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Fagiolini dal Burkina. Cargo, affari e delocalizzazione

di Antonio Onorati - 28/03/2007

Fonte: semionline

 

Una quindicina di anni fa, quando – parlando dell’impatto negativo dell’aggiustamento strutturale sulla sicurezza alimentare dei paesi saheliani – si voleva dare un esempio facile da capire raccontavamo quello che ci aveva raccontato uno dei contadini con cui, nel nord ovest del Burkina, appunto, collaboravamo per avviare una produzione locale di sementi : “ci sono alcuni grossi intermediari che fanno produrre fagiolini in inverno da spedire in aereo a Parigi, in sostituzione delle nostre produzioni tradizionali da vendere sul mercato interno”. E li tutti a dare del neocolonialista alla GDO francese.

Ma in Italia adesso facciamo le cose alla grande, in un’azione concertata tra Governo nazionale, governo regionale toscana, Unione Europea (almeno così dicono le fonti d’informazione) e ONG, si organizza un modernissimo e “equo e solidale” ponte aereo per portare i fagiolini da  Kongoussi – burkina  allo scaffale di CoopItalia in 36 ore e – cosa sicuramente più importante -  ad un prezzo di un euro più basso di quello della produzione italiana per ogni confezione da 750 grammi di fagiolini (dice sempre la CoopItalia), lieta delle facilità che gli sono state messe a disposizione, come un volo diretto Ouagadougou-Pisa e – immagino - una serie di rapide procedure di controllo. Niente di nuovo evidentemente. La GDO,  attraverso quelli che in gergo si chiamano “contract farming”, cioè contratti di coltivazione con cui,  oltre a importi il prezzo, ti si dice dove, come , quando e quanto produrre, compra i prodotti di controstagione nei PVS gia da decenni senza – evidentemente – che questo abbia aumentato la sicurezza alimentare degli agricoltori o tantomeno il reddito o “avviato le premesse per un vero e proprio sviluppo autoctono” come sostiene il presidente di CoopItalia.

Senza farla troppo lunga, rimandiamo alle valutazione già conosciute dell’impatto che le  produzioni per l’esportazione (fagiolini, fragole, cipolle, pomodori, fagioli, etc) hanno come   sostituzione di prodotti alimentari ed agricoli per il mercato locale ricordando giusto che nel Sahel dove piove poco, la fertilità è scarsa e le terre comunque limitate, questa sostituzioni aumentano in modo esponenziali i rischi di insicurezza alimentare. Un buon esempio di questo è il Kenya – uno dei più grandi paesi agricoli dell’Africa con ben altro potenziale produttivo che il Burkina -  che pur avendo moltiplicato per 2 le sue esportazioni agricole negli ultimi 10 anni, ha moltiplicato per 4 le sue importazioni alimentari e conosciuto in tempi recenti vere e proprie forme di carestia e penuria alimentare. Per i poveri evidentemente.

Allora la vera novità sta nel tentativo – davvero insopportabile – di attribuire a questa semplice operazione commerciale di CoopItalia, che qualunque imprenditore può compiere legittimamente,  un marchio come “TerraEqua” che echeggia giustizia sociale, solidarietà, equità e sostenibilità ecologica, trasformando questi valori in supporto pubblicitario a buon mercato (riduzione del costo dei servizi intermedi, si dice in gergo) e rendendo un pessimo servizio alla sovranità alimentare del Burkina Faso.