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Una sicurezza multilaterale alla base di un nuovo ordine mondiale

di Scott Ritter - 08/03/2007


Lontano dall’essere un “relitto della Guerra Fredda”, il Trattato INF rappresenta la base su cui costruire un ordine mondiale fondato sui principi della sicurezza multilaterale. Se l’amministrazione Bush continuerà a seguire la propria imprudente politica fondata sull’unilateralismo e la Russia concretizzerà il proprio ritiro dal Trattato INF, il mondo diventerà per tutti più pericoloso

Nell’ottobre del 1986, quello che sembrava un mero colloquio preliminare tra i capi di stato delle allora due grandi superpotenze, Ronald Reagan e Mikail Gorbaciov, si trasformò presto in un incontro dalla portata storica, che portò l’umanità alle soglie di un disarmo nucleare totale. L’incontro precedente, tenutosi nella capitale islandese Reykjavik, era stato un fallimento, e si era concluso senza neanche sfiorare il concetto di disarmo: gli americani e i sovietici certo si accordarono per una drastica riduzione delle testate da lì a un decennio, ma l’intesa venne compromessa quando Reagan insistette nel voler mantenere il sistema missilistico di difesa SDI (Strategic Defense Initiative), conosciuto anche come Star Wars.

Anche se il mondo perdeva l’opportunità di lasciarsi defnitivamente alle spalle l’abisso nucleare, l’incontro non risultò tuttavia del tutto inutile. Poco più di un anno dopo, dalle fondamenta di rispetto e fiducia gettate a Reykjavik, Ronald Reagan e Mikail Gorbaciov firmarono il Trattato INF (Intermediate Nuclear Forces Treaty) che portò alla completa eliminazione di due intere classi di missili nucleari (a raggio medio e corto) e all’introduzioni di rigide ispezioni internazionali sul proprio territorio, che mutarono per sempre il punto di vista mondiale sul controllo delle armi e il disarmo.

Conservo un ricordo nitido di quei giorni. Come ufficiale dei marines, partecipai alla prima squadra assegnata alla On-Site Inspection Agency, col compito principale di dare attuazione al Trattato INF. Nel giugno del 1988, neanche sei mesi dopo la firma del trattato, ebbi l’onore di partecipare alla prima ispezione come membro di un gruppo inviato in un impianto sovietico di produzione missili, alla periferia di Votkinsk. Nei due anni successivi ho contribuito a un nuovo capitolo della storia del controllo degli armamenti, supervisionando l’installazione di un impianto di monitoraggio all’esterno di uno stabilimento che aveva prodotto missili a raggio medio (SS-12 e SS-20) e stava ancora producendo il modello SS-25 (missile intercontinentale con testate multiple e veicolo di lancio costituito da un autocarro).

Oltre ad assicurarci che i sovietici rispettassero l’accordo a loro volta (come gli americani, anch’essi monitoravano un centro nella città di Magna, nello Utah, dove erano stati prodotti i missili Pershing II), il nostro lavoro a Votkinsk, e ovunque altrove, facilitò un’intesa più ampia e profonda tra due superpotenze che, prima del Trattato INF, si erano giurate distruzione reciproca. La condivisione di un sistema comune di ideali e valori umani consentì di superare le barriere create dalla diffidenza e dalla villania tipiche degli anni della Guerra Fredda. Il Trattato INF condusse ad ulteriori iniziative di disarmo; un esempio è quello del START (Strategic Arms Reduction Treaty – Trattato per la Riduzione delle Armi Strategiche), che prevedeva limiti al numero di armi e mezzi di cui ogni fazione poteva dotarsi. In seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, questo accordo iniziò a regolare gli arsenali nucleari della Russia e delle altre repubbliche.

