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Usa e Ue: giudizio sospeso sul governo palestinese

di Alessia Lai - 22/03/2007

 


Europei e nordamericani si sono accordati martedì per attendere le prime decisioni del nuovo governo palestinese e decidere di conseguenza sull’atteggiamento da adottare nei suoi confronti.
Ieri qualcosa è cambiato, ma non a livello dei Paesi che più contano nei rapporti con il nuovo esecutivo di Hamas e Fatah.
Dopo l’iniziativa, lunedì, della Norvegia, che però non fa parte dell’Ue e quindi agisce autonomamente, di riaprire il dialogo con le autorità palestinesi, ieri hanno preso coraggio Austria e Belgio, questi sì membri dell’Unione: il ministro degli Esteri austriaco Ursula Plassnik ha invitato a Vienna il nuovo ministro degli Esteri palestinese palestinese Ziad Abu Amr, di fresca nomina affermando che “il nuovo governo palestinese di unità nazionale è un’opportunità per una svolta positiva in Medio Oriente”, mentre il ministro degli Esteri del Belgio Karel de Gught sarà venerdì a Ramallah, nei Territori dell’Anp, per incontrarsi con il suo omologo Abu Amr.
Quelle che in un primo momento potevano apparire della aperture da parte della Francia, invece, a ben vedere seguono la linea di condotta ambigua di chi non vuole scontentare alleati forti come gli Usa pur adottando una posizione da “capofila” all’interno dell’Unione europea. Ieri, infatti, Parigi ha annunciato la volontà di agire in seno all’Ue per una rapida ripresa degli aiuti finanziari diretti e riprendere i contatti politici con i membri del nuovo governo di unità palestinese, precisando però che non saranno quelli appartenenti all’organizzazione di Ismail Haniyeh.
“La Francia è pronta a riprendere contatti politici con gli esponenti del governo palestinese che non appartengono ad Hamas”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri francese, Jean-Baptist Mattei, precisando che “è in corso una discussione” per stabilire come comportarsi nei confronti del nuovo esecutivo palestinese.
Può apparire promettente l’incontro a Ramallah, in Cisgiordania, del console degli Stati Uniti a Gerusalemme, Jacob Walles, con il nuovo ministro palestinese delle Finanze, Salam Fayyad.
Ma in questo primo contatto ufficiale tra un responsabile nordamericano ed un ministro del governo d’unità nazionale palestinese, non può certo passare inosservato il fatto che Salam Fayyad sia un ex alto funzionario del Fondo Monetario Internazionale che, in quanto tale e non appartenendo ad Hamas, gode della fiducia dei Paesi occidentali.
Ci sta tutto, quindi, l’apprezzamento espresso ieri da Israele per il fatto che Ue e Stati Uniti continuano a mantenere sospeso il giudizio sul neo-esecutivo palestinese ed a chiedere a questo governo di piegarsi alle condizioni fissate dal Quartetto (Usa, Ue Russia e Onu), cioè il riconoscimento del diritto ad esistere dello stato di Israele; la rinuncia incondizionata alla violenza e il rispetto dei precedenti accordi internazionali sottoscritti dall’Olp. Non è infatti piaciuto, a Tel Aviv, il discorso di insediamento in cui Haniyeh, pur accettando le linee guida del Consiglio Nazionale Palestinese e quindi riconoscendo le decisioni dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina che legittimano Israele come controparte nel processo di pace, ha ribadito il diritto del popolo palestinese alla resistenza contro l’occupazione. Con queste motivazioni il governo israeliano ha votato domenica per il mantenimento del boicottaggio del governo palestinese, facendo pressione sulla comunità internazionale affinché continui a fare altrettanto.
“Ci rallegriamo del fatto che la comunità internazionale resta sulle sue posizioni e mantiene le sue esigenze nei confronti del nuovo governo palestinese, che deve rispettare le tre condizioni fissate dal Quartetto”, ha affermato ieri Miri Eisin, portavoce del primo ministro israeliano Ehud Olmert.
Atteggiamento diametralmente opposto a quello mostrato nei confronti del ministro degli Esteri norvegese Raymond Johansen che lunedì si era recato a Gaza per avere un colloquio con il premier Ismail Haniye. Ieri Johansen doveva avere un incontro con rappresentanti del ministero degli Esteri israeliano, ma Tel Aviv ha cancellato il previsto colloquio spiegando, tramite il portavoce del ministero degli Esteri Mark Regev, che “La ragione è chiara. Chi concede legittimità ad un’organizzazione che rifiuta di modificare le proprie posizioni estremiste danneggia la pace e le pressioni internazionali su questa organizzazione”.