La guerra dei mondi
di redazione ECplanet - 20/03/2007
La guerra dei mondi, reali e virtuali, è una guerra psichica che si combatte a colpi di immagini e immaginari, bombe informatiche e persuasioni occulte hi-tech, dove la manipolazione è sempre in agguato. È una “guerra pura”, di pura percezione, i cui esiti determinano la visione del mondo e, di conseguenza, la forma del mondo. Una guerra che tutti siamo chiamati a combattere.
È entrato nella sua ex-scuola armato fino ai denti: un coltello legato alla gamba destra, due fucili a canne mozze, una cintura carica di ordigni artigianali e bombe a gas. Una maschera antigas militare sulla faccia, alle mani un paio di guanti. Ha sparato all'impazzata, ha ferito undici persone, poi si è suicidato. Ancora violenza cieca. orrore e morte in una scuola: come a Columbine, come a Erfurt, come tra gli Amish di Pennsylvania. Questa volta con una sola vittima: Sebastian B., 18 anni, uscito dalla scuola media «Geschwister Scholl» di Emsdetten - una città di 34 mila abitanti nel NordReno-Vetsfalia, quasi al confine con l'Olanda - lo scorso giugno, dopo tre bocciature. Pieno di astio e di voglia di vendetta.
«L'unica cosa che in questi anni mi hanno insegnato è che sono un perdente. Da quando avevo sei anni per voi sono lo scemo da prendere in giro. Adesso ve la farò pagare. Vi odio tutti, voi e la vostra razza», ha scritto nella lettera d'addio, lasciata sul suo sito domenica sera. Lo aveva detto al momento di lasciare la scuola: «Ve la farò pagare. A tutti». È stato di parola. Una madre ha raccontato che diceva alle ragazze: «Sarete voi le prime, bambolette». Con i compagni parlava di un futuro nell'esercito: «Voglio andare nelle zone di guerra». Nel 2004 - dopo l'ultima bocciatura - aveva scritto in una chat, firmandosi ResistantX: «Per tutti quelli che ancora non l'hanno capito: sì, sto parlando di una sparatoria all'impazzata. Sui primi che capitano». Aveva però anche chiesto aiuto a un forum di assistenza psicologica: «Ho un desiderio folle di strage, non so più chi sono, non so come andare avanti, per favore aiutatemi». L'ultimo messaggio di B. è una lettera spietata e disperata. Come sottofondo c'è una canzone Death Metal, «Muori, maiale, muori»: «La mia vendetta sarà talmente brutale che vi gelerà il sangue nelle vene. Più nessuno potrà dimenticarmi. A scuola sono sempre stato umiliato, nessuno è innocente. Comincerò dagli insegnanti, che si sono intromessi nella mia vita e mi hanno fatto arrivare sin qua: sul campo di battaglia. E adesso me ne vado».
Sebastian B. le armi se le era procurate sul mercato nero. L'avevano già fermato più volte. Proprio il giorno dell'atto suicida avrebbe dovuto presentarsi in tribunale, a rispondere dell'accusa di possesso illegale di armi. Invece, ha organizzato la sua uscita di scena. Si era “esercitato” con un videogioco brutale, “Counter-Strike”. E in Germania si è accesa la polemica sui videogiochi violenti. “Devono essere vietati per legge”, ha detto Wolfgang Bosbach, leader del partito Cristiano Democratico tedesco, citando degli studi che dimostrerebbero l'effetto negativo dei giochi killer su alcuni giovani, e dichiarando la necessità di definire “linee guida efficaci per proteggere i ragazzi”. Christa Stewens, Ministro della Famiglia per lo stato della Baviera, ha sostenuto che in risposta ai gravi fatti di Emsdetten, il governo federale dovrebbe bandire i “giochi killer” come il “Paintball” (una vera e propria simulazione di battaglia con marcatori a vernice e riproduzione di tattiche di guerriglia sempre più popolare) o videogiochi quali Doom 3 e Counter-Strike. La Stewens si era già fatta sentire nel 2002, dopo il caso del massacro di Erfurt, in cui ci furono sedici morti, quasi tutti professori del Gutenberg Gymnasium: la gravità del fatto provocò il divieto di vendere i “killer games” in Baviera, nel sud-est del paese, inclusa la città di Monaco.