Quando il presidente George W. Bush, nel giugno del 2001, fissò negli occhi il presidente russo Vladimir Putin e “comprese la sua anima”, avrebbe dovuto guardare meglio. Sebbene i due leader se la intendessero sul piano personale, il loro primo incontro venne compromesso a causa della preoccupazione russa sull’espansione della NATO e delle mire Usa verso uno scudo missilistico difensivo. La firma del Trattato di Mosca, nel giugno del 2003, avrebbe dovuto consentire a Bush di conoscere meglio la suscettibilità del leader russo. Mentre il presidente Usa parlava di un accordo “fondato sul rispetto reciproco e un impegno comune per un mondo più sicuro”, le aree critiche di interesse russo (l’espansione della NATO e il sistema missilistico di difesa americano) venivano considerate solo in modo vago, costringendo così gli Stati Uniti a garantire ai russi di non provare alcuna ostilità rispetto al loro paese.

Oggi l’anima di Putin è più che mai tetra. Pur avendo investito un certo capitale politico nell’avvicinarsi alla politica di Bush – sperando, in questo modo, di dare nuova linfa alla relazione Russia-Stati Uniti – Putin non solo ha fallito nel raggiungimento di accordi fondamentali, ma ha visto incrinarsi lo stato di sicurezza della sua nazione a causa dell’“unilateralismo” americano. Sin dall’inizio della relazione tra Bush e Putin, i russi hanno sempre mostrato una discreta prudenza verso la tendenza unilaterale americana. L’uscita Usa dall’Anti-Ballistic Missile Treaty (2001), l’invasione dell’Iraq (2003), l’espansione della NATO fino ai confini della Russia (2004), hanno messo a dura prova la pazienza e la credibilità del leader russo. La politica di ferro condotta dagli Stati Uniti nei confronti dell’Iran nel 2005 ha aggravato la frizione tra i due paesi – anche se ciò che sembra essere stata l’ultima goccia è stato l’annuncio americano, nell’ottobre del 2006, di voler costruire una grande base missilistica sia in Polonia sia in Repubblica Ceca.

Putin aveva tollerato la decisione presa dall’amministrazione Bush di ritirarsi dall’Anti-Ballistic Missile Treaty, notando che, nonostante non fosse una buona scelta, non era neanche una minaccia diretta contro la Russia. Però l’audacia nei confronti dell’unilateralismo americano e dell’espansione della NATO ha indebolito la sua posizione a Mosca. Le nuove iniziative americane rappresentano tutto ciò che i russi hanno sempre temuto: un’inesorabile marcia americana verso il completo annullamento della Russia come superpotenza. Un sistema centrato sull’America sarebbe stato inaccettabile per il ristretto circolo della leadership russa. Grazie alle crescenti entrate derivanti dal petrolio, per qualche tempo i russi hanno ricostruito silenziosamente la loro antica, immensa industria militare. Qualche anno fa, testarono con successo un nuovo missile balistico intercontinentale con lanciatore mobile (comunemente detto ICBM, Intercontinental Ballistic Missile), il modello SS-27M Topol, che presenta caratteristiche di resa mirate alla sconfitta dei parametri operativi del sistema missilistico difensivo americano. In sostanza, Putin ne ha abbastanza degli Stati Uniti che mirano a costruire un sistema missilistico difensivo a ombrello sfruttando i nuovi membri della NATO che vivono al confine con la Russia.

All’inizio del mese scorso, nel suo discorso alla Munich Security Conference, Putin ha condannato la condotta americana che mira alla creazione di un mondo “unipolare”. Il leader russo ha affermato che gli Stati Uniti mirano alla “creazione di un solo centro di forza mondiale, all’istituzione di un unico padrone”. Ha continuato osservando che “l’America ha scavalcato i suoi confini in ogni modo: lo si vede dai sistemi economici, politici, culturali ed educativi che impone alle altre nazioni”, e ciò equivale a un “disastro”. Molti osservatori hanno giudicato controproducenti le uscite di Putin, altri le hanno definite nient'altro che retorica. Questa volta, però, la reazione russa è sembrata andare oltre. Rifacendosi alla stessa ragione richiamata dagli Stati Uniti in occasione del ritiro dall’ABM Treaty, il ministro della difesa russo, Sergei Ivanov, ha definito il Trattato INF un “relitto della Guerra Fredda”, mentre il capo di stato maggiore delle forze armate, Yuri Baluyevsky, ha affermato che la Russia se ne potrebbe ritirare completamente.

