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Marco Aurelio: l'Imperatore filosofo

di Enea Baldi - 28/03/2007



“La durata della vita umana non è che un punto e la sostanza è un flusso, e nebulose ne sono le percezioni, e la composizione del corpo è corruttibile, e l’anima è un turbine, e la fortuna imperscrutabile, e la fama cosa insensata... E dunque, cosa c'è che possa guidare un uomo? Una cosa e solo una, la filosofia”.

Un breve cenno storico
La fase espansionistica dell’imperialismo di Roma, con la morte di Traiano nel 117 d.c. entra in una fase di declino. Adriano infatti - il successore di Traiano - stravolge in qualche modo i meccanismi della politica espansionistica dell’Urbe. Resosi conto che l’Impero sta assumendo proporzioni enormi e responsabilità politiche onerose, si fa emblema di una politica difensiva e fa costruire il famoso “Vallum Hadriani”, un muro che taglia in due la Britannia. Fu uomo intelligente e curioso, animato da molti interessi culturali; nei suoi 21 anni di regno riuscì a visitare tutte le province dell’Impero. Nel 138 gli succederà Antonino, detto "il Pio", per la politica morigerata con la quale governò il suo regno, durato 23 anni: Roma sotto il suo regno non parteciperà a nessuna guerra. A differenza del suo predecessore, Antonino Pio non si allontanerà quasi mai dall’Urbe, sarà un uomo virtuoso, che morirà senza troppi clamori - così come era vissuto - nel 161 d.c. Alcuni anni prima della sua morte, Antonino aveva scelto come co-reggente Marco Annio Catilio Severo che passerà alla storia col nome di Marco Aurelio.

Marco Aurelio nasce a Roma nel 121 d. C., da una famiglia di origine spagnola, gli Aureli, che si erano guadagnati il soprannome di “Veri” per la loro onestà, rimane orfano in tenera età e viene affidato allo zio Antonino Pio, che lo adotta come figlio (nel 145 Marco sposerà la figlia di Antonino, Faustina). Per erudirlo, Antonino Pio, gli affianca ben 17 precettori. Marco si appassiona alla filosofia stoica a tal punto, che le sue astinenze dai cibi e dal sesso e le privazioni a cui sottopone il suo corpo, gli provocheranno diversi danni fisici. Apollonio (il grande maestro chiamato da Bisanzio per formarlo alla filosofia) gli insegnò i principi dello stoicismo: lo spirito indipendente, l’impassibilità. Con Tiberio Claudio Massimo - uomo politico e filosofo - imparò le virtù fondamentali dello stoico: il senso del dovere e il coraggio, la capacità di risolvere le incombenze a qualsiasi costo, l’assenza di turbamenti, l’autocontrollo e soprattutto la clemenza. Non sempre il giovane