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Bush, viaggio nel "cortile" che non c'è più

di Siro Asinelli - 08/03/2007




“Aiutare i nostri vicini del Sud a costruire una vita migliore rappresenta un’importante priorità per gli Stati Uniti”. Il presidente statunitense George W. Bush ha tentato il tutto per tutto per convincere l’America Latina che il tour che lo vedrà impegnato da domani fino al 14 marzo in una serie di incontri tra Brasile, Uruguay, Colombia, Guatemala e Messico, sarà il trampolino di lancio per una nuova politica a stelle e strisce. Ma il discorso sulle nuove politiche in quell’area che a Washington definiscono “l’emisfero occidentale” non farà breccia nel cuore di coloro che lo stesso presidente ha definito – testuali parole – “trabajadores y campesinos”. In Brasile, in Uruguay, così come in Guatemala, “lavoratori e contadini” sono già in piazza, con qualche giorno d’anticipo, per criticare l’arrivo di Capitan America, o meglio, come lo definiscono le centinaia di migliaia di manifestanti che in queste ore sono in marcia verso la tenuta presidenziale uruguayana di Anchorena per contestare l’incontro tra Bush e Tabaré Vazquez, “il più grande genocida del pianeta”. Per gli organizzatori della carovana anti Usa, “è un errore accogliere colui che vuole spezzare l’unità latinoamericana”, come sottolineato dal segretario della Confederación Nacional de Trabajadores, Juan Castello. Già, proprio uno di quei “trabajadores y campesinos” cui Bush ieri ha voluto mandare il suo fasullo messaggio di pace democratica: “Negli Stati Uniti voi avete un amico, noi abbiamo a cuore le vostre condizioni”.
L’arrivo di Bush in America Latina doveva essere il ritorno trionfale della defunta influenza statunitense nel loro ex cortile di casa. Preceduto da una sequela di considerazioni e dichiarazioni di uomini della sua amministrazione che rasentano la diffamazione – a mezzo stampa embedded – il presidente della potenza Nord americana si trova invece a dover affrontare un palcoscenico ostile come mai lo era stato negli ultimi decenni. Un’avversione che non si riflette più solamente nei tanti, tantissimi, movimenti politici, sociali, guerriglieri nati per contrastare l’imperialismo a stelle e strisce ed i regimi locali di turno, ma nelle istituzioni di Paesi che stanno scoprendo, in forme e grado diversi, che può esistere un’alternativa allo strapotere di Washington. Un’alternativa che il presidente venezuelano Hugo Chávez Frías ha definito, con lungimiranza e lucidità politica, “integrazionista”. Di fronte al Bush di turno l’America Latina non si presenta più come una galassia di vassalli pronta a rispondere al richiamo dell’impero, ma Stati finalmente sovrani, padroni delle loro economie e delle loro politiche.
Il bienvenido sarà “caloroso” sin dalla prima tappa, San Paolo del Brasile. Una grande manifestazione – organizzata da una miriade di sigle politiche e sociali tra cui campeggiano Sin Tierra, la Central Unica de Trabajadores e la Unión Nacional de Estudiantes - accoglierà la delegazione presidenziale Usa. Alla chiamata ha aderito anche la formazione del presidente Lula, il Partito dei lavoratori (PT), la cui dirigenza si è detta perfettamente in linea con le contestazioni: contro la politica di aggressione, il blocco statunitense contro Cuba, e, soprattutto, contro gli accordi bilaterali sul libero commercio che gli Usa vorrebbero strappare alle singole amministrazioni latinoamericane dopo il fallimento sostanziale dell’Alca.
In un Uruguay già mobilitatosi, l’inquilino della Stanza Ovale giungerà nel tentativo di rimettere in sesto il TLC con Montevideo, fortemente in bilico dopo che Brasile ed Argentina hanno chiaramente fatto intendere che un accordo tra uruguayani e statunitensi non sarebbe gradito in ambito MERCOSUR. In Guatemala Bush non potrà aspettarsi di meglio: lo scorso fine settimana la polizia è stata costretta a disperdere con la forza i manifestanti che stavano assediando l’ambasciata a stelle e strisce. Con queste premesse, è facile credere a mobilitazioni senza precedenti.
Una boccata d’ossigeno Bush la prenderà prevedibilmente in Colombia prima ed in Messico dopo.
Non fosse altro che, assieme al Perú, si tratta di amministrazioni fedeli. E soprattutto, il viaggio della speranza sarà in dirittura d’arrivo.