Non molto tempo prima dei fatti di Emsedetten, era tornato nell'occhio del ciclone “Grand Theft Auto”, la tristemente nota serie di videogiochi creata da Rockstar Games: dopo le innumerevoli polemiche e diatribe per la natura violenta e sessista del gioco, i produttori erano stati accusati di aver provocato indirettamente un omicidio. Una famiglia dell'Alabama, infatti, ha sporto denuncia contro Take2 Interactive, che gestisce Rockstar Games, incolpando i videogiochi della serie GTA per aver istigato un giovane di 14 anni ad uccisdere il padre (gli avvocati dei parenti della vittima hanno richiesto un risarcimento di ben 600 milioni di dollari). Cody Posey, il parricida, che ha ucciso il padre dopo aver ricevuto uno schiaffo, avrebbe sviluppato una sorta di ossessione per le cruente sparatorie mostrate nelle fasi di gioco di GTA. “Se non avesse avuto questa ossessione”, ha detto l'avvocato Jack Thompson, “non avrebbe sicuramente ucciso il padre”. Thompson ha dichiarato che i creatori di GTA “hanno attentato alla sicurezza pubblica nel momento in cui hanno iniziato a vendere il gioco” e che il rischio di un “effetto emulazione” avrebbe dovuto tenere a freno la pubblicazione del titolo. La software house che ha realizzato GTA ha risposto che si tratta di un caso estremamente controverso e che è pronta a difendere fino all'ultimo i propri interessi.
Gli studi empirici sugli effetti dei videogiochi violenti sono ancora molto contrastanti e assai poco trasparenti: alcuni ricercatori sostengono l'assoluta innocuità, mentre altri sono convinti che l'esposizione prolungata a simulazioni violente possa causare alterazioni nello sviluppo comportamentale dell'individuo. La questione ha visto esporsi anche la Microsoft che ha proposto una campagna per stimolare nei genitori una più stretta supervisione sull'uso che i figli fanno dei videogiochi violenti. Anche se, avvicinare gli adulti al mondo delle console, in modo da azzerare il “digital divide” tra genitori e figli, dai più maliziosi è visto come un'abile mossa commerciale, utile ad incrementare le vendite di Xbox, la console ammiraglia di casa Microsoft.
Come nella precedente versione di Xbox, e in molti prodotti concorrenti, anche su Xbox 360 sono previste impostazioni di sicurezza che permettono di delimitare i contenuti ai quali i ragazzi accedono sia online che offline. Molti titoli sono provvisti di protezioni attivabili che vietano l'accesso a contenuti x-rated o violenti. Nonostante ciò, per Robbie Bach, presidente della Microsoft Entertainment and Devices Division, il ruolo chiave è l'educazione. “Non vediamo nella censura dei contenuti un business. Dovremmo spendere meno tempo nel fare norme e molto più nell'educare, poiché l'educazione è la chiave del problema”. La mossa di Microsoft è arrivata tra incalzanti pressioni sugli organi legislativi perché si mettano al bando violenza e sesso nei prodotti destinati ai ragazzi. Le polemiche si sono più che mai accese in seguito all'uscita di “Super Columbine Massacre”, un videogioco che traspone in 3D il massacro avvenuto alla scuola di Columbine.
