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L'intervento USA in Somalia: terzo fronte antiterrorismo o terzo pasticcio?

di Francesco Paderi - 12/03/2007

 

 

 

Il 9 gennaio gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente in Somalia, con un raid che ha impegnato aerei ed elicotteri americani a fianco delle forze governative e dei loro alleati etiopi. Hanno cominciato prima dell’alba e hanno bombardato le posizioni dei miliziani islamici presso il confine con il Kenya, vicino alla città di Kismayo. Da alcuni giorni i governativi e gli etiopi non riuscivano ad avanzare perché tutta la zona è una fitta foresta di acacie. I miliziani avevano minato tutte le piste  lasciandone aperta solo una. I carri armati etiopi riuscivano a passare, ma in fila indiana, facile bersaglio quindi dei miliziani. E’ stato a quel punto che sono intervenuti gli americani con i loro bombardamenti. L’attacco è avvenuto certamente dal cielo, da aerei provenienti dalla portaerei Eisenhower, che si trovava al largo della Somalia con altre tre navi da guerra (provenienti dalla base americana di Manama, in Bahrein), oppure dalla base militare americana a Gibuti, ma non è escluso, anche se non è stato confermato dagli americani, che siano state impiegate anche truppe di terra.

 

Ufficialmente l’attacco aveva come scopo quello di colpire uomini di Al Qaeda che secondo la Cia e il Pentagono si nascondono tra i dirigenti delle Corti islamiche, una sorta di governo provvisorio che da qualche tempo era al potere a Mogadiscio e nella maggior parte del paese, dopo anni di assoluta anarchia e lotte interne tra signori della guerra locali. Subito dopo l’attacco Washington ha parlato di una decina di individui legati ad Al Qaeda che sarebbero stati uccisi, ma dopo qualche giorno ha dovuto ammettere che nessuno dei ricercati era stato colpito. Invece almeno quaranta civili sono rimasti uccisi.

 

I tre super-ricercati sono Abu Talha al-Sudani,  sudanese, Fazul Abdullah Mohammed, delle isole Comore, e Saleh Ali Saleh Nabhan, keniano. Fazul Abdullah Mohammed, su cui pende una taglia di cinque milioni di dollari, è accusato di avere organizzato gli attentati contro le ambasciate americane di Nairobi, dove morirono 250 persone, e Dar es Salaam, nel 1998, e gli attacchi all’hotel Paradise, con una trentina di morti, e a un aereo che trasportava turisti israeliani, anche se quest’ultimo fallì. Ali Saleh Nabhan è il suo più importante aiutante, mentre Abu Talha al-Sudani è considerato il tesoriere dei fondamentalisti somali,  poiché terrebbe i rapporti tra finanziatori occulti del terrore, governo sudanese e governo delle Corti islamiche. Un altro fondamentalista somalo attivamente ricercato (ma che non era stato localizzato e che qui di non era tra gli obiettivi dell’attacco) è Hassan Turki, un amico di Osama Bin Laden.

 

Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon si è dichiarato preoccupato delle incursioni aeree statunitensi, perché potevano causare  un’escalation delle ostilità e un dannoso impatto sulle popolazioni. L’Unione Europea ha sostenuto che un bombardamento non può certo aiutare a lungo termine e che soltanto una soluzione politica può far arrivare le parti ad una pace duratura.

 

La Somalia era da anni nel caos totale, senza l’ombra di un ordinamento interno, in preda a milizie etniche: situazione che si acuì ulteriormente dal 1991 al 1994, anno di un altro, disastroso, intervento americano, anche se in quell’occasione sotto l’egida dell’ONU.  Il governo ufficiale, chiamato Governo Federale di Transizione, riconosciuto a livello internazionale, nato alla fine di estenuanti trattative tra alcuni dei “signori della guerra”, non aveva autorità che nella città di Baidoa, sua capitale, e nelle immediate vicinanze. Da poco più di un anno si erano andati imponendo, conquistando la maggior parte del territorio, le Corti islamiche. Questo movimento è nato riunendo tutti i precedenti movimenti islamici radicali (un movimento particolarmente attivo e ispiratore delle Corti era Al Ittihad, che aveva le sue basi soprattutto vicino alla frontiera con il Kenya: di Al Ittihad faceva parte anche l’attuale leader delle Corti, Hassan Dahir Aweys) e una gran parte di altri movimenti politici e di alcuni capi dei clan, ed era sostenuto soprattutto dai commercianti di Mogadiscio, stanchi degli abusi dei signori della guerra, e bene accolto da una gran parte della popolazione, che desiderava un po’ di stabilità dopo anni di guerra civile.

