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La guerra del petrolio

di redazione ECplanet - 08/03/2007

 



Stati Uniti e Unione Europea hanno approvato l'accusa della Corte Penale Internazionale (CPI) contro due alti dirigenti del governo del Sudan: l'ex ministro degli Interni, Ahmed Haroun (ora ministro degli Affari Umanitari), e un suo collaboratore a capo della milizia sudanese Ali Abd-al Rahaman, meglio conosciuto come Ali Kushayb. I capi dell'accusa sono stati presentati martedì dal procuratore Luis Moreno Ocampo davanti ai 18 giudici della CPI, la cui sede è all'Aja, in Olanda: crimini di guerra e contro l'umanità.

Nella ricostruzione della procura ci sono «51 capi di imputazione per crimini di guerra e contro l'umanità, fra cui persecuzioni, omicidii, tortura e stupri», commessi fra l'agosto 2003 e il marzo 2004 contro abitanti di villaggi dell'ovest del Darfur. Di più, secondo le Nazioni Unite, sarebbero almeno 200 mila i morti dall'inizio della guerra civile nel Darfur, che ha causato 2,5 milioni di profughi. L'inchiesta era cominciata nel giugno del 2006. «Nel Darfur sono stati commessi crimini di guerra e contro l'umanità ed il responsabili vanno processati», ha detto il procuratore Ocampo, presentando davanti ai giudici i risultati di 70 missioni in 17 paesi fatte dal suo gruppo per esaminare i casi di centinaia di vittime e raccolto numerose testimonianze.

La CPI, costituita a Roma, il primo tribunale permanente incaricato di giudicare i crimini di guerra e contro l'umanità quando i giudici di un paese non possono e non vogliono procedere, è divenuta realtà il 1 luglio 2002, dopo la ratifica del trattato istitutivo a Roma da parte di sessanta Paesi. Dal 1 gennaio 2004, i Paesi sono diventati 104. La CPI è presieduta dal giudice canadese Philippe Kirsch.

Il Darfur, regione situata all'ovest del Sudan, nel deserto del Sahara (un territorio che copre una superficie di circa 490 000 km², in gran parte formato da un altopiano, con una popolazione stimata in circa 6 milioni), è in maggioranza costituita da popolazioni musulmane, come nel resto del nord della nazione. Il territorio è suddiviso in tre province: Gharb Darfur con capitale Al-Genaina, Chamal Darfur con capitale Al Fachir e Djanoub Darfur con capitale Nyala. A lungo governato dai musulmani, il sultanato del Darfur raggiunse la massima potenza tra la fine del XVII ed il XVIII secolo. Inglobato nell'Egitto nel 1874, fu coinvolto nella rivoluzione mahdista, ottenendo, nel 1898, una certa indipendenza.

Dal 2003, il Darfur è teatro di un feroce conflitto che vede contrapposti la locale maggioranza nera alla minoranza araba (maggioranza nel resto del Sudan). Quest'ultima è però appoggiata dal governo centrale, che è accusato di tollerare le feroci scorribande della tribù nomade-guerriera dei Janjaweed (“Cavalieri del Diavolo”), anch'essa di origine araba. Il conflitto, iniziato nel febbraio del 2003, vede contrapposti proprio i Janjaweed, un gruppo di miliziani reclutati fra i membri delle locali tribù nomadi dei Baggara, i gruppi “ribelli” JEM (Justice and Equality Movement) e SLA (Sudan Liberation Army), e la popolazione non Baggara della regione (principalmente composta da tribù dedite all'agricoltura). Il governo sudanese, pur negando pubblicamente di supportare i Janjaweed, ha fornito loro armi e assistenza e ha partecipato ad attacchi congiunti rivolti sistematicamente contro i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit.

Le stime sul numero di vittime del conflitto variano a seconda delle fonti: da 50.000 (Organizzazione Mondiale della Sanità, settembre 2004) alle 450.000 (secondo Eric Reeves, 28 aprile 2006). La maggior parte delle ONG reputa credibile la cifra di 400.000 morti fornita dalla Coalition for International Justice e da allora sempre citata dalle Nazioni Unite. I mass-media hanno utilizzato, per definire il conflitto, sia i termini di “pulizia etnica” sia quello di “genocidio”. A seguito della recrudescenza degli scontri durante i mesi di luglio e agosto del 2006, il 31 agosto, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 1706, che prevede che una nuova forza di pace, composta da 20.000 caschi blu dell'ONU, sostituisca o affianchi i 7.000 uomini dell'Unione Africana attualmente presenti sul campo. Il Sudan ha avanzato forti obiezioni nei confronti della risoluzione e ha dichiarato che le forze ONU che dovessero entrare in Darfur sarebbero considerate alla stregua di invasori stranieri. Il giorno seguente, i militari sudanesi hanno dato il via ad un'imponente offensiva nella regione.

