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Nasce il movimento mondiale contro le basi Usa

di Diletta Varlese - 11/03/2007

 
Da Okinawa a Vicenza, passando da Vieques Nasce il movimento mondiale contro le basi

A Quito (Ecuador) cittadini di 35 paesi dei cinque continenti si coalizzano contro le basi militari (americane ma non solo) nel mondo. E si raccontano: ragazze stuprate in Giappone, terre abbandonate a Porto Rico, proteste in Veneto... E chi ce la farà I sardi della Maddalena attendono il 2008: «Abbiamo imparato da quelli di Porto Rico, che hanno fatto anni di disobbedienza civile» Chi ce l'ha fatta «Quei marines hanno violentato la ragazzina», racconta una donna di Okinawa.

Gente da tutto il mondo. Visi bianchissimi e occhi azzurri gringos si mescolano a occhi a mandorla asiatici e volti ovali e gentili dei popoli del Pacifico, la pelle scura degli andini seduti vicino ai corpi generosi delle donne del Caribe. Trentacinque paesi, cinque continenti: «tutto il mondo anti-militarizzazione» è presente nell'auditorium della Pontificia Universidad Catolica dell'Ecuador, a Quito. All'entrata un pannello gigante, con lo sfondo azzurro del mare che abbraccia tutta la terra, mette in rilievo un emisfero costellato da puntini. Tanti puntini rossi che segnalano le basi militari, come se i potenti del mondo ci avessero giocato a freccette.

I paesi più martoriati: l' Europa, il sud est asiatico, il centro e sud America. Anche l'Africa non manca. Lì le freccette puntano specificamente alle aree con maggiori risorse naturali: minerali, petrolio, acqua. Sotto quei puntini indicatori, ad abitare fisicamente quelle aree, le popolazioni fatte di carne ed ossa. L' intera conferenza mondiale del movimento No Basi si è focalizzata sui danni che queste presenze sgradite comportano: inquinamento da uranio impoverito, piombo e altri scarti della sperimentazione bellica, terre sgomberate e poi lasciate ad agonizzare sotto la dicitura «riserva naturale inaccessibile», economie disfatte dal controllo dei militari, generazioni di donne stuprate e fatte prostituire. «Vicenza, Vicenza...». Corre e ricorre la parola Vicenza, pronunciata nei più bizzarri accenti. Perchè Vicenza nella memoria recente rappresenta l'ultimo levantamiento di un popolo che ha preso coraggio e ha detto «non qui né adesso né mai» in faccia al governo di turno. Perchè, è stato ribadito qui più volte, chi decide la presenza su un territorio, sono gli abitanti dello stesso.

A Okinawa, isola giapponese del Pacifico che rappresenta lo 0.6% del territorio nazionale, sono presenti il 67% dei militari statunitensi dell'area asiatica. Qui si è trovata la base operativa delle guerre statunitensi contro la Corea ed il Vietnam. E qui la situazione per le donne è pesantissima sin dal secondo dopo guerra: stupri di donne, di giovani e di bambini. Racconta Suzuyo Takazato, del gruppo Okinawa women act against mllitary violence: «Nel 1995 tre soldati statunitensi, nel giorno di festa nazionale degli Usa, affittarono un'auto, comprarono del nastro adesivo e dei preservativi e andarono in giro per l'isola a caccia di donne finché non trovarono una ragazzina di 12 anni. Imbavagliata, la gettarono nell'auto. E poi la stuprarono, in tre. Sono rimasti impuniti, il giudice concesse l'attenuante del rapporto era consensuale: una ragazzina di 12 anni...». Questo fatto drammatico è stata la goccia che ha fatto sollevare la popolazione di Okinawa, che da quel momento - dopo 60 anni di soprusi - ha cominciato a premere perché la base Usa smantellasse e gli ospiti sgraditi se ne andassero. Ad oggi ce l'hanno quasi fatta.
Anche i sardi della Maddalena aspettano lo smantellamento della base nel 2008. Ma già sanno, dice Mariella Cao del comitato sardo Gettiamo le basi, che si troveranno ad avere a che fare con le conseguenze ambientali dell'ex base e dei suoi sottomarini atomici. Nel 2003 la lotta di Vieques, a Porto Rico, ha fatto da scuola al movimento sardo: la popolazione viequense, dopo mesi di disobbedienza civile non violenta, ha ottenuto il ritiro degli statunitensi. Ricorda Mariella Cao: «Abbiamo preso forza anche noi sardi e abbiamo cominciammo a denunciare ad alta voce la nostra situazione: di 150 abitanti dell'area 20 hanno leucemie e cancro, c'è il 177% di linfomi e più 335% di melanomi rispetto alla media nazionale. Il problema alla Maddalena, come a Vieques, non è tanto mandarli via quanto convincerli a fare la dovuta pulizia dei residui bellici, cosa che impiega dai 10 ai 15 anni e centinaia di milioni di dollari, che gli Stati Uniti non saranno mai disposti a pagare».

