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Afganistan. Orrore "in linea con le stime"

di U. F. - 20/03/2007

 


Provincia di Kapisa, 4 marzo 2007: ancora orrore. Due ordigni da 900 kg. sganciati da un bombardiere B.1 della "coalizione antiterrorismo" colpiscono una povera abitazione civile: nove i morti, tra i quali cinque donne, tre bambini e un anziano. Il maggiore William Mitchell, portavoce delle forze Isaf-Nato, ha cinicamente spiegato che non è stato possibile accertare quante persone siano realmente perite, per cui è stato accettato il bilancio fornito dalle autorità locali, ritenuto "in linea con le stime". Appena il giorno prima, un altro massacro era stato compiuto sulla strada di Jalalabad da soldati Usa che avevano sparato indiscriminatamente; le foto delle vittime - almeno una decina - sono state distrutte dagli stessi militari.
Fin dal gennaio 2002, considerato l'elevato numero di vittime civili, le pur asservite autorità governative afgane avevano ufficialmente richiesto ai comandi statunitensi di Enduring Freedom l'interruzione dei bombardamenti aerei. Da allora questi non solo sono continuati, ma nell'ultimo anno sono aumentati per numero e intensità, toccando la media giornaliera di circa 50 incursioni Usa e Nato, sia con cacciabombardieri che bombardieri pesanti, inclusi i micidiali B.1 e B.52. Inutili le ricorrenti proteste delle autorità governative e dello stesso Karzai che, dopo l'ennesima strage, il 27 ottobre scorso aveva dichiarato ai giornalisti: "Il terrorismo non può essere eliminato con operazioni militari nei nostri villaggi. Le radici del terrore non sono in Afganistan ". Il 30 ottobre 2006, la Wolesi Jirga, la camera bassa del parlamento afgano, aveva quindi incaricato sette dei suoi membri di visitare Panjwayi e compilare un rapporto sulle vittime civili.
Una parlamentare del suo stesso governo, Noorzia Atmar, ha però contestato Karzai per aver conferito il 29 ottobre la medaglia nazionale Ghazi Amanullah Khan al generale Usa James L. Jones, comandante supremo delle forze alleate Nato per l'Europa.
Gruppi per i diritti umani e la Missione di assistenza dell'Onu in Afganistan hanno ripetutamente condannato gli eccidi di civili. In una dichiarazione rilasciata alla stampa, i membri della Missione Onu hanno ribadito che le vittime civili sono inammissibili, senza eccezione. Secondo Sam Zarifi, direttore della ricerca per l'Asia di Human Rights Watch, "La condotta della Nato mette sempre più a rischio quei civili che dovrebbe proteggere, attirando su di sé la rabbia della popolazione".
Ma se la contabilità delle missioni aeree di guerra, sia Usa che Nato, appare quotidianamente aggiornata nei siti e nei bollettini ufficiali, quella riguardante gli "effetti collaterali" rimane coperta prima ancora che dal segreto dall'incuranza militare. Secondo alcune fonti mediche, soltanto nel 2006, sono stati seimila i morti civili in Afganistan (contro i duemila del 2005 e i 700 del 2004), di cui soltanto la metà sono stati considerati "presunti combattenti talebani": formula questa, come è stato da più parti denunciato, utilizzata sistematicamente per nascondere i civili vittime di rastrellamenti, rappresaglie, attacchi aerei.
Ormai, come da tempo previsto, la situazione appare in caduta verticale, sempre più dentro una guerra ormai senza sbocco e la cosiddetta offensiva preventiva delle forze occidentali è destinata, così come avveniva negli anni Ottanta, alle continue campagne sovietiche, a non debellare la guerriglia. Così, neanche l'ultima tanto propagandata operazione, denominata "Achille", potrà conseguire effetti risolutivi: la guerra non risolve la guerra.
Ad ammetterlo ormai sono anche i sostenitori dell'intervento: l'8 marzo scorso, l'inviato speciale delle Nazioni Unite in Afganistan , Tom Koenigs, in un'intervista all'emittente radiofonica tedesca Ard, ha avvertito che la finestra di possibilità per la presenza di truppe straniere in Afganistan  "si sta chiudendo" e che la massiccia presenza di forze Nato non sarà sostenibile a lungo "né per noi, né per gli afgani".
In Italia, invece, le trasversali responsabilità politiche in questa guerra, contrabbandata come missione umanitaria sotto bandiera Onu, continuano invece a sfuggire davanti alla realtà; raggelanti in tal senso le "preoccupazioni" di D'Alema all'indomani delle ultime stragi o per il reporter Mastrogiocomo preso in ostaggio. Mentre in Afganistan si muore ogni giorno, ogni ora, in parlamento si discute, si polemizza, si contrattano voti per il rifinanziamento delle missioni militari all'estero. Questa volta, il decreto copre un anno (circa 1 miliardo e 200 milioni di euro lo stanziamento, di cui 915 milioni per la parte militare ed il resto per discutibili progetti di ricostruzione) onde non mettere in difficoltà l'esecutivo ad ogni semestre. Per i circa 2000 militari italiani c'è persino chi, da destra, reclama più truppe, più carri armati, nonché regole d'ingaggio più aggressive e illimitato impiego secondo gli ordini Usa. In realtà i reparti italiani dislocati a Kabul ed Herat si trovano già "in prima linea", con alcune centinaia di appartenenti alle truppe speciali in zona di combattimento sul fronte sud. Conferma di ciò viene, oltre che dai ricorrenti attacchi contro le pattuglie italiane, dal direttore del Sismi, Bruno Branciforte: "Le operazioni militari in corso delle truppe Usa ci preoccupano perché hanno innestato un'escalation di violenza che non può non coinvolgere i nostri soldati".
Lo stesso Prt di Herat, il "team di ricostruzione provinciale" a guida italiana, non ha compiti diversi da quelli assegnati a tali proiezioni operative della missione Isaf-Nato, ossia "penetrare nel territorio, raccogliere informazioni e guadagnare la cooperazione delle autorità locali nella lotta agli avversari", tanto che la stessa rivista Stars and Stripes ha definito i Prt come "la faccia pubblica delle operazioni speciali".
Intanto, per ottenere il consenso per la guerra Nato e il voto favorevole anche di quella che un tempo veniva definita "sinistra pacifista", il governo continua a ventilare la realizzazione a Roma di un'improbabile quanto macabra Conferenza internazionale per la pace in Afganistan: una conferenza con troppi assenti e troppi nemici dell'umanità seduti al tavolo della presidenza.