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Il libro della settimana: George Crowder, Isaiah Berlin

di Carlo Gambescia - 15/03/2007

Il libro della settimana: George Crowder, Isaiah Berlin, il Mulino, Bologna 2007, pp. 294, euro 19,50

Oggi che quasi tutti i politici si proclamano liberali, resta ancora più difficile definire che cosa sia il liberalismo. Diciamo, semplificando, che può essere definito liberale chi anteponga l’individuo alla società e allo stato. Dopo di che nascono però altri problemi. Perché troveremo pensatori liberali, come Aron che ritengono irrealistica l’idea dell’individuo isolato e autosufficiente. Oppure, liberali, come Mises, che invece asseriscono la necessità di costruire la teoria politica liberale, proprio partendo dall’individuo, come unico attore razionale. O liberali di sinistra, come Rawls, per i quali lo stato gioca un ruolo decisivo nello stabilire condizioni di partenza eguali per tutti.
Il vero punto della questione è che Aron, Mises e Rawls considerano la politica con sospetto. Aron, da buon realista, la sopporta, cercando di addomesticarla, attraverso la lezione della storia. Mises, invece antepone l’economia alla politica. Rawls invece trasforma la politica in regole e procedure.
Un liberale intelligente, che per sensibilità politica a curiosità intellettuale, può essere affiancato ad Aron piuttosto che a Mises e Rawls, è certamente Isaiah Berlin (1909-1997). Un liberale molto particolare, al quale Norberto Bobbio rimproverava che per argomentare il suo liberalismo, ricorresse ad autori poco liberali come Machiavelli, Vico e Sorel… In effetti Berlin, da autentico storico delle idee, si è sempre mosso a suo agio, tra i pensatori più diversi, cogliendone genialmente contraddizioni e potenzialità. Nato a Riga, ma presto trasferitosi con la famiglia in Gran Bretagna, che diverrà la sua patria d’adozione e d’insegnamento, Berlin era e resta un modello di raffinato “saggismo” universitario. Ma rimane anche un instancabile critico del dogmatismo: da quello comunista a quello liberista. Ha pubblicato ottimi libri come Il riccio e la volpe (Adelphi 1986), Il legno storto dell’umanità (Adelphi 1994), Il senso della realtà (Adelphi 1998), i Four Essays on liberty (raccolti poi nel volume La libertà, Feltrinelli 2005). E quello che è il nostro libro preferito: Le radici del romanticismo (Adelphi 2001), dove traccia un magistrale ritratto del movimento romantico cogliendone bene luci e ombre. Un testo che andrebbe letto insieme a Romanticismo Politico di Carl Schmitt : quello che il giurista e politologo tedesco chiama - semplifichiamo - l’opportunismo politico del romanticismo, che spinge l’intellettuale romantico a sposare cause politiche anche opposte (progressiste e reazionarie), per Berlin è puro antideterminismo storico: volontà di non dare mai un senso definitivo alla storia. E soprattutto alla libertà umana.
Una buona occasione per conoscerlo meglio è la biografia, appena uscita, di George Crowder (Isaiah Berlin, il Mulino, Bologna 2007, pp. 294, euro 19.50), uno studioso australiano di scienze politiche, Si tratta di una buona sintesi, con ricca bibliografia (dove per ogni libro di Berlin sono addirittura riportati i titoli dei capitoli). Anche la traduzione dall’inglese è accettabile. Meno incisiva, la presentazione di Mauro Barberis, troppo ripiegata sul solo dibattito liberalismo-universalismo. Del resto, un limite (inevitabile) del libro è quello di dipendere troppo dal contesto culturale e politico anglofono. Nel senso che anche l’analisi di Crowder risente troppo della polemica in corso, in ambito anglo-americano, sulla necessità di conferire una base universalistica al liberalismo. Una preoccupazione lontanissima dalla mentalità antideterministica di Berlin, che si è sempre rifiutato di deificare il liberalismo politico E, ovviamente, il “minimalismo” berliniano è criticato da Crowder.
In realtà, Berlin, è prezioso, proprio per il suo liberalismo realista, a piccoli passi, o se si vuole, malinconico. Perché consapevole, come quello aroniano, ma si potrebbe citare anche la Arendt, dei limiti insiti nella natura umana. E dunque della pericolosità sociale delle visioni salvifiche, anche se apparentemente liberali. In proposito, sono molto interessanti le pagine, che Crowder dedica alla critica di Berlin, a ogni forma di pseudolegge storica, incluse quelle storico-economiche, a cominciare dai cosiddetti principi della domanda e dell’offerta. Perché lesive delle umane capacità morali . Ecco in pillole la tesi di Berlin: se si ritiene che un certo evento (ad esempio l’avvento della società comunista, liberale, eccetera) debba accadere, perché allora organizzare un movimento col compito di favorire quel che comunque accadrà? Di qui due rischi: l’inazione fatalistica, oppure l’iperattivismo, perché alcuni, potrebbero cercare di affrettare i tempi, e a tutti i costi…
Questo non significa che si non debba decidere e agire. Il realismo politico, scrive Berlin, nel Potere delle idee, non impone la fede in leggi storiche assolute ( cosa ben diversa, a suo avviso, dal ritenere, giustamente, che esistano “ritmi storici”). Ma richiede alcune qualità: “ la capacità di giudizio, l’abilità, il senso del tempo, la comprensione immediata del rapporto tra mezzi e risultati”. Tutti aspetti che “dipendono da fattori empirici come l’esperienza, l’osservazione, e soprattutto quel ‘senso della realtà’ che consiste in buona parte di un’integrazione semiconsapevole di un gran numero di elementi apparentemente irrilevanti o impercettibili presenti nella situazione; elementi che presi insieme formano un qualche tipo di disegno che di per sé ‘suggerisce’ (‘sollecita’) l’azione appropriata” (p. 216).
Troppo complicato? No, perché, qualche riga più in là, Berlin attribuisce tali qualità a statisti come Bismarck, Lincoln e Roosevelt. Tutti “statisti di successo”: un “conservatore” e due “liberali”. Probabilmente, dal punto di vista politico, la verità è nel mezzo. E si chiama conservatorismo liberale. Certo, non è il massimo… Ma la storia delle istituzioni politiche segue percorsi complicati e spesso indecifrabili... E perciò non va dimenticato che Bismarck pose le basi dello Stato Sociale e Lincoln e Roosevelt, rispettivamente, quelle della liberazione dei neri e di un’economia non attenta solo alle ragioni del profitto
Tutte decisioni, ancora oggi, politicamente epocali.