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I numeri divini. La matematica e gli Dei. Intervista al Professore Paolo Zellini

di Paolo Zellini/Gabriele Beccaria - 13/03/2007

 
"Ma oggi gli studiosi hanno perso la pietas degli antichi greci". Parla il grande matematico, fra i protagonisti del Festival di Roma
Sono strani i matematici. «Cercano ordine nel caos, ma anche caos nell’ordine», ha detto uno di loro, il famoso Douglas Hofstadter. In poche parole confondono le idee a chi non le ha troppo chiare, cioè quasi tutti. Alcuni, per esempio, si ispirano ai numeri per fare a pezzi il cristianesimo (come Piergiorgio Odifreddi) e altri studiano i legami tra i numeri e gli dei (come Paolo Zellini). Ecco perché ascoltarli al Festival della Matematica di Roma, da dopodomani, sarà un’esperienza fuori dalle righe.

Professor Zellini, lei sostiene che la matematica è nata per comunicare con gli dei e poi è diventata la lingua per descrivere il cosmo. E oggi?
«Dopo che gli dèi si sono eclissati, la matematica è stata a lungo vicino all’unico Dio. Agostino diceva che numero e Sapienza sono la stessa cosa e oggi Benedetto XVI si sforza di spiegare che il Logos cristiano deve comprendere quel sapere matematico che era stato parte integrante del logos greco. In epoca moderna la matematica ha ereditato dalla filosofia e dalla teologia diverse questioni, come l’esistenza dell’infinito e il principio di continuità nella catena dell’essere. Per decifrare simili questioni i matematici hanno messo in campo strumenti di ineguagliabile potenza, ma perdendo la pietas che aveva spinto Eratostene a fare un’offerta agli dèi per aver imparato a raddoppiare un cubo».

La «pietas» ha lasciato il posto alla complessità, che sta trasformando tutte le scienze?
«Sforzandosi di dare una misura della complessità dei processi di calcolo, la matematica si è proposta di rispondere a domande fondamentali, come quella su cosa può o non può fare il calcolatore. Sorprendentemente, ci sono problemi di semplice formulazione, ma con un’esplosione combinatoria che li rende praticamente insolubili. Dopo i risultati di Gödel sull’incompletezza dell’aritmetica, si toccano di nuovo i limiti della scienza».

Può spiegare a un non addetto ai lavori che cosa fa un matematico?
«Il matematico risolve dei problemi, ma l’unico modo per capire di quali problemi si tratta e con quali strumenti cerca di risolverli sarebbe quello di occuparsene. Si capisce la matematica solo “facendola”. Si può comunque dire che cosa non fa».

Vale a dire? Che cosa non fa?
«Non esegue lunghi conteggi e anzi si sforza di trovare eleganti teorie che servano a evitarli».

Dalla filosofia all’Ipod la matematica permea tutto: sono i numeri l’occulto motore della globalizzazione e del progresso?
«La matematica, in effetti, entra in ogni cosa: dai suoi teoremi dipendono l’elaborazione di immagini, il volo degli aerei, l’uso dei motori di ricerca, i modelli dell’economia. Parlare di progresso è tuttavia un po’ rischioso. La matematica è potente, ma non è detto che accresca un vero progresso. Molti scienziati, quando si accorgevano di contribuire a grandi rivoluzioni, hanno avvertito una sorta di catastrofe imminente. Norbert Wiener, uno dei padri della cibernetica, aveva la sensazione di difendere un’enclave di razionalità contro un universo caotico e sapeva che ogni scoperta poteva costringere a complicate rincorse per fronteggiarne i possibili effetti».

Lei dice addirittura che le attuali tecniche di calcolo si rifanno alla logica antica. In che senso?
«Il calcolo degli ultimi decenni si è sviluppato intorno a due pilastri: le equazioni della fisica matematica e il concetto di algoritmo. Gli algoritmi servono, tra l’altro, a tradurre le equazioni in puro calcolo aritmetico eseguibile da un calcolatore. Ecco perché questi possono assomigliare a procedure elementari del calcolo antico: in entrambi entrano in gioco le operazioni fondamentali del calcolo aritmetico, che stanno a loro volta alla base della “computatio” algebrica moderna e dell’analisi matematica. Questi atomi di calcolo sono elementari, ma non altrettanto sono i problemi che possono sollevare, se ci si chiede quale sia il grado di efficienza necessaria perché siano eseguibili in modo automatico. La somiglianza tra algoritmi antichi e moderni è comunque sorprendente. In molti metodi che servono a risolvere complessi sistemi di equazioni si ripetono gli stessi schemi della matematica indiana, cinese, greca e mesopotamica. Tra questi, occupa un posto preminente lo gnomone quadrato, la figura a squadra che aggiunta o tolta a un quadrato genera un altro quadrato, più grande o più piccolo. In un prolungamento algebrico di questa figura consistono essenzialmente i metodi per risolvere un’equazione usati dai matematici arabi e poi da Viète e da Newton. Da questi metodi, in buona parte, è dipeso lo sviluppo dell’algebra e dell’analisi».

Perché la matematica è considerata come la disciplina più innaturale?
«In realtà la matematica è difficile anche per i matematici: basti pensare ai problemi irrisolti da lustri o da secoli e alla difficoltà di pensare per mezzo di manipolazioni di simboli, che sono già l’abbreviazione di concetti complessi».

I numeri sono passati attraverso molte rivoluzioni: quale sarà la prossima?
«Mi vengono in mente i calcolatori quantistici, ma non azzardo estrapolazioni fantasiose: i sogni utopistici potrebbero trasformarsi in disastri».