Film sul genocidio armeno (recensioni)
di autori vari - 23/03/2007
Fonte: comunitaarmena
Taviani, lo strazio armeno
Esce venerdì 23 marzo nelle sale italiane La masseria delle allodole, il film dei due fratelli cineasti, elogiato dalla critica a Berlino: la persecuzione iniziata nel 1894, con la prima guerra mondiale divenne uno sterminio organizzato: 1.900.000 morti, pochi sopravvissuti dispersi nell’esilio, di Vincenzo Savignano.
Il film più controverso della 57esima Berlinale; una pellicola destinata a fare epoca; un capolavoro sconvolgente. Così la stampa tedesca ha definito La masseria delle allodole, l'ultimo film dei fratelli Vittorio e Paolo Taviani, presentato fuori concorso all'ultimo Festival di Berlino nella sezione Berlinale Special, che esce venerdì 23 marzo in Italia. Descritto come il film più forte, sanguinoso e straziante dei due registi. È possibile trovare delle analogie con La notte di San Lorenzo, considerato da sempre il capolavoro dei Taviani. Come nel film del 1982 sulla fine della seconda guerra mondiale, vissuta da alcune famiglie di un paese della Toscana, nella Masseria delle allodole viene raccontato, attraverso il dolore e la paura dei protagonisti, il terrore sconvolgente della guerra. Nel 1915, in una piccola città della Turchia la guerra sembra lontana, lontane le persecuzioni contro la minoranza armena. E armena è la famiglia Avakian, che apre la sua bella casa per il funerale del suo patriarca. Anche il colonnello Arkan, rappresentante dell'autorità turca, viene a rendere omaggio. «Grazie di questo gesto di pace», gli mormora Aram, a nome della famiglia. Dopo molti anni deve tornare dall'Italia il fratello maggiore Assadour, che esercita a Padova la professione di medico: a lui il padre ha lasciato la vecchia "masseria delle allodole", restaurata dal fratello Aram. Un getto di sangue scarlatto su una porta bianca è la premonizione del patriarca poco prima di morire. Poco dopo il funerale inizia l'incubo per la famiglia Avakian e per tutta la comunità armena. La persecuzione degli armeni da parte dell'esercito turco, iniziata nel 1894, con la prima guerra mondiale divenne uno sterminio organizzato: 1.900.000 morti, pochi sopravvissuti dispersi nell'esilio. Nel 1915, al sospetto di amicizia con i russi confinanti si aggiunse un altro movente politico-militare: il partito dei Giovani Turchi scelse l'eliminazione degli armeni per acquisire popolarità e conquistare il potere della Grande Turchia. I maschi armeni, uomini, bambini e neonati vennero uccisi tutti. Le femmine, donne e bambine, vennero deportate nel deserto, e lì lasciate morire. I beni, le case, i patrimoni vennero sequestrati. Paolo e Vittorio Taviani, attraverso immagini atroci e toccanti, trasformano una storia vera, raccontata anche nell'omonimo romanzo di Antonia Arslan, in qualcosa di vivo e coinvolgente. Nel film si vede la testa di Aran, mozzata con un colpo di sciabola, cadere nel grembo della moglie. Un bambino nascosto sotto un tavolo tirato fuori per un piede, e infilzato. Un amore impossibile tra un ufficiale turco e una ragazza armena. Poi il momento più sconvolgente del film: nel corso della deportazione, durante la quale le donne si offrono ai soldati turchi per fame, una mamma partorisce un maschio, le concedono di essere lei a ucciderlo; dopo averlo messo sulle spalle in un sacchetto, chiama un'amica, le due donne si stringono dorso a dorso, premono sino a soffocarlo. La masseria delle allodole ha provocato delle critiche da parte della stampa turca che ha sollevato delle obiezioni di tipo storico poiché, secondo i giornalisti turchi, nel film si parla solo di Turchia quando nel 1915, in realtà, esisteva l'Impero Ottomano in disfacimento. Si temeva anche che il film dei Taviani potesse provocare delle proteste da parte della numerosa comunità turca di Berlino, ma i timori della vigilia fortunatamente si sono rivelati infondati. «Ricordiamo che un film è sempre un impasto di storia e di contesto, di documentazione e di fantasia - hanno spiegato i fratelli Taviani - Al centro della nostra storia c'è un destino di un gruppo di persone liberamente ispirato a un libro, dolorosamente raccontato in prima persona. Con il nostro film non vogliamo offendere i turchi, anzi ci auguriamo che un giorno possa essere proiettato nelle scuole turche».