A SCUOLA DAI BULLI
In mezzo a tutto questo polverone, un'altro titolo della Rockstar, “Bully”, già messo all'indice in Australia e uscito vittorioso da un processo negli USA, è uscito in Italia mentre infiammavano le polemiche su bullismo e violenza giovanile in seguito al caso del pestaggio di un ragazzo down ripreso con una telecamera e messo su internet tramite il servizio di video-sharing offerto da Google (che nel frattempo è finita sotto inchiesta). In Bully, nella versione italiana “Canis Canem Edit” (Cane Mangia Cane), il protagonista è Jimmy Hopkins, un teenager che viene «parcheggiato» in un college dalla madre che sta partendo per la sua quinta luna di miele. Jimmy è irascibile e al dialogo preferisce le scazzottate. Tra una lezione e l'altra, si diletta con fialette puzzolenti e petardi, a scassinare armadietti e picchiare i rivali. La scuola è divisa non solo in classi, ma in strati sociali: ci sono i palestrati, i fichetti, i «nerd» (secchioni imbelli). Tra una punizione e una sospensione, Jimmy scopre anche il sesso: All'inizio del gioco è interessato dalle ragazze (basterà rubare un mazzo di fiori per avere un bacio), più avanti nel gioco scoprirà di avere inclinazioni omosessuali.
Su Bully si è pronunciato il ministro per l'istruzione Giuseppe Fioroni: «Mentre la società dice di volersi impegnare ad educare i ragazzi al rispetto delle regole e degli altri, esce un videogioco con un messaggio che rischia di vanificare i nostri sforzi». Una preoccupazione, quella espressa dal ministro, che trova conferma in un'indagine di Telefono Azzurro, secondo cui un ragazzo su due dice di aver minacciato o picchiato uno dei suoi compagni e il 33% cento degli studenti delle scuole superiori è vittima ricorrente di atti di bullismo.
RULE OF ROSE
Una inchiesta di Panorama, firmata da Guido Castellano, ha messo sotto accusa il videogioco giapponese “Rule of Rose”, vietato ai minori di 16 anni, in cui una bambina viene sepolta viva dopo aver subito violenze psicologiche e fisiche di ogni genere. La questione è finita anche sulle pagine del Times, che riferisce anche dell'iniziativa che il vicepresidente della Commissione UE e commissario alla Giustizia Franco Frattini vuole intraprendere al Parlamento Europeo per regolamentare i contenuti dei videogiochi violenti. Viene citato anche il sindaco di Roma Walter Veltroni, fra i primi a essersi espresso con preoccupazione sugli orrori del videogame. Divampa la polemica: il Ministro della Giustizia Clemente Mastella invoca un'Authority ad hoc che stabilisca degli «standard accettabili» e annuncia che il governo si muoverà per «un controllo preventivo». Prima di Mastella, era stata la senatrice dei DS, Anna Serafini, presidente della Commissione Infanzia, a lanciare l'ipotesi di istituire l'Authority. “Credo” - aveva sottileneato la Serafini - “che, sia attraverso un intervento penale che ritengo indispensabile, sia attraverso un'azione amministrativa-commerciale, si possano realizzare gli elementi di deterrenza”.
Rule of Rose è un videogioco horror che fà leva sulla morbosità dei giocatori: le inquadrature della bambina nella bara, per esempio, sono riprese dalla parte dei piedi, con la telecamera che volutamente indugia sulle forme ancora acerbe di Jennifer e la gonnellina che proprio non riesce a stare al suo posto. Vi sono continue allusioni sessuali, tra il lesbismo e il sado-masochismo. Protagoniste sono delle bambine che si ribellano al perverso mondo degli adulti, che le vorrebbe sottomesse, praticando una violenza che fa accapponare la pelle. Rule of Rose, sviluppato dalla casa giapponese Punchline, prodotto e distribuito dalla Sony, stà facendo scandalo, mentre viene venduto in milioni di copie (in Italia è distribuito dalla 505 Games). Per Yuya Takayama, inventore del gioco, Rule of Rose non è pericoloso o deviante, ma, anzi, può essere perfino educativo: «Vuole dimostrare quanto un adulto possa essere terrificante per un bambino», ha detto Takayama a Panorama, «ma anche il perfetto contrario, ossia quanto un bambino possa divenire terrificante per un adulto».