Se si sovrappongono le mappe degli insediamenti militari con quelle delle risorse naturali, fa notare la studiosa messicana Ana Ester Cecena del Clacso (Consiglio Latino Americano di Scienze Sociali), è lampante come i primi si trovino in prossimità dei secondi. E' il caso della base Usa in Paraguay Mariscal Estigarribia, che ospita 16mila soldati ed è la base di atterraggio per i B-52, con un aeroporto di 3.800 metri quadri, principale roccaforte statunitense del Cono Sur. La base poggia giusto sulla più grande risorsa d'acqua potabile sotterranea dell'America latina, forse di tutto il pianeta. Il così chiamato acuifero guaranì, un milione e 200mila chilometri quadri, che si estende dal Paraguay fino al Brasile e poi giù verso Argentina e Uruguay. Dall'altro lato del Paraguay si trova inoltre la triple frontera, al confine con Argentina e Brasile, dove - dice l'amministrazione Bush - si troverebbero cellule di Al Qaeda.

Il posizionamento strategico delle basi è ben conosciuto anche in Africa, come racconta Otieno Ombok di Nairobi, Kenia, coordinatore regionale per l'Africa del movimento No violent peace force: «In Africa c'è tutto: minerali, diamanti, oro, petrolio e soprattutto acqua. Questo è oggi un elemento molto ricercato e gli Stati uniti ne stanno già facendo rifornimento, dal lago Vittoria e dal fiume Nilo».
Basi militari non vuol dire solo basi statunitensi. Dice l'europarlamentare Tobias Pfleuger, del Gue/Ngl (European United Left e Nordic Green Left): «E' un doppio gioco quello che abbiamo in casa nostra, ospitiamo basi Usa/Nato che possono essere utilizzate trasversalmente dai paesi membri e a nostra volta, come Unione europea, abbiamo molte basi in tutto il mondo che appartengono alla Francia, alla Germania e alla Gran Bretagna. Non dimentichiamo che l'attacco in Iraq è stato possibile perché esiste la base di Ramstein, in Germania, la più grande base Usa/Nato esistente in Europa».
Alla conclusione di quattro giorni di lavori intensi, gli organizzatori si dicono soddisfatti dell'essere riusciti a includere nella dichiarazione comune le più diverse realtà e le singole esigenze di ogni popolazione militarizzata. «E' un primo passo. Non sarà perfetto - dice Herbert Docena di Focus on the Global South - ma abbiamo gettato le basi per la rete di organizzazione mondiale, che era il nostro scopo». Nella dichiarazione finale, il movimento mondiale No Basi chiede smantellamenti, bonifiche ambientali, la fine della costruzione di nuove installazioni. Si parte proprio con la base di Manta, in Ecuador: il contratto d'affitto scade nel 2009, il neopresidente di sinistra Correa non vuole rinnovarlo. E il braccio di ferro è cominciato.