Un eventuale ritiro russo dal Trattato INF sarebbe un disastro per l’Europa, per la NATO, per la sicurezza globale e, come dovrebbe essere evidente sia per i membri del Congresso che per i cittadini americani, anche per gli Stati Uniti. Sin dall’inizio, i sostenitori americani dell'unilateralismo hanno definito la difesa missilistica come la “panacea” della sicurezza reale, riproponendola come unica risposta possibile alle minacce di Russia, Iraq, Iran e Corea del Nord. La realtà è molto diversa. La difesa missilistica ha sempre seguito una linea simile a quella ideata dalla Francia dopo la prima Guerra Mondiale (linea Maginot) – adottando ogni volta tecnologie già obsolete prima ancora di essere attuate. Dato che intercettare missili è molto più difficile che lanciarne, la realizzazione tecnologica dei sistemi di lancio è sempre stata più rigorosa rispetto a quella dei sistemi di intercettazione. Questo significa che un sistema di difesa missilistico non sarà mai capace di prevenire il pericolo, soprattutto se questo viene da una superpotenza come la Russia. Se la Russia si ritira dal Trattato INF, gli Usa e la NATO dovranno presto confrontarsi con un’intera nuova generazione di missili a corto e medio raggio che rappresenteranno, ancora una volta, una potenziale minaccia per le città europee.

Ho avuto l’opportunità di servire la mia nazione, contribuendo a mettere da parte una serie di armi nucleari che destabilizzavano la sicurezza dell'America, dell'ex Unione Sovietica e di tutta l'Europa. Esistevano già accordi che, sia in termini di disarmo che di controlli internazionali, avevano reso possibile la riduzione delle forze militari convenzionali, l'eliminazione delle armi di distruzione di massa in Iraq e l'espansione del Trattato di non proliferazione nucleare – e non solo. Grazie alla politica dell'amministrazione Bush, però, questi progressi diventeranno presto un ricordo del passato, sotto la bandiera dell’unilateralismo. Una delle lezioni fondamentali, partendo dagli accordi iniziali sul disarmo stipulati quasi vent’anni or sono da Ronald Reagan e Mikail Gorbaciov, è che il mondo in cui viviamo è un mondo multilaterale, un mondo che presenta problemi multiformi che richiedono soluzioni poliedriche.

Il Trattato INF ha incarnato lo scenario ideale per lo sviluppo di negoziati multilaterali sul disarmo. Il mondo attuale richiede la necessità di misure di sicurezza di questo tipo. Lontano dall’essere un “relitto della Guerra Fredda”, il Trattato INF rappresenta la base su cui costruire un ordine mondiale fondato sui principi della sicurezza multilaterale. Se l’amministrazione Bush continuerà a seguire la propria imprudente politica fondata sull’unilateralismo e la Russia concretizzerà il proprio ritiro dal Trattato INF, il mondo diventerà per tutti più pericoloso.

 

Scott Ritter è stato ispettore Onu per gli armamenti in Iraq tra il 1991 e il 1998. Prima di lavorare per le Nazioni Unite è stato ufficiale dei marines e consigliere del generale Schwarzkopf nella prima guerra del Golfo. Attualmente è opinionista di FoxNews. Ritter è autore di Iraq Confidential – Intrighi e raggiri: la testimonianza del più famoso ispettore ONU (prefazione di Seymour Hersh, prefazione all'edizione italiana di Gino Strada).

Fonte: AlterNet
Traduzione a cura di Margherita Ferrari per Nuovi Mondi Media