«Demonizzare i videogiochi è sbagliato», secondo Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dello sviluppo all'Università La Sapienza di Roma, «la cosa preoccupante è la filosofia morale che pervade alcuni di questi giochi. Si vince se si è più violenti. Non importa ragionare troppo, l'importante è sparare e uccidere. Il ragazzo può assuefarsi ad una sorta di inquietante adattamento cognitivo». In merito si è espresso anche lo psicologo americano Craig Anderson, della Iowa State University: nel suo libro “An Update to the Effects of Playing Violent Videogames”, ha confrontato 42 ricerche sugli effetti dei videogiochi, concludendo che l'utilizzo di videogame violenti determina indiscutibilmente effetti negativi nei giocatori. In particolare: aumenta l'aggressività in generale; si producono reazioni tendenzialmente più violente; vengono stimolati pensieri violenti, emozioni violente e si genera negli utenti un atteggiamento meno conciliante nei confronti degli altri.
Al contrario, per lo scienziato Steven Johnson tutti i videogiochi fanno bene, anzi, benissimo. È una delle tesi fondamentali del suo libro “Tutto Quello che fa Male ti fa Bene” (Mondadori, 2006). Johnson, ricorrendo alle neuroscienze, all'economia e alla teoria dei media, sostiene che quella che si è sempre considerata come «spazzatura» è capace di potenziare la vivacità intellettuale dei bambini (e non solo). Lo confermerebbe il fatto che il quoziente intellettivo delle giovani generazioni è in costante aumento. A favore dell'utilità sociale di ogni tipo di videogame, si è schierato anche Mark Prensky, dell'americana Game2train, società che promuove i videogiochi a uso educativo. «Anche se a contenuto violento o apparentemente diseducativo», ha dichiarato al settimanale The Economist, «la possibilità che i giocatori hanno di fare scelte morali è importante per sviluppare la personalità».
L'ultimo studio pervenuto, quello della Radiological Society of North America (RSNA), ha preso in esame il cervello di 44 teenager durante sessioni di gioco da 30 minuti con due diversi prodotti: il violento “Medal of Honor: Frontline” e l'automobilistico “Need for Speed: Underground”.
Grazie alla risonanza magnetica, sono state rilevate le differenze fra i due gruppi: “I giovani che avevano giocato al titolo violento hanno mostrato precise differenze nell'attivazione del cervello rispetto agli altri”, ha dichiarato il dottor Vincent Matthews, autore dello studio e docente di Radiologia presso l'Indiana University School of Medicine. Attivazioni paragonabili al cosiddetto “fight-or-flight response”, una sorta di stimolo che fa reagire il cervello tramite segnali alle ghiandole surrenali per la produzione di ormoni come l'epinefrina (adrenalina) e norepinefrina. Dunque, gli effetti del videogioco violento si traducono in un aumento della tensione muscolare, una crescita del battito cardiaco, un aumento della la pressione del sangue e una accelerazione della respirazione.
“Negli studi futuri sarà importante cercare di scoprire i motivi di queste differenze funzionali; di fatto per ora sappiamo che esistono”, ha sentenziato il dottor Matthews. Mentre, sul sito ufficiale della RSNA si legge: “Questo studio ha dimostrato che i videogiochi violenti attivano maggiormente le regioni del cervello associate alle emozioni. Ma i dati non sono ancora sufficienti per poter dire se questa combinazione di effetti sia capace di rendere gli individui più inclini alla violenza”. Nel frattempo, negli Stati Uniti, il giudice federale della Louisiana, nell'ambito della controversa legge di proibizione della vendita dei “killer game” agli under-18, ha stabilito definitivamente l'inapplicabilità dell'interdizione.
