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Quei lunghi viaggi che solcano il clima

di Marinella Correggia - 09/03/2007

 
Il settore dell'aviazione civile provoca a livello mondiale più emissioni di gas serra di tutti i paesi africani messi insieme ed è quello il cui contributo ai gas serra aumenta più in fretta, come abbiamo riferito più volte su terra terra. I prossimi 26 e 27 marzo molti attivisti europei delle campagne per la riduzione delle emissioni da trasporto aereo arriveranno a Bruxelles (in treno) per partecipare a un seminario con parlamentari europei, membri della Commissione, associazioni ambientaliste e comitati di cittadini residenti in prossimità di aeroporti in perenne espansione. L'obiettivo dell'incontro sarà esplorare insieme l'efficacia che potrebbe avere l'inclusione del settore aereo nello schema di commercio di emissioni dell'Ue e il varo di misure fiscali - come tasse sul kerosene (il carburante degli aerei) o sulle emissioni stesse. Il momento è importante perché durante il 2007 il Parlamento europeo e il Consiglio dei Ministri dell'Unione dovranno discutere una proposta in materia avanzata dalla Commissione alla fine del 2006. Pochi mesi prima - luglio 2006 - l'europarlamento aveva appoggiato con ampia maggioranza un rapporto del suo Comitato per l'ambiente che proponeva una serie di misure per ridurre le emissioni. Fra queste: un sistema di commercio delle emissioni «chiuso»; una tassa sulle emissioni; una tassa, interna all'Ue, sul kerosene; l'abolizione delle esenzioni d'imposta di cui gode il settore. Insomma, più che altro la fine di un buon numero di privilegi che si è accompagnata a numerose sovvenzioni (basti pensare a quelle a Ryan Air, compagnia low cost che ha sconvolto la vita degli abitanti di Ciampino).

In confronto all'aereo, la nave è un mezzo di trasporto passeggeri e merci di gran lunga meno pesante per il clima. Trasportare una tonnellata di merci per un chilometro costa circa 0,90 kg di CO2 se il mezzo usato è l'aereo; lo stesso kg trasportato in nave transoceanica «costa» 0,00675 kg. E meno male, perché il 90 per cento del traffico mondiale di merci è via mare. Il problema, però, è che il commercio internazionale è raddoppiato negli ultimi 25 anni. E' la globalizzazione, bellezza. Nel mondo si spostano sempre più cose, dai combustibili fossili alle derrate alimentari. Scambi in gran parte nient'affatto necessari (sorprende ad esempio sapere che ogni anno l'Italia importa perfino tonnellate di fiori di plastica dalla Cina).

Un recente studio dell'Istituto per la fisica e l'atmosfera di Wessling, Germania, citato dal quotidiano inglese Guardian, ha stimato che le emissioni totali del settore trasporto marittimo sono più elevate del previsto e potrebbero crescere del 75 per cento nei prossimi 15-20 anni, se il commercio mondiale continuerà a espandersi. Secondo i calcoli dell'istituto tedesco la flotta globale di 70 mila navi ha utilizzato circa 280 milioni di tonnellate di carburante nel 2001, che potrebbero diventare 400 milioni nel 2020. Sull'ordine di grandezza è d'accordo anche la multinazionale Bp, proprietaria di una flotta di 70 navi petroliere.
Le emissioni totali di CO2 da trasporto marittimo sono stimate intorno al 4 per cento delle emissioni totali da attività antropiche e intanto le navi diventano sempre più grandi e più veloci e più numerose: sono state ordinate 20 mila nuove imbarcazioni. L'International Maritime Organization (Imo: agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa della sicurezza marittima e della prevenzione dell'inquinamento da navi; il suo motto è «trasporto marittimo sicuro ed efficiente per oceani puliti»), dovrà farsi carico di una strategia per le emissioni di gas serra; anche un suo studio ha stimato che le emissioni da qui al 2020 aumenteranno moltissimo - di oltre il 70 per cento - a causa dell'aumento della domanda.
E il Tyndall, istituto di ricerca indipendente in Irlanda, ha lanciato nei giorni scorsi uno studio di due anni sulle emissioni delle navi, sostenendo che il problema ha bisogno di essere affrontato con urgenza.