 

Prima del 2004, tutti i tentativi di dare vita ad un governo centrale, sia pure federale, con pochi poteri, si erano arenati (ben tredici conferenze di pace, tutte più o meno fallite, sono state organizzate dal 199, prima della quattordicesima, nel 2002-2004, che ha dato vita al governo di transizione) perché ogni clan aveva le sue pretese, e anche l’attuale governo ha le cariche politiche date con il bilancino (il primo ministro è un Hawiye, il persidente della repubblica Darod, il presidente del parlamento un Digil Mirifle, e via dicendo). Quasi tutti gli esponenti dei clan dicono di non essere rappresentati in modo adeguato, e alcuni clan addirittura di non essere rappresentati per niente. Quando è stato istituito il governo federale di transizione si è rivelato impossibile insediarlo a Mogadiscio perché i signori della guerra locali erano già contro l’accordo e volevano dar vita ad un potere alternativo. Il governo presentò la richiesta dell’aiuto di una forza di pace dell’Unione Africana fin dal giorno dopo la sua nomina.

 

Nella grande confusione che regnava nel paese, alcuni signori della guerra avevano dato vita all’Alleanza contro il terrorismo internazionale, ovviamente con l’aiuto di servizi segreti occidentali. Le Corti islamiche sono nate da accordi tra i vari capi dei clan, in risposta all’alleanza, e soprattutto con lo scopo di garantire la sicurezza. Esse rappresentavano inoltre l’accordo i clan degli Hawiye, spazzando via gradualmente tutti quei sottocapi che avevano caratterizzato la lotta militare da più di quindici anni. Si tratta di un movimento variegato e composito, che un’eccessiva (e interessata) semplificazione dei mass media occidentali ha fatto classificare come islamico radicale, e come un male da estirpare a tutti i costi, anche attraverso l’intervento militare. Le Corti sono arrivate al successo riuscendo ad entrare nel cuore della società somala, attraverso la graduale acquisizione dei monopoli di alcuni servizi essenziali (sanità, istruzione, giustizia, sicurezza e ordina pubblico), conquistati attraverso organizzazioni caritatevoli islamiche, con l’attivo sostegno di alcuni paesi arabi.  Quando le Corti ebbero un insperato successo e riuscirono ad avere il controllo di una gran parte del paese, Unione Europea e Lega araba avviarono una paziente azione diplomatica per cercare di riportare il paese alla pace, cercando al tempo stesso di trattare con le Corti, ma scoraggiandone gli elementi più radicali. Questo sforzo fu vanificato dall’attacco etiope e dall’azione mediatica di chi non voleva veramente la pace, soprattutto Stati Uniti ed Etiopia, che ha fatto credere ad una gran parte dell’opinione pubblica occidentale, e anche a molti politici, che  le Corti fossero alla mercè dei fondamentalisti, affermazione non vera ancora oggi, ma soprattutto allora perché il movimento era ancora informe e si basava soprattutto sulla comune fede musulmana degli aderenti e sulla politica del giorno per giorno. Gli Stati Uniti preferivano non cercare il dialogo,  insistendo invece per il dispiegamento di una forza di pace africana, ipotesi avversata dalle Corti.