La legge HB1381, approvata dallo Stato della Louisiana nel corso del giugno scorso, realizzata in collaborazione proprio con Jack Thompson, prevedeva la criminalizzazione della vendita dei giochi dai contenuti forti a chi ancora non avesse raggiunto la maggiore età. Dopo aver subito un primo stop temporaneo in agosto da parte del giudice James Brady, l'iniziativa è stata ora definitivamente arrestata dallo stesso Brady. Non sono serviti tutti gli sforzi di Thompson e del Repubblicano Roy Burrell per provare il nesso esistente tra la violenza reale e quella simulata dalle elaborate scene 3D dei videogame di ultima generazione. La HB1381 proibisce la vendita di videogiochi ai minori solo nei casi in cui: attraggano il morboso interesse dei giovani nei confronti della violenza secondo gli “attuali standard della comunità”; dipingano la violenza in maniera inappropriata nei confronti dei minori secondo “gli standard prevalenti” nella comunità degli adulti; non presentino adeguate caratteristiche di “serio valore letterario, artistico, politico e scientifico” per gli adolescenti. Il giudice Brady ha valutato “aleatori” i tentativi di connessione tra violenza reale e virtuale, a suo dire “vaghi e tendenziosi”. Dopo la sentenza, l'avvocato Thompson ha definito il giudice federale “nel migliore dei casi incompetente e nel peggiore compromesso”.
Sempre negli Sates, il National Institute on Media and the Family è convinto che sia giunto il momento per i genitori di ristabilire il loro ruolo educativo e salvaguardare gli angioletti di casa dai giochi cattivi pieni di sesso, violenza, droga e rock'n'roll. In occasione della pubblicazione dell'undicesimo rapporto annuale sui videogame, l'associazione indica ai disattenti educatori familiari una lista dei “10 giochi cattivi più cattivi”, che dovrebbero essere assolutamente vietati ai bambini e ai teenager, tra cui figurano “Scarface”, “Gangs of London”, “GTA: Vice City Stories” e l'ultimo “Mortal Kombat: Unchained” (tutti titoli che sono comunque già distribuiti con la classificazione M-rated, e possono quindi essere venduti solo a chi abbia raggiunto almeno i 17 anni di età). David Walsh, presidente dell'istituto, ha accolto con favore gli sforzi dei grossi store generalisti come Wal-Mart e Best Buy nel tentativo di impedire l'acquisto dei suddetti giochi ai ragazzi, e ha dimostrato di apprezzare anche i meccanismi di parental control integrati nelle console di ultima generazione dai produttori. Basterebbero i tanti fatti di cronaca nera con protagonisti giovani sbandati e violenti, appassionati di videogiochi “hard-gore”, a dimostrare che un legame esiste, eccome.
Certo, non si può incolpare solo i videogiochi violenti se la barbarie si sta impadronendo del mondo e dei suoi abitanti, adulti compresi (bisognerebbe chiamare in causa tutti i mass-media, a cui piace così tanto sguazzare nel sangue e nella violenza, ndr); dall'altra, non si può neanche dire che questi videogiochi siano educativi, né tantomeno “catartici”. La violenza genera violenza. Specie nel mondo impazzito in cui viviamo, in cui il ruolo educativo viene svolto dai mezzi di comunicazione di massa, in modo totalmente schizofrenico (lo dice anche il Papa, ndr). In questo “iper-mondo” o “simul-mondo”, dove i messaggi si accavallano vorticosamente, in cui scompare ogni principio di realtà, ogni spazio di riflessione e di comunicazione a misura d'uomo, è impossibile pretendere una qualsiasi funzione educativa. L'unica forma che si intravede è quella del caos.
La guerra dei mondi continua...
APPENDICE
GRAND THEFT AUTO
Il protagonista ha una città a sua disposizione. Può bighellonare tutto il giorno, rubare automobili, picchiare tutti quelli che incontra, dai cittadini inermi ai poliziotti. Ma si fa anche di peggio; si bastonano le prostitute con mazze da baseball rubando il loro incasso, magari dopo averne approfittato. E dopo un po' questa vita non basta più. Allora si inizia a lavorare per il boss di turno, che manda «il bravo ragazzo» a riscuotere il pizzo o a mettere le bombe nelle auto dei nemici.