(Da Avvenire del 15 marzo 2007)
La Masseria delle Allodole: un olocausto dimenticato
Roma, 19 mar. (Apcom) - "E' un film che finisce con la parola amore, perché parla di amore e odio, il mistero che ogni uomo porta nella propria vita", così Vittorio Taviani definisce il nuovo lavoro realizzato con il fratello Paolo, "La Masseria delle Allodole", che tratta lo spinoso, quanto sconosciuto, tema del genocidio degli armeni all'inizio della Prima Guerra Mondiale ad opera dell'esercito turco. Ma i maestri Taviani precisano subito: "non è un film contro i turchi, il soldato che denuncia lo sterminio (Youssuf), si autoaccusa per primo del delitto, denunciando se stesso per primo 'per l'uccisione della donna che ha amato'". Parte da "una tragedia collettiva e poi segue i destini dei personaggi, le loro storie e la loro tragedia", la solidarietà con alcuni esponenti del mondo turco e l'odio di altri. Da venerdì in 60 sale italiane il film parla del massacro di 1,5 milioni di armeni sterminati con una deportazione sistematica e mai tornati alle loro case. Un'enclave armena che vive in una piccola città della Turchia. Questo il punto di partenza del film. Una famiglia ricca, momenti di pace, un funerale, un ricevimento, l'amore tra un ufficiale turco (Egon) e una giovane armena di ricca famiglia (Nunik). Un crescendo di emozioni e di musiche della tradizione armena, che portano al momento tragico in cui il partito dei Giovani turchi decide il sistematico sterminio degli armeni e la spertizione delle ricchezze in nome della Grande Turchia. "Questo nostro film nasce da un senso di colpa. Tre anni fa abbiamo scoperto, quasi per caso, la tragedia armena, sapevamo, credevamo di sapere. Un eccidio di uomini, donne, bambini nel 1915 in nome della Grande Turchia", spiega Paolo Taviani, aggiungendo che esiste "un'ignoranza diffusa sul fatto storico, sia in Europa che a livello internazionale. Ne abbiamo parlato per poter raccontare insieme altre storiesimili, come in Ruanda, in Kosovo o in Africa". L'occasione per narrare la storia della famiglia Avakian fu "la lettura del bel libro di Antonia Arlsan, qualcosa come un'indiretta biografia (la scrittrice è italiana di origine armena) che nel libro ha raccontato l'olocausto della sua famiglia". I Taviani ammettono che la pretesa del film non è disegnare un quadro storico, "ma seguire alcune creature e proiettarle in un evento collettivo che si rivela nel suo orrore oggi, ma che affonda le sue radici nel passato".
