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Ecco perchè la mente non può ridursi a impulsi elettro-chimici

di Filippo Tempia - 09/03/2007

Una concezione riduttiva della razionalità vorrebbe ricondurre le attività cerebrali a reazioni chimiche. Ma non funziona

Scienza, ragione «ristretta»

Le nostre azioni non sono una mera conseguenza meccanica degli antecedenti fisici attivati nel cervello


L'uso della ragione imposto dalle scienze della natura è sempre più considerato come il tribunale ultimo per giudicare ciò che è vero anche rispetto alla vita di tutti i giorni. Si considera "vero" solo ciò che le "scienze" ci dicono essere "vero". Questo uso "ristretto" della ragione impone un'idea di uomo come un mero meccanismo, quasi un oggetto meccanico, che, come tale, non può essere capace di un solo atto libero. A maggior ragione, in quest'ottica, appare assurda l'idea che l'uomo sia esigenza di infinito. Se questo fosse vero, non resterebbe all'uomo che adattarsi passivamente agli scossoni dell'ambiente, come un buon meccanismo che non voglia sciuparsi, rinunciando alle esigenze che il cuore umano impone - che impone tanto potentemente, che chi si pone in quest'ottica è costretto a censurarle. Questa concezione è rafforzata da un'interpretazione superficiale, che oggi è prevalente nell'opinione pubblica, dei risultati che continuamente giungono dagli esperimenti di neurofisiologia. Da un lato c'è la nostra attività mentale, che comprende ogni nostra esperienza cosciente, dalla più semplice come la percezione del dolore alle esperienze più complesse come l'attività pensante di un ragionamento che mi porta ad operare una determinata scelta di vita; dall'altro lato c'è l'attività cerebrale, che consiste in segnali elettrici e chimici che avvengono nel cervello. Mentre l'attività mentale la posso conoscere direttamente solo in me stesso, l'attività cerebrale è indagabile mediante misure di segnali elettrici e chimici. La neurofisiologia ci dimostra chiaramente che questi due diversi aspetti dell'uomo sono strettamente connessi. Infatti, ogni evento mentale è correlato con una variazione dell'attività cerebrale, misurabile con parametri fisici o chimici e utilizzando di conseguenza le metodologie e le regole imposte dalle scienze fisiche e chimiche. Una conseguenza illecita che viene sovente tratta da questa correlazione è che anche gli eventi mentali stessi po ssano essere studiati, "visualizzati", con metodi fisico-chimici. Tra coloro che riescono a scorgere l'assurdità di questa posizione, sovente rimane la convinzione che la razionalità "ristretta" di queste scienze sia adeguata per indagare il pensiero e gli affetti umani. La divulgazione scientifica predominante riporta addirittura ad un localizzazionismo delle funzioni mentali, in apparenza giustificato dal fatto che, qualunque cosa io pensi e qualunque emozione o affetto io provi, questo pensare o provare è correlato con delle variazioni di attività nervosa localizzate in alcune aree cerebrali. Si è quindi tentati di attribuire qualunque evento mentale all'attivazione di una particolare area cerebrale: esisterebbe per esempio un'area dell'esperienza della bellezza, della giustizia, dell'amore. È vero che questa conclusione si basa sui dati sperimentali delle neuroscienze? Se studiamo le aree cerebrali che si attivano durante il giudizio estetico di bello/brutto, notiamo che sono ampiamente sovrapposte a quelle del giudizio morale di giusto/ingiusto. A ben vedere, si tratta delle aree cerebrali la cui attività è correlata al pensiero razionale, in cui vengono ponderati esplicitamente e coscientemente tutti gli elementi in gioco al fine di giungere ad una decisione del comportamento da attuare o del tipo di giudizio da scegliere. Questa valutazione razionale non utilizza solo elementi puramente logici, ma tiene conto anche delle emozioni e degli affetti. Infatti, sono questi ultimi i più importanti per le decisioni della nostra vita, come testimoniato dal fallimento delle vite di persone che hanno lesioni cerebrali che impediscono al loro ragionamento di tener conto delle emozioni e degli affetti. In altre parole, non esiste un'area del "bello" e del "giusto", che si "accende" come una lampadina quando proviamo le sensazioni di bellezza e giustizia, ma esistono delle aree di corteccia cerebrale che si attivano durante il pensiero razionale, esteso agli elementi emot ivi e affettivi. Certamente non è un caso se queste aree cerebrali sono praticamente esclusive dell'uomo, essendo quasi assenti o minime persino negli animali a noi più simili: le scimmie antropomorfe. Una possibile concezione, con cui concordo pienamente, è che l'attività correlata fisico-chimica e mentale in queste aree sia il substrato della libertà di decisione dell'uomo, del libero arbitrio. Ovvero, l'esito della ponderazione razionale che avviene nella correlazione tra queste aree e gli eventi mentali, non è una mera conseguenza meccanica degli antecedenti fisico-chimici del cervello. L'idea di conseguenza meccanica completamente determinata dagli antecedenti fisico/chimici è giustificata solo se si censura il fatto, inconfutabile, che essa non è l'unico attore di questa scena, ma che la condivide con gli eventi mentali ad essa correlati. Mentre è in corso la valutazione razionale, le attività cerebrale e mentale procedono vagliando tutti gli elementi a cui possono accedere. Durante questo processo di valutazione cosciente, in qualunque istante la decisione razionale può cambiare. In altre parole, l'esito di tale valutazione non è predeterminabile come avviene per gli eventi meccanici. L'idea di non prendere in considerazione l'esistenza di un'attività mentale correlata ai parametri fisico-chimici del cervello è un esempio di restrizione ingiustificata della ragione. Ancor più illogica è un'altra posizione: di applicare all'attività mentale le stesse leggi e le stesse metodologie che hanno successo nel campo della fisica e della chimica. Concezioni di questo tipo derivano dall'assunzione che la razionalità di queste scienze esaurisca tutti i generi di ragione possibili e utilizzabili. Allargando l'ambito della ragione, è molto più facile evitare di cadere in trappole della ragione "ristretta" che impediscono di valutare la realtà in base a come essa è realmente, anziché come ci costringe a pensarla una razionalità derivata da un sottoinsieme delle scienze.