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Biocarburanti, un biomercato a rischio di (bio)monopolio

di Lucia Venturi - 08/03/2007

Tra i temi in discussione in questi due giorni al Consiglio Europeo, oltre al fatto se l’obiettivo delle rinnovabili al 20% per il 2020 debba essere a carattere indicativo oppure obbligatorio e se rimarrà l’obiettivo unilaterale dell’ UE di riduzione delle emissioni di gas serra , ci sono anche altre due questioni che pur rimanendo sullo sfondo, rappresentano invece punti nodali.
Uno riguarda il tema se –come fortemente vuole la Francia- il nucleare potrà rientrare nel bilancio di riduzione delle emissioni di gas serra e quindi essere contabilizzato nel mix delle energie rinnovabili, l’altra la liberalizzazione del mercato dell’energia all’interno dei confini europei, con la completa e definitiva separazione proprietaria tra le reti di distribuzione e la produzione.

Entrambi elementi di un approccio al tema energetico che non riesce a liberarsi del sistema attuale della centralizzazione della produzione seguito dalla distribuzione. E che non riesce a cogliere la necessità di approdare invece al paradigma della produzione distribuita, per poter dare pieno avvio alle energie rinnovabili, al risparmio e all’efficienza energetica e affrontare quindi pienamente la sfida di riduzione dell’effetto serra. E la necessità di capillarizzare queste azioni, passa per una altra esigenza, che è quella di garantire libero accesso alla rete di distribuzione ai tanti produttori che questo schema prevede. Dai distretti ai condomini sino ad arrivare ai singoli cittadini, per la produzione su piccola scala da rinnovabile o in cogenerazione sono necessarie condizioni di accesso alla rete più favorevoli rispetto alla produzione da fonte convenzionale.

Qui interviene la resistenza da parte di un sistema che non vuol cedere al nuovo paradigma. E che di fronte alla necessità di smarcarsi dall’uso del petrolio e delle altre fonti fossili, per far fronte al surriscaldamento del pianeta, ormai ammesso anche dai più reticenti, cerca di riproporre lo stesso schema. Che è quello di avere la posizione predominante (non potendo più parlare di monopolio !), sia che si parli di materia prima, sia che si parli di produzione, sia che si parli di distribuzione dell’energia. E che ripropone lo stesso sistema basato sui consumi: di materia prima e di energia prodotta.

Nel caso dei biocarburanti ad esempio, assolutamente preferibili, in fatto di emissioni complessive, a quelli petroliferi: Se però non rispettano nella loro produzione e nel loro utilizzo criteri di sostenibilità, non possono essere intesi come “fonti alternative”, nel senso vero della parola. Se per mantenere l’attuale standard di motorizzazione, si deve sostituire benzina o diesel con carburanti prodotti consumando territori ed acqua con rapporti assolutamente sbilanciati, dov’è la sostenibilità? Diverso è il caso della filiera che sfrutta terreni marginali e colture poco idroesigenti.

E anche per i biocarburanti, l’approccio è quello del raggiungimento di una discreta massa critica, per permettere di esercitare maggiore influenza sul mercato e quindi posizioni di potere. Stesso schema usato da chi ha avuto sino ad ora il vantaggio sulle fonti fossili. Vedi Gazprom. Ma anche l’avvicinamento tra Bush e Lula per raggiungere un accordo sul bioetanolo:Usa e Brasile, insieme già coprono il 90% della produzione mondiale del biocarburante sostituto della benzina. Dietro di loro, anche se con quote assai più basse, ci sono Cina e India. Un loro accordo potrà certo determinare una predominanza sul settore, oltre naturalmente a significare lo sviluppo di altri indotti nelle rispettive economie.
Il rischio è che, come esisteva il “monopolio” del greggio operato dalle sette sorelle, si riproduca un analogo meccanismo di “cartello” anche sui biocarburanti.

E lo schema della posizione predominante è anche quello che sta dietro la resistenza all’apertura del mercato energetico a livello europeo. In alternativa all’unbundling, ovvero la separazione societaria tra chi produce e chi distribuisce energia, la Eon tedesca ha proposto una via di mezzo: un mercato unico su base regionale a partire dai paesi del centro Europa (Benelux. Austria, Francia e Germania) e lasciare che il sistema raggiunga l’armonizzazione di regole e procedure.

Insomma lasciare un mercato sostanzialmente chiuso ad un club ristretto, protetto dalla politica, e che si confronta con il resto degli altri mercati regionali europei, ristretti e coperti dalla politica, anziché andare verso un sistema elettrico integrato, e quindi ad una vera apertura. Ipotesi questa ben vista sia dalla presidente Merkel sia da Chirac e che fa il paio con quella di porre obiettivi indicativi e non vincolanti per le energie rinnovabili. E che fa parte della stessa logica che finora non ha certo portato ad un reale cambiamento di rotta nell’attuale sistema energetico continentale.