(Apcom del 19 marzo 2007)
Una pagina di cinema contro l’oblio
Una guerra mondiale per coprire un orribile genocidio. Ma è la Prima, non la Seconda. E il popolo sterminato è quello armeno. Di una delle più grandi tragedie e vergogne del XX secolo - la cancellazione di un popolo da parte di un altro, i turchi dell’Impero Ottomano - si sente parlare, ancora, assai poco. Eppure anch’esso, al pari dell’Olocausto ebraico, ha dato luogo a una diaspora, a una cultura da ricostruire, a un’identità da ricercare. Non a una forma di scusa o compensazione però. Perché dopo i primi, timidi e incerti processi la Turchia mise tutto a tacere e ancora oggi non accetta di chiamare il genocidio con il suo nome. L’Europa, a lungo, è rimasta sorda all’orrore e inerte. E se è vero che esiste uno Stato “Armenia” è altrettanto vero che gli armeni stessi, fino a 15 anni fa, furono costretti ancora sotto un altro giogo, quello sovietico. A dimostrazione della scarsa memoria storica su una simile catastrofe anche la pochezza di opere cinematografiche dedicate all’argomento. Recentemente ci si era cimentato Atom Egoyan, autore armeno canadese, con una pellicola sulla memoria, tra passato e presente, Ararat. Sono i fratelli Taviani però, e siamo nel 2007, a tentare, con una produzione internazionale, di ricostruire i giorni dell’orrore, con un film - in uscita venerdì in 60 sale e presentato al Festival di Berlino tra le polemiche e con una critica spaccata - tratto dal libro di Antonia Arslan La masseria delle allodole (Rizzoli). «Ci siamo armati dell’ignoranza. E siamo sprofondati in un mondo terribile e sconosciuto», ammette Paolo Taviani, che ricorda di aver voluto «con questa storia parlare di contemporaneità, di tutte quelle guerre, dal Kosovo al Ruanda, dove fratello uccide fratello». Guerre dove una madre, per non far uccidere il proprio figlio maschio, neonato, da un soldato è costretta a soffocarlo. Dove gli uomini vengono evirati o massacrati e le donne deportate e lasciate morire, nel deserto, di fame e stenti. La tragedia vissuta dalla famiglia Avakian: i maschi di casa uccisi, le donne rapite, violate, trascinate lontano, un maschietto travestito da bambina per sperare nella sopravvivenza. La tragedia di Nunik ( la spagnola Paz Vega , ora passata al ruolo di Santa Teresa d’Avila) amata da due ufficiali turchi (Alessandro Preziosi e Moritz Bleibtreu) entrambi incapaci però di anteporre né la ragione né il sentimento agli ordini della follia. Il cast è quantomeno eterogeneo: ci sono anche il francese Tchéky Karyo nel ruolo del capo famiglia Avakian, il grande André Dussolier, colonnello turco restio a eseguire l’ordine dei superiori, Hristo Jivkov, l’amico di Youssouf-Preziosi, Arsinée Khanjian, musa e moglie di Egoyan e tra gli interpreti di Ararat (lì la videro i Taviani) e ancora Mariano Rigillo, Enrica Maria Modugno, Yvonne Sciò, Angela Molina. Le riprese, che nell’impossibilità di essere effettuate in Turchia sono state fatte in Bulgaria, godono della fotografia di Beppe Lanci. Il film, tuttavia, nonostante il coraggio (dei registi e della produttrice Grazia Volpi) non riesce a dare alle immagini la forza dirompente ed evocativa che il contenuto avrebbe meritato. Non è insomma lo Schindler’s List del genocidio armeno. E forse la lunga assenza dal grande schermo della grande coppia registica, una pausa di dieci anni intervallata da due fiction, è tra le cause della non completa riuscita dell’opera che infatti risente di un impianto televisivo e di un lavoro sugli attori basato su una carica espressiva talvolta dirompente prima del tempo: troppa “intensità” nei momenti privati (come nella travagliata storia d’amore tra Nunik e Youssouf) che finisce per sbiadire la sofferenza della seconda parte del film. Quella realmente tragica. In ogni caso è il ricordo doveroso di una pagina nera e serve a coprire, almeno in parte, un vuoto d’interesse durato praticamente un secolo. I Taviani, pur nel girare non una storia qualsiasi ma un capitolo importante della Storia, ci tengono a sottolineare che La masseria delle allodole «non è un trattato di storia, o di sociologia, ma un raccontare delle storie. Mostra la nostra voglia di seguire il destino dei personaggi» e sebbene neghino di aver voluto girare una pellicola «contro la Turchia» ammettono che non vi possa essere ingresso di Ankara in Europa «senza il riconoscimento dell’eccidio armeno».
(Da la Padania del 21 marzo 2007)