre
un secolo per “santificare” le
più arbitrarie affermazioni e
gli arzigogolamenti più pretestuosi.
Non nego che egli abbia preso
degli abbagli, ma che vuol
dire? Non si può certo fare una
colpa a Darwin delle pecche
della scienza moderna. Essa,
ignorando ogni fonte sapienziale,
dinanzi a ciò che non
riesce a spiegare ha il sistema
di formulare ipotesi, magari
fondate su una sola osservazione;
e sarebbe lungo enumerare
gli errori che, in tutti i
suoi campi, dalla “tabula
rasa” di Cartesio in poi, essa
stessa ha dovuto correggere,
in base ad ulteriori osservazioni
e riflessioni. Peraltro,
gli stessi suoi apologeti affermano
che il merito di detta
scienza è proprio quello di
non proclamare dogmi
immutabili, bensì solo teorie,
come tali confutabili e correggibili.
Ed è esattamente
quello che, in vita, ha fatto
Darwin.
Solo un suo errore egli non è
stato capace di correggere:
quello di escludere a priori,
seguendo l’andazzo illuministico,
l’esistenza di cose non
percepibili coi sensi, ma nondimeno
influenti e reali, essendo
così costretto a cercare tutte
le sue spiegazioni nell’ambito
della cosiddetta “materia”.
Ma non era un errore suo, era
un errore di tutta la cultura del
suo tempo, dei suoi maestri
come dei suoi discepoli, e
anche di quelli che con la
scienza non avevano nulla a
che fare.
Ma bisogna dargli atto che gli
altri suoi errori egli li ha corretti
e sconfessati tutti: dalla
trasmissione dei caratteri
acquisiti, che egli (come
Lamarck che stranamente
ignorava) aveva ipotizzato per
spiegare l’evoluzione, all’“utilitarismo
della natura” che permetterebbe
l’affermazione e
prevalenza solo dei caratteri
“utili”, e infine alla sopravvalutazione
della selezione naturale.
Tutto ciò egli ha scritto
apertamente, fino a distruggere
del tutto ogni “meccanismo”
secondo cui la famosa evoluzione
“naturale” (cioè automatica)
avrebbe potuto determinarsi.
Ma lui stesso aveva detto
e scritto chiaro e tondo che,
se non si scopriva il “meccanismo”,
l’evoluzione spontanea
non stava in piedi. Si ridusse
allora (
vanitas vanitatum!) aformulare un’ipotesi puramente...
ipotetica, e cioè
senza alcuna osservazione a
suffragarla. Si trattava di
una sorta di ritorno al
Lamarckismo, dett pangenesi,
secondo cui dalla periferia
del corpo vivente (fenotipo),
a contatto con le esigenze
di lotta per la vita, si staccherebbero
invisibili “gemmule”
che raggiungerebbero
le cellule germinali, richiedendo
ad esse gli opportuni
cambiamenti nella prole.
Con le attuali nozioni di
genetica, l’ipotesi farebbe
soltanto ridere, ma a Darwin,
che non le possedeva,
possiamo anche perdonare
di aver giocato di fantasia,
tanto più che vi accennò solo
come ipotesi, e non vi insistette.
A maggior ragione non possono
accusarlo i “creazionisti”
che, quanto a giocare di fantasia,
hanno descritto per filo e
per segno le modalità della
creazione delle specie, da parte
di un Tizio barbuto e canuto,
come se vi avessero assistito,
in tempi in cui si ignorava
del tutto persino la funzione
dei due sessi nella riproduzione.
Come non molti convinti darwinisti
sanno, la teoria dell’evoluzione
fu escogitata contemporaneamente
da C. R.
Darwin e da A. R. Wallace, in
Malesia. Ebbene, proprio nel
1870 (anno di pubblicazione
di “Origine dell’Uomo”), Wallace
scriveva a Darwin di
essersi convinto che lo spirito
umano non poteva essersi originato
dall’evoluzione di un
cervello scimmiesco. Darwin
gli rispondeva testualmente:
«Spero che Ella non abbia del
tutto ucciso la Sua e mia creatura
». Quel “del tutto” mi
sembra abbastanza eloquente
per mostrare in quale stato
preagonico Darwin - profeta
per forza - riteneva versasse la
sua evoluzione per selezione
naturale. Altra classe - vien da
dire - rispetto ai suoi cosiddetti
epigoni che, ancor oggi, chiudono
volutamente gli occhi
davanti a tutte le smentite e a
tutte le confutazioni!
Se non basta, si consideri che,
nei dodici anni di vita che gli
erano concessi (morì nel 1882,
come Garibaldi), egli scrisse
ben sette altri libri, in nessuno
dei quali si fa più cenno alla
evoluzione: una dimenticanza?
No, cari amici! Darwin non
era un darwinista maniaco!
Non era esente da certe debolezze
umane, ma forse qualcuno
di voi ne è esente, cominciando
da chi scrive? Lui e la
sua onorabilità furono le prime
vittime del trinariciuto darwinismo
di sociologhi e politici.
Per questo mi sento in dovere,
io convinto antidarwinista, di
difenderlo.
Nel lontano 1935, vedete,
quando presi la licenza ginnasiale,
mio padre mi regalò un
libro: “Viaggio di un naturalista
intorno al mondo”. L’autore
era C. R. Darwin, venticinquenne
e non ancora evoluzionista,
ed era il racconto delle
sue osservazioni biologiche
durante le crociera del brigantino
Beagle, cui era stato
aggregato come zoologo.
Un’opera affascinante di passione
naturalistica, che lessi e
rilessi per anni, e dalla quale
ebbe in gran parte origine la
mia passione per gli animali
che mi indusse a studiarli fino
ad oggi. Quello, mi si perdoni,
è il Darwin il cui ricordo conservo
nel mio cuore come di
un amico di gioventù, e che
non sopporto di veder promosso
a profeta indiscutibile della
nefasta dottrina che è stata da
altri, e per tutt’altri interessi
che naturali, iniettata agli ignari.
Diffamazione, si chiama la
loro, anche se purtroppo non
procedibile per difetto di querela
e per prescrizione!