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Quando un vecchio muore in treno...

di Carlo Gambescia - 26/03/2007

 

Oggi, come si dice spesso, la gente va di fretta. Allora perché meravigliarsi del fatto che nessuno si sia accorto della morte per infarto, avvenuta in treno, di un anziano ex ingegnere torinese? L’uomo, classe 1922, è rimasto esanime, ma seduto al suo posto, per almeno quattro ore. Mentre la gente scendeva e saliva senza interrogarsi su quella sua innaturale “rigidità”. Per non per parlare poi del “personale addetto” che non si è accorto di nulla… E così il treno è andato avanti e indietro tra Torino e Savona per due volte, con a bordo quel povero fardello di ossa e carne senza un alito di vita.
Quel che invece stupisce, ma fino a un certo punto, è che sui giornali il fatto sia presentato come un disservizio. Si critica, soprattutto, “il personale delle ferrovie”, per la “disattenzione”. Quasi si trattasse non di uomo, ma di una borsa o di un pacchetto dimenticati da qualcuno sui sedili.
Cerchiano di essere seri, qui sono in gioco ben altri problemi che l’efficienza delle ferrovie italiane. Vediamo quali.
In primo luogo, è cambiata la socialità. Si ha timore dell’altro. Si comunica poco, anche in treno, e soprattutto in quelli affollati di pendolari. Tutte persone psicologicamente sotto pressione, a causa di una vita tutta di corsa, divisa tra impegni familiari, lavoro, e bollette e conti da pagare.
In secondo luogo, gli anziani, per non parlare dei vecchi (come l’ex ingegnere deceduto in treno), vivono in condizioni di marginalità. Li si ritiene noiosi, capaci solo di ripetersi e dire cose scontate. In una parola: inutili.
In terzo luogo, la nostra è una società che ha rimosso la morte. Si cerca di non parlarne. Si celebra la giovinezza. Ai bambini si racconta che i nonni scompaiono tra i fiori. E questo spiega il diffondersi dell’ impossibilità, oggettiva, di riconoscere, anche “fisicamente”, nell’altro i tratti fisici della morte. Così, per “non abitudine” di pensiero.
Infine, l’ex ingegnere torinese è morto, purtroppo per lui, in una condizione di anonimia. Su un treno locale, magari in seconda classe, tra gente comune. Insomma, niente riflettori… E non come in un altro caso, che merita di essere ricordato: la morte di Franco Scoglio. L’ ex allenatore e pensionato di lusso del calcio italiano, morì, per un infarto fulminante, in piena diretta televisiva. Per giorni e giorni non si parlò di altro: dell'uomo famoso (tra l'altro persona degnissima), morto a telecamere accese. Le immagini di quel triste evento vennero trasmesse e ritrasmesse da tutti i canali, con dovizia di particolari e commenti.
Questo fatto indica che la morte, e in particolare quella di un anziano, può interessare solo se avviene, come dire, a reti unificate. Se può appagare l’interesse morboso, opportunamente sollecitato, del telespettatore. Se la morte è in diretta, e può dunque trasformarsi in maggiore audience e in profitti pubblicitari, allora tutto cambia.
Si pensi solo alla presenza e all’insistenza delle telecamere in occasione di disastri e terremoti, ma anche di delitti, particolarmente efferati. Si pensi alle accuratissime ricostruzioni mediatiche delle tecniche di eliminazione fisica delle vittima, praticate dal serial killer di turno. Oppure a intere serate televisive, con ospiti in studio, tese a scavare nella vita delle vittime di atroci delitti per evidenziare i particolari più scabrosi. Si pensi a quei programmi che indagano sulle persone scomparse. Dove poi si scopre, regolarmente, che i “fuggitivi”, spesso con enormi problemi di adattamento alle spalle, si sono suicidati in condizioni drammatiche. E dove si disquisisce per ore di poveri resti umani, spesso irriconoscibili.
E invece, quando la morte è presente a qualche centimetro, il telespettatore di cui sopra, non la riconosce. Soprattutto se si tratta in un vecchio. Uno che scoccia… E che non ha nulla di interessante da raccontare… E col quale sul treno, che si prende tutti i giorni, non si è voluto “legare”, per evitare “noiosi” rapporti di buona conoscenza. E poi con uno sconosciuto… non sia mai.
In realtà il pendolare stressato, vuole solo tornare a casa, per gettarsi alle spalle una giornata di lavoro, accendere finalmente la televisione, per seguire, al sicuro e con la massima attenzione, storie “vere” di morti e delitti. Senza però immaginare, che la morte, quella vera, era lì davanti a lui. Appena dieci minuti prima. Sul treno Savona-Torino.