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La decrescita è una questione di coscienza

di Jacques Grinevald/Pierre-François Besson - 15/03/2007

Fonte: swissinfo


Per il manifesto di quest'anno, il Salone dell'auto ha optato per un veicolo
stilizzato molto "verde"

Le automobili «ecologiche» sono una conseguenza della logica del progresso
industriale e della crescita. Non saranno però sufficienti per curare i mali
del pianeta, stima il filosofo Jacques Grinevald.

Professore all'Istituto universitario di studi dello sviluppo, questo
pioniere della decrescita risponde a swissinfo a margine al Salone dell'auto
di Ginevra.




swissinfo: I fabbricanti di automobili propongono un numero sempre maggiore
di automobili «verdi». Come valuta questa nuova tendenza?



Jacques Grinevald: La loro logica rimane quella delle parti di mercato e
della crescita. Le grandi aziende vedono solo dei mercati da conquistare nei
paesi emergenti. Pensano di avere ancora un futuro radioso. Secondo loro,
saremmo solo agli inizi dell'era dell'automobile.

Affermando che il nuovo modello X o Y è molto più pulito, non si fa altro
che cercare di evitare alla gente di fare il legame con il cambiamento
climatico.

Ho l'impressione che l'industria automobilistica faccia le orecchie da
mercante di fronte ai due grandi problemi che si annunciano: la penuria di
petrolio - insufficiente per soddisfare l'avidità del pianeta - e
soprattutto il cambiamento climatico, problema che più nessuno nega e che si
sta accelerando.

I biocarburanti sono all'ordine del giorno. È però illusorio e
irresponsabile far credere che tra venti o trent'anni li utilizzeranno
tutti. Prima di alimentare le auto e i lussuosi bisogni di una minoranza (i
paesi ricchi) bisogna nutrire la popolazione mondiale. Ci si trova di fronte
ad una scelta che fa parte della sfera dell'etica, della coscienza.

g (objectifreussir.ch)


swissinfo: Per contrastare questa logica, lei sostiene ed è stato uno degli
artigiani dell'idea di decrescita. Cosa significa?



J.G.: La decrescita è fisica. Non si tratta di una società di decrescita -
che non ha alcun senso - bensì di far diminuire i flussi di materia e di
energia.

Per quanto concerne l'automobile, ci vogliono dei veicoli meno pesanti, che
consumano meno benzina, con un'accelerazione meno potente e che vanno meno
rapidamente. Ciò che - detto per inciso - si traduce anche in un'usura
minore delle automobili e in meno incidenti. Il problema è che questo
approccio non interessa la logica della crescita.


swissinfo: Questa idea della decrescita è realista e può essere applicata in
pratica?



J.G.: Personalmente, cerco di fare il possibile per essere coerente con le
mie idee. Devo ammettere che quando avevo vent'anni adoravo le automobili.
Faccio parte della generazione Mini Cooper. Oggi sogno a volte di guidare
una Mini Cooper, ma mi astengo.

Ricevo diversi inviti. Rifiuto però ad esempio di andare a Buenos Aires per
dare una conferenza di un'ora. È assurdo.

Un certo numero di persone di tutte le classi d'età sono coscienti del fatto
che la nostra società non si è sviluppata, ma sovrasviluppata. Ciò che
significa che siamo andati al di là delle capacità che la biosfera può
sopportare.

Questa idea della decrescita implica un limite inferiore - la miseria o la
povertà estrema - ma anche un limite superiore - il fatto che delle persone
vivano al disopra dei loro mezzi, nel senso ecologico del termine.

È necessaria una presa di coscienza. Un ritorno a una certa umiltà. La
nostra società occidentale, che domina il pianeta da ormai qualche secolo, è
diventata terribilmente arrogante, antropocentrica. È dunque una questione
di coscienza. E del senso che si dà alla propria esistenza.

Sono insegnante. Per me, bisogna puntare essenzialmente sull'educazione
piuttosto che su degli editti e delle costrizioni. Bisogna evitare un nuovo
bolscevismo.


swissinfo: I partigiani della decrescita esistono anche in Svizzera?



J.G.: Prima di tutto bisogna precisare che la parola decrescita non è un
concetto. È piuttosto uno slogan che permette di dire «Toh, e se uscissimo
dalla logica della crescita?».

Il movimento è totalmente minoritario e marginale. Malgrado tutto, fa però
parte dei segnali culturali che annunciano senza dubbio quello che succederà
tra dieci o vent'anni.

In questo movimento ci sono degli ayatollah e altre persone che non si
prendono troppo sul serio. Lo humour è essenziale. «Le persone serie hanno
poche idee e le persone che hanno delle idee non sono mai serie», secondo la
formula di Paul Valéry.


swissinfo: Qual è secondo lei la differenza tra decrescita e sviluppo
durevole, nozione oggi onnipresente?



J.G.: Molte multinazionali hanno interpretato lo sviluppo durevole come una
crescita durevole, «ecologicamente gentile». Il problema è che la crescita
economica ha necessariamente una dimensione fisica.

In altre parole, lo sviluppo durevole non rimette in questione l'idea che la
ricchezza delle nazioni è fondamentalmente una ricchezza materiale, nel
senso della società industriale.

swissinfo, intervista di Pierre-François Besson