SCARFACE
“Scarface: The World is Yours” di Vivendi, ispirato all'omonimo film culto del 1983 con Al Pacino nei panni di un boss della droga, ha debuttato in ottobre direttamente al primo posto della classifica dei videogiochi più venduti negli USA...
CAMORRA
Aspiranti boss virtuali a scuola di camorra: attraverso un sito internet di origine olandese ci si può costruire una carriera criminale, iniziando da semplice rapinatore fino a diventare un potente narcotrafficante. Da semplici “postini” a compratori e pusher, si può arrivare fino a creare una “coke factory” per produrre e vendere cocaina con tanto di borsino dei prezzi, città per città. Tra i benefit dovuti al boss c'è anche l'acquisto di una villa dove scappare nei momenti di pericolo. Dato che le sanguinose faide, così come il carcere, è un rischio che si deve correre. Dello stesso filone ci sono titoli come “Mafia” e “Yakuza”, giochi dove, per diventare «uomo d'onore», l'unico modo è ammazzare, picchiare e rapinare. Ma soprattutto, violare la legge.
NARC
I protagonisti sono due poliziotti che possono decidere se seguire le regole o essere corrotti. Se si sceglie di essere «bad cops» si può massacrare chiunque ci si pari dinanzi, vendere la droga sequestrata ad altri spacciatori, e anche imbottirsi di qualsiasi tipo di sostanza stupefacente. Le dosi assunte serviranno come energizzanti: un po' di marijuana rallenterà tempo, offrendo un certo vantaggio in uno scontro armato; una dose di crack aiuterà a mirare meglio; l'assunzione di lsd, procurerà allucinazioni inquietanti.
HITMAN
Se in Canis Canem Edit la madre di Jimmy sembra essere il motivo del suo disagio scolastico e sociale, in Hitman il protagonista può addirittura uccidere il padre.
POSTAL 2
In questo gioco si uccide e massacra senza motivo. Tutti, indiscriminatamente. Dopo aver accumulato una discreta quantità di cadaveri, li si può anche bruciare. I gay, effeminati nelle movenze e nel parlare, vanno prima picchiati a sangue e e poi, come oltraggio finale, gli si può fare la pipì addosso. Tra feriti che rantolano (smettono solo se uccisi), gruppi di pacifisti con cartelli che inneggiano alla chiusura degli studios della Running with Scissors (la casa che produce il gioco), alte dosi di piombo e la giusta quantità di bombe molotov. Non vengono risparmiati nemmeno gli animali: si possono usare i gatti come silenziatore del proprio fucile.
GANGS OF LONDON
Una volta scelta la propria gang, il giocatore, pistola alla mano, comincia a svolgere le proprie missioni durante le quali bisogna freddare ogni essere in movimento. Una volta al volante della propria vettura, invece, si può procedere alla guida spericolata (sportellate tra vetture, inseguimenti e così via) per le vie di Londra.
LEFT BEHIND
“Left Behind: Eternal Forces” è un videogame cristiano basato sulle profezie del Libro della Rivelazione della Bibbia, basato sulle popolarissime serie di libri “Left Behind”, create da Tim LaHaye e Jerry Jenkins. Il gioco è ambientato a New York dopo che milioni di cristiani sono stati trasportati in paradiso in estasi. Ai giocatori è richiesto di reclutare, e convertire, un esercito che dovrà sostenere un conflitto fisico e spirituale con l'anticristo e i seguaci del male. Lungo la strada, i giocatori raccolgono punti risucchiando lo “spirito” dei personaggi che uccidono. Jack Thompson, che è un cristiano conservatore, ha condannato il gioco per la violenza (non importa che si tratti di cristiani che spazzano via gli infedeli). “Il contesto è irrilevante. È un gioco sulle uccisioni di massa”, ha dichiarato sul sito www.religioustolerance.org.
Data articolo: marzo 2007
Fonti: Punto Informatico, Panorama, Reuters
Link correlati all'articolo:
RSNA
National Institute on Media and the Family
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