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Venti di guerra. A cercarli

di Giancarlo Chetoni - 14/03/2007

Fonte: lettera informazione


Il 2 Giugno 2006 il generale Errico, durante una manifestazione che
ha richiamato al Forward Support Base di Herat  i più alti vertici
militari della Nato, ha assunto il controllo operativo delle forze
militari ISAF di tutta la regione occidentale dell' Afghanistan.
Da quella data l'alto ufficiale italiano ha esteso il suo comando
oltre che sulla provincia dove è dislocato il nostro contingente
anche su quelle di Farah, di Baghdis e di Ghor.
Con la nomina decisa nell'ambito dell'Alleanza Atlantica, Errico ha
esteso, di fatto, la sua autorità  oltre che sulle forze nazionali
anche su quelle di Usa, Spagna e Lituania acquartierate su un
territorio di decine e decine di migliaia di kmq, l'equivalente di
intere regioni del nostro Paese. Alla sud coreana s'intende. 
Come si intuisce, si tratta di una clamorosa  estensione sul terreno
del mandato parlamentare che limitava l'intervento militare italiano
a zone geograficamente limitate, al di là della storiella delle
missioni di peace-keeping e dell'«esportazione della democrazia».
Signori della guerra da redimere, narcotraffico da abbattere, gente
da sfamare, burqa da bruciare. 
Nell'Agosto del 2000 il mullah Omar aveva imposto, con le buone e
con le cattive, agli agricoltori afghani il sequestro dei semi di
papavero, e l'Onu aveva già previsto per l'anno successivo, il 2001,
una caduta verticale della produzione di oppio.
L'amministrazione Bush, con la scusa dell' 11 Settembre e di Bin
Laden, l'ha messo in fuga  a suon di «tagliamargherite» da 2
tonnellate su Tora Bora e sul resto dell'Afghanistan. 
Mentre le provincie di Herat e di Farah confinano ad ovest  col
territorio dell'Iran, in una zona di fondamentale importanza
strategica nel quadro di una possibile aggressione di Usa e GB alle
installazioni nucleari di Teheran, ad est le zone sotto controllo
dei 4 PRT dell'ISAF con direttrice sud-nord sono, neanche a farlo
apposta, a ridosso della provincia di Helmand, dove in questi giorni
si è sviluppato l'attacco della Nato ai combattenti pashtum  con
l'operazione «Achille».
Un'operazione arrivata dopo un'intensa campagna di preparazione di
bombardamenti a tappeto con B-1 F 15, F 16 e F 18  per «ammorbidire»
le posizioni del «nemico», a cui sono seguiti raid con l'uso di A 10
con proiettili da 30 mm, in Iraq e in Serbia all'uranio impoverito,
e una pioggia di missili e razzi anticarro e a frammentazione
sui «bersagli» isolati, induriti o postazioni del «terrorismo
qaedista» con elicotteri Apache  e Black Hawk.
Un volume di fuoco dall'aria, mirato e non, che ha lasciato sul
campo come «effetti collaterali»  un numero imprecisato di morti e
di feriti tra la popolazione dei villaggi sottoposti a «ripulitura».
La censura di guerra intanto continua a fare il suo sporco,
efficientissimo lavoro, dove c'è da nascondere le dimensioni  e
l'orrore  delle stragi. 
Quello che arriva in frammenti con l'Ansa  è solo la punta
dell'iceberg.
Il 18 dello stesso mese, siamo a Giugno, a 3 mesi grossomodo dal 19
Aprile, il generale Errico ha chiesto a Parisi l'invio aggiuntivo di
3 A 109 Agusta e di una compagnia fucilieri per ".la protezione dei
perimetri esterni ed interni dei P.R.T per il rafforzamento
delle «cornici di sicurezza», non senza aver polemicamente fatto
rilevare, indirizzando la protesta al Ministro della Difesa, che il
contingente italiano per poter affrontare i compiti che gli sono
stati affidati  ha urgente necessità di ampi e qualificati rinforzi
di personale".
Le pressioni di  Spogli, di Hoop de Scheffer, degli Usa e della
Nato  al vertice di Siviglia e quelle di Blair da Londra hanno
finito per esaudire nella sostanza le richieste del `nostro'
generale di brigata Danilo Errico. Un soggettino che sa da che parte
stare.
Passerà un po' di tempo e con centrosinistra o centrodestra ce lo
ritroveremo prima o poi C.S.M. delle Forze Armate.
Sono arrivati così nel teatro di operazione degli UAV Predator. 
Roba, si afferma, da utilizzare per la ricognizione. Insomma il
solito cerchiobottismo all'ita(g)liana.  
Una posizione  che cerca di mediare  tra spinte contrapposte, alla
lunga insostenibili. Con varianti imprevedibili come quella del
sequestro Mastrogiacomo. Gatte da pelare grosse. Dove niente può
essere dato per scontato.
Da una parte i diktat degli Usa e della Nato che ci chiedono senza
giri di parole di rispettare  gli impegni sottoscritti, senza
scadenze (su varrebbe la pena di discutere alla grande), e
dall'altra l'esigenza di mantenere in equilibrio una coalizione
claudicante e il consenso di un elettorato, e più in generale, di
un'opinione pubblica, che non ne vuole sapere di morti ammazzati e
vede con profondo fastidio le `guerre' dell'Amministrazione Bush e
dei suoi Alleati in giro per il mondo a fare sfracelli da
un'eternità. Vicenza e Sigonella comprese.
Insomma, l'impressione è che qualche rappresentante delle Forze
Armate in trasferta faccia gioco a parte, e che Roma cerchi di
cavarsela come può per salvare capra e cavoli.
Passi per il C 130 J, ma per i Predators, come abbiamo detto, la
faccenda può essere molto, molto seria e portarsi dietro qualche
problemino.
Siamo pronti a scommettere che prima o poi un altro di questi
aggeggi finirà in briciole per aver violato lo spazio aereo degli
ayatollah.
Ormai gli UAV degli USA abbattuti dalla contraerea dell'Iran nel
Golfo Persico  e in Afghanistan sono decine.
Con una guida remota che li indirizza sul target provvisti di
telecamere, spiano quello che possono mettendo in allarme la difesa
missilistica del «nemico». A terra si saggiano efficienza e tempi di
reazione.
Per lo più fanno pochi km, poi vengono abbattuti. Cercano, come si
dice,  i «punti morti» della copertura radar in previsione del via
libera ad un'altra aggressione aerea.
A Herat  ci sono già da un bel po' di tempo l'aeroporto,
l'attrezzatura elettronica e il personale dell'A.M.I. per fare
questo lavoretto.
Se a qualche testa calda venisse voglia di dare il via al progettino
non mancherebbero di certo le scuse. Si potrebbe sostenere che si è
perso il controllo dell'aereo senza pilota.
I Predator Usa e quelli dell'Italia sono identici. Anche nel colore.
Non hanno né elementi né insegne di riconoscimento.
E poi chi ci dice che gli amici amerikani non ne facciano volare uno
sulla provincia di Herat da Farah per farlo sembrare nostro? Tanto
per tirarci dentro un altro po'!
Ci vengono a mente le sonde oblique che gli USA usavano in Kuwait
per depredare il petrolio dell'Iraq.
Da quelle parti, ad ovest dell'Afghanistan, si parla il farsi non il
pathsum. Prodi, D'Alema e Parisi faranno bene a tenerlo a mente.
Quello che è già successo non ci basta ?
Vogliamo andare a cercare più rogne di quelle che già abbiamo
come «stranieri» in casa altrui?