Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’isola felice. Un libro racconta la vita, sontuosa, del personale Usa nella Zona Verde di Baghdad

L’isola felice. Un libro racconta la vita, sontuosa, del personale Usa nella Zona Verde di Baghdad

di Christian Elia - 13/03/2007

C’è una sorta di isola felice, dove la guerra che sconquassa l’Iraq è lontana, come un fastidioso rumore di sottofondo: la Zona Verde, l’ex quartiere del regime di Saddam Hussein nella capitale, che dopo la caduta del rais è diventato il quartier generale del nuovo governo e degli alleati della Coalizione.
 
la piscina all'interno del palazzo di saddam dove un militare usa fa il bagnoVita imperiale. La vita nella Zona Verde è raccontata, nei minimi dettagli, da un libro di Rajiv Chandrasekaran, Imperial Life in the Emerald City, che sarà pubblicato il mese prossimo. Il quotidiano britannico The Guardian pubblica alcuni stralci. “Grazie Dio, per le forze della Coalizione e per i guerrieri della libertà, in patria e all’estero”. Questo il murales che, con i loghi delle tre forze armate statunitensi e del dipartimento dei pompieri di New York, decora quella che è stata per decine di anni la residenza di Saddam. Il messaggio è chiaro, quasi quanto la sagoma stilizzata delle torri del World Trade Center distrutte l’11 settembre 2001. Il collegamento che è stato impossibile dimostrare, nonostante siano passati quasi 6 anni dall’attentato alle Torri Gemelle, tra il regime di Saddam e Osama bin Laden e la sua organizzazione, trova nel murales la sua ideologica giustificazione. Siamo venuti qui per vendicare l’attentato di New York, anche se nessuno ha trovato le prove che l’Iraq c’entrasse qualcosa. Chandrasekaran racconta di un mondo a parte, che vive quasi in una realtà parallela, lontano dagli orrori della guerra. Una sorta di mondo di fantasia, dove è giusto servire un menu quotidiano al buffet, affidato in appalto alla fida Hulliburton, per la quale lavorava l’attuale vice-presidente Usa Dick Cheney, a base di carne di maiale fatta arrivare rigorosamente da casa. E in un mondo di fantasia si può anche far finta che le responsabilità del regime di Saddam siano cosa certa.
 
un militare usa posa in un palazzo di saddamLittle America. L’autore del libro definisce la Zona Verde come una ‘little America’, un quartiere dove risiedono e lavorano tutti quelli che fanno parte dell’immensa delegazione Usa in Iraq: militari e diplomatici, politici e privati a contratto, tutti delle solite aziende: Bechtel, Hulliburton, General Electric e così via. Gli unici iracheni ammessi nella Zona Verde sono quelli che lavorano per la Coalizione, che comunque vengono sottoposti a quotidiani controlli serrati. Nell’isola felice le auto, che rispettano il limite di 35 miglia orarie, come in una tranquilla cittadina del Minnesota, ascoltano a tutto volume Freedom Radio, che trasmette musica made in Usa al 100 percento. Ma i ‘cittadini’ della Zona Verde non sono obbligati a prendere la macchina, visto che possono contare su un eccellente servizio di bus navette ogni 20 minuti. Appalto della Hulliburton, ovviamente. I generatori garantiscono luce 24 ore al giorno, privilegio negato agli iracheni, che dal giorno dell’invasione a  marzo del 2003 convivono con continui black-out. L’elettricità alimenta la splendida caffetteria posta nel vecchio palazzo di Saddam o uno dei tanti ristoranti cinesi, tanto amati dagli statunitensi.
Oltre a mangiare ci si può anche rilassare, facendo shopping magari in uno dei 70 negozi, visto che tutta la zona, chiamata Green Zone Bazar, è duty free. Chandrasekaran racconta con uno sguardo sbigottito di donne in calzoncini corti che fanno jogging, di negozi di alcolici e, per quelli che si sentono più soli, anche di posti dove è possibile procurarsi un filmetto porno. L’attrattiva principale, soprattutto nei mesi di canicola, è la piscina, superaffollata, dove un giovane funzionario risponde allo sconcertato Chandrasekaran che lui sta benissimo, perché si sente a casa. E c’è da credergli, sapendo come si vive nella Zona Verde, lontano dalle autobomba, dalle violenze e dalla fame che sta massacrando, ogni giorno, migliaia d’iracheni.