Sono state finora approvate diverse risoluzioni dal Consiglio di Sicurezza, inviata sul posto una missione dell'Unione Africana (AMIS) e discusso il caso presso la Corte Penale Internazionale dell'Aja. Le aree più critiche sono i territori del Darfur occidentale, lungo il confine con il Ciad e oltre, dove l'assenza di condizioni di sicurezza hanno ostacolato anche l'accesso degli aiuti umanitari.

Intanto, sia le forze ribelli che le truppe governative continuano ad arruolare con la forza ragazzi minorenni, nonostante, almeno per quanto riguarda l’esercito sudanese, Khartoum si fosse impegnata a non ricorrere a bambini-soldato: lo ha detto nella capitale sudanese il rappresentante speciale del segretario generale dell'ONU, Radhika Coomaraswamy, citando “dati affidabili di osservatori indipendenti”. Malgrado le dichiarazioni del governo sudanese per attivare programmi contro l'arruolamento di bambini e contro gli stupri ai danni di ragazze e bambine, tali impegni “non si sono concretizzati sul campo o almeno non se ne vedono ancora i risultati” ha detto Coomaraswamy, che si è recata sia in Darfur che in Sud Sudan, dove ha constatato le condizioni degli ex-bambini soldato in passato arruolati dall’Esercito di Liberazione Popolare del Sudan (SPLA).

Oltre ai motivi religiosi, vi sono, naturalmente, quelli economici. Il Sudan, letteralmente, galleggia sul petrolio, e il governo centrale del presidente Omar Bashir (al potere dal 1989) non vuole dividere la torta con le popolazioni locali. Bashir è spalleggiato soprattutto dai potenti investitori cinesi, che, a partire dal 1997 sono subentrati in forze al posto delle compagnie occidentali. Oggi Pechino è il maggior partner commerciale del Paese. Proprio in Sudan, la compagnia petrolifera cinese CNPC ha costruito nel 1999 il suo primo grande oleodotto estero. Una grande conduttura lunga 1400 km che si snoda dai giacimenti della regione del Kordofan fino a Porto Sudan, sul Mar Rosso, dove il greggio viene imbarcato sulle petroliere che salpano per la Cina. Dal Paese asiatico, il petrolio viene pagato in contanti, prodotti di consumo, ma soprattutto in armi micidiali, come i caccia supersonici Mig-21 che hanno spesso bombardato inermi villaggi.

Il Darfur centro-meridionale costituisce una delle zone più ricche di petrolio dell'intera Africa e, unito al Sudan meridionale, fa il settimo produttore di petrolio dopo Nigeria, Libia, Algeria, Angola, Egitto e Guinea-Bissau. Proprio l'esistenza di vasti giacimenti di petrolio nel sottosuolo del Darfur, fa ritenere le risorse sudanesi addirittura superiori a quelle del Golfo della Guinea. La Cina, a differenza degli Stati Uniti, non impone alcuna condizione politica, cioè rispetta la sovranità nazionale senza interferire negli affari altrui con i paesi con cui commercia, l'unica condizione che impone è quella di non avere relazioni ufficiali con Taiwan.

Ma l'Africa è diventata una “riserva di caccia” anche per gli Stati Uniti. In particolare, dopo l'11 settembre, il Pentagono ha inviato elementi dell'USSOCOM in Mauritania, Mali, Ciad, Niger, Algeria, Marocco, Niger, Senegal, Nigeria, Tunisia e Libia, affinchè controllino meglio il territorio per evitare che diventi un rifugio per terroristi. Attraverso la Trans-Sahara Counterterrorism, le Forze Speciali statunitensi addestrano le controparti africane alle tattiche militari, alle pratiche di tiro e alle comunicazioni con l'obiettivo di renderli autosufficienti nella loro azione. È stato il presidente degli Stati Uniti Bush in persona a dichiarare che la nuova unità AFRICOM serve a rinforzare la cooperazione in termini di sicurezza con l'Africa contro la militanza islamica, ricordando l'aiuto offerto all'Etiopia contro le corti islamiche in Somalia. Donald Rumsfeld aveva annunciato al Congresso la decisione di istituire un nuovo ordine militare unificato per l'Africa non solo per una questione di metodo, ma per gli interessi crescenti degli USA nei confronti del Continente. Rober Moeller sarà l'uomo a capo di questo programma e avrà sede in Germania finchè non si deciderà una nuova sede nel 2008.

La ricerca di fonti alternative fuori dal Medio Oriente hanno dunque attirato gli Stati Uniti nell'area africana e in particolare nel Golfo della Guinea. Gli investimenti della Exxon e Chevron-Texaco ammonteranno a circa 10 miliardi nel prossimo anno e questo significherà un aumento della presenza militare degli USA. Di fatto, il boom del petrolio in questi paesi ha visto aumentare guerre civili interne, aumento dei traffici di armi, distruzioni del patrimonio ambientale e una infinita emigrazione delle popolazioni a cui viene però impedito l'ingresso nei paesi più “sviluppati”. Una cosa è certa: la gestione delle risorse petrolifere sudanesi è e rimarrà uno degli elementi fondamentali su cui si giocherà il futuro del paese.