 

E’ vero che  se tra le Corti islamiche e il governo federale di transizione si è arrivati alla guerra aperta è stato anche a causa di forze che non erano favorevoli ad una soluzione pacifica  anche all’interno delle Corti stesse, ed è vero anche che tra di esse c’erano anche elementi fondamentalisti e violenti,  segnalati come vicini ad Al Qaeda. Ma non bisogna dimenticare, che all’interno del movimento c’erano anche leader moderati, in particolare capi religiosi. Uno dei più importanti leader moderati è il presidente del consiglio esecutivo delle Corti Sharif Cheik Ahmed.

 

Quando  le Corti islamiche si avvicinarono pericolosamente a Baidoa, occupando la vicina città di Burhakaba, si è avuto immediatamente il primo attacco da parte dell’esercito etiopico, che fino ad allora sosteneva il governo di transizione, ma solo attraverso spedizioni di armi e qualche consigliere militare. Le truppe etiopiche intervennero in forze, dimostrando alle Corti islamiche la loro potenza e la loro determinazione, riprendendo Burhakaba. Da tempo il governo etiope aveva dichiarato che quando Baidoa fosse stata in pericolo il suo eseercito sarebbe intervenuto. Tuttavia, cominciò un periodo di stallo, durante il quale nessuna delle due forze in campo riusciva a prevalere, perché le forze etiopi non si sentivano in grado di conquistare il resto del paese, dato che andare oltre Baidoa voleva dire affrontare la guerriglia, con la quale l’esercito etiope ha già dovuto soffrire in Eritrea, mentre le Corti islamiche non si sentivano sufficientemente forti da prendere Baidoa battendo l’esercito etiope, perché tutto sommato senza un vero esercito, non ben organizzate, incapaci di prendere una città fortificata, e con il pericolo che in caso di attacco da parte delle sue non coese forze armate i signori della guerra di regioni lontane potessero ribellarsi.

 

Certo, l’Etiopia ha un grande interesse a che non comandino le Corti islamiche. Già in uno stato di guerra strisciante con l’altro vicino, l’Eritrea, altro stato musulmano, che pare aiuti con spedizioni di armi le Corti, avrebbe grosse difficoltà a controllare due vicini ostili.  Inoltre, bisogna sempre tenere conto della questione, ormai vecchissima, dell’Ogaden, la vasta regione dell’Etiopia abitata da una maggioranza di musulmani, che la Somalia non ha mai smesso di rivendicare, e che ha già portato i due stati alla guerra nel 1977-1978. E’ lecito pensare che un governo delle Corti islamiche non avrebbe fatto che incrementare la tensione tra i due paesi. Ma il governo federale di transizione ha certamente perso quel poco di credito di cui poteva godere nel paese facendosi aiutare ed appoggiare da chi solo fino a pochi anni fa era il nemico (un’altra campagna militare molto efficace, sempre per difendere i propri interessi, fu attuata dagli etiopi nel 1996-1997). Non bisogna poi dimenticare che l’Etiopia, a partire dalla secessione dell’Eritrea, è priva di accesso al mare. Ha quindi bisogno di avere buone relazioni con l’Eritrea, e non è certo così oggi, oppure deve in qualche modo controllare la Somalia.

 

L’Etiopia è, in questo momento, il principale alleato degli Stati Uniti nella regione nella lotta al terrorismo. Sarebbe quindi lecito aspettarsi che sia  uno stato vicino all’occidente anche nelle istituzioni democratiche   e nel rispetto dei diritti umani. Invece il governo etiope amministra militarmente alcune zone del suo territorio da molti anni, e l’ultimo suo atto non esattamente democratico è stata l’incarcerazione di tutta l’opposizione parlamentare dopo una netta sconfitta elettorale nel maggio 2005, cui era seguita una campagna di disobbedienza civile.  

