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La rivincita sciita Iran, Iraq, Libano. La nuova mezzaluna (recensione)

di Vali Nasr - 26/03/2007

Fonte: unibocconi


Vali Nasr
La rivincita sciita
Iran, Iraq, Libano. La nuova mezzaluna

(prefazione di Farian Sabahi)
Università Bocconi editore, 2007
288 pagine, 20 euro

L’esito della sanguinosa battaglia tra sciiti e sunniti non deciderà solo il destino dell’Iraq ma quello di tutto il Medio Oriente. In Libano, nel Bahrein e in mille altri angoli del mondo musulmano gli sciiti sono alla ricerca di una più adeguata rappresentanza politica e “la lotta settaria in Iraq si trasformerà in un più ampio scontro per il potere tra il vecchio establishment arabo sunnita e l’emergente potere sciita, e tra l’Arabia Saudita e l’Iran come naturali pesi massimi di ciascuno schieramento”, afferma lo studioso americano di relazioni internazionali Vali Nasr in La rivincita sciita. Iran, Iraq, Libano. La nuova mezzaluna (Università Bocconi editore, 2007, 288 pagine, 20 euro).

Quelli che fino a ieri erano gli outsider del Medio Oriente si stanno trasformando in attori di primo piano. “La rinascita sciita”, spiega Nasr, “si riferisce al consenso tra governi e movimenti sciiti sul fatto che le conquiste fatte in Iraq vanno protette e consolidate. Il risultato della guerra ha avvantaggiato gli sciiti non solo in Iraq ma in tutta la regione”. Il Libano, con la virulenza delle milizie sciite di Hezbollah e la presenza dei militari italiani, è uno dei banchi di prova del nuovo assetto.

Si stima che gli sciiti siano tra i 130 e i 195 milioni, ovvero il 15-20% del mondo musulmano, ma nel cuore del territorio islamico, dal Libano al Pakistan, il loro numero bilancia quello dei sunniti e sulle rive del Golfo Persico sono la maggioranza.

Allontanatisi dal tronco sunnita già nel VII secolo (il primo dell’era islamica) per divergenze sulla legittima successione a Maometto, si sono sempre più caratterizzati per una forma viscerale e popolareggiante di religiosità, con una passione per i riti e le raffigurazioni visive. “Se il sunnismo è basato sulla legge e sugli obblighi e i divieti dell’Islam”, scrive Nasr, “lo sciismo è rituali, passione e dramma”. La ashura, la tragica e chiassosa festività che ricorda il martirio dell’imam Husayn, nipote di Maometto, per mano sunnita, è il simbolo più visibile di questa diversità ed è, perciò, il momento di massima tensione tra la due versioni dell’Islam.

Trattati spesso dai sunniti alla stregua di eretici o infedeli, perseguitati e fatti oggetto di pogrom, gli sciiti sono sospetti al resto del mondo arabo anche per i legami con la Persia, che adottò lo sciismo nel XVI secolo, quando la dinastia Safavide conquistò il paese.

Nell’ultimo messaggio al popolo iracheno prima di essere catturato anche un leader esplicitamente laico come Saddam Hussein paragonava l’invasione americana alla conquista mongola di Baghdad del 1258, quando il visir sciita del califfo sunnita fu accusato di avere aiutato i nemici a saccheggiare la città. Allo stesso modo, faceva intendere, gli sciiti avrebbero tradito l’Iraq nel 2003, favorendo l’avanzata americana. Quella tra sciiti e sunniti, scrive Nasr, “non è solo una vetusta disputa religiosa, un elemento fossilizzato dei primi anni dello sviluppo dell’Islam, ma uno scontro contemporaneo di identità”, tanto che “questo Medio Oriente non sarà definito dall’identità araba o da qualche particolare forma di governo nazionale. Alla fine, il carattere della regione sarà deciso sul banco di prova della rinascita sciita e della risposta sunnita a essa”.

Con la rivoluzione islamica del 1979 lo sciismo, andando al potere in Iran, modificò parzialmente la sua natura in senso formalista e provocò la reazione dei paesi circostanti, preoccupati dalla rinascita di una fede abbracciata, per lo più, dagli strati più bassi e scontenti della popolazione araba. Gli Stati Uniti hanno condotto la loro politica mediorientale, per almeno vent’anni, nella convinzione che gli amici fossero i sunniti e i nemici gli sciiti, appoggiando Iraq e Arabia Saudita in funzione anti-iraniana.

Nasr, nel suo libro, spiega come la situazione si sia completamente ribaltata. Oggi gli estremisti più pericolosi sono sunniti, mentre gli sciiti, a dispetto dell’aggressività del presidente Mahmud Ahmadinejad, cominciano a familiarizzare con i meccanismi democratici: in Iran, seppur tra molte limitazioni, si vota e il governo iracheno a maggioranza sciita di Nuri al-Maliki è il primo a entrare in carica a seguito di un vero processo elettorale. La transizione dal regime bahatista a quello attuale sarebbe stata ancora più catastrofica, sostiene Nasr, senza il ruolo svolto dall’ayatollah Ali al-Sistani, l’autorità religiosa con maggiore seguito in una struttura che non prevede una gerarchia universale. Senza compromettersi troppo con gli americani, è riuscito a fare in modo che il principio una testa-un voto non fosse diluito in nessun modo, portando così all’inevitabile formazione di un governo a maggioranza sciita. Ha resistito, allo stesso tempo, alla tentazione di ritorsioni generalizzate di fronte alle violenze sunnite, anche se ampie frange militanti sciite sfuggono al suo controllo.

Vali Nasr, iraniano di nascita, ha lasciato il suo paese a 19 anni con la famiglia quando suo padre, filosofo e storico della scienza, fuggì la rivoluzione islamica. Dopo avere concluso la sua formazione in relazioni internazionali negli Stati Uniti, oggi insegna politica mediorientale alla Naval Postgraduate School di Monterey ed è senior fellow del Council on Foreign Relations di New York. È stato consulente della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato, del National Security Council e del Dipartimento della Difesa su temi legati al Medio Oriente.