 

Comunque, negli ultimi mesi, gli Stati Uniti sono intervenuti con tutta la loro potenza sullo scenario somalo, aiutando l’Etiopia ed appoggiandola ed assistendola in tutti i modi (non bisogna che fin dall’indomani degli attentati del 2001 l’Etiopia usufruisce di un programma di aiuti militari), e poi intervenendo direttamente con il raid aereo. La Somalia, secondo Washington, è il terzo fronte della lotta internazionale al terrorismo, dopo Afghanistan e Iraq. L’Etiopia, non a caso, da quando gli Stati Uniti hanno dato il loro appoggio più deciso nella lotta contro la Somalia, ha dato una decisa accelerata alla sua campagna militare, che è diventata rapidissima ed estremamente efficace: in otto giorni ha conquistato tutte le regioni controllate dalle Corti islamiche, e il 28 dicembre le truppe etiopi sono entrate a Mogadiscio. 

 

LONU, fin dallinizio dellimpegno militare etiope, ha chiesto che si formasse una forza internazionale di pace che si interponesse tra le parti in conflitto, con partecipanti dei paesi dellONU o anche dellUnione Africana.

 

In seguito allintervento americano, si è fatto vivo il numero due di Al Qaeda, Ayman Al-Zawahiri, che ha chiamato alla resistenza tutti i combattenti musulmani, cui ha raccomandato di ispirarsi ai guerriglieri dellAfghanistan e dellIraq.

 

La vittoria dell’esercito del governo di transizione e degli etiopi sulle Corti islamiche, e il loro conseguente scioglimento, non ha intaccato le ragioni politiche e sociali che sono state alla base del loro rapido successo. Inoltre sono già cominciate azioni di guerriglia, che minacciano di logorare un esercito già di per sé debole, e che in futuro potrebbero addirittura portare a complicazioni con i paesi vicini (Etiopia, ma anche Kenya e Uganda).

 

Ora sarebbe bene, specie da parte dell’Unione Europea, che si cercasse in tutti i modi la pace e la trattativa, dopo il ritiro delle truppe etiopi dalla Somalia. Bisognerebbe che tutte le comunità del paese facessero uno sforzo a favore della pace, dai capi dei clan ai commercianti e agli uomini d’affari, ai capi religiosi, agli stessi leader  delle Corti islamiche. Il governo transitorio dovrebbe rimanere in carica, ma solo per dare una continuità allo stato, con l’impegno di un allargamento, il più possibile rapido, a tutte le componenti della società civile, per arrivare in un clima pacifico alle elezioni,  che potranno, solo loro, legittimare le future istituzioni. 

 

Ma l’opinione pubblica occidentale, ovviamente manipolata dalla mancanza di informazione e dalle poche notizie abilmente filtrate, ha una visione deformata degli avvenimenti. La  maggior parte degli occidentali, anche colti ed attenti lettori dei giornali, senza dubbio ignorava l’intervento etiope, che come abbiamo detto era strisciante da alcuni mesi, mentre alla fine del 2006 c’è solo stato l’attacco finale, ma sa che in Somalia ci sono alcuni dirigenti di Al Qaeda (forse), che c’era disordine mentre invece l’Etiopia ha finalmente portato l’ordine, e che le Corti islamiche sono come i taliban. Pochi si chiedono se il governo di transizione è veramente legittimato, o che tipo di orientamento politico ha (è un governo democratico all’occidentale? Non sembra. Fino a che punto è meno “islamico” o meno violento delle Corti? Non si sa, non se ne parla, non se ne discute).

 

Molti sono i paralleli e le somiglianze tra la situazione in Somalia e quella in Iraq ed in Afghanistan: in tutti e tre i paesi ci sono fazioni in lotta tra loro, tutti e tre sono considerati dagli americani basi per i terroristi, in tutti e tre c’è stato un intervento americano (oltre al raid, infatti, bisogna considerare che l’intervento in Somalia è stato in pratica delegato all’Etiopia): ma, come possiamo vedere tutti i giorni, i due interventi in Afghanistan ed in Iraq non hanno risolto nulla, anzi hanno peggiorato la situazione in quei paesi. E’ molto probabile che in seguito all’intervento l’islamismo somalo si radicalizzi davvero, che si militarizzi ulteriormente e che cominci ad usare tecniche terroristiche. E’ lecito quindi temere che anche in Somalia si possa essere solo all’inizio di un conflitto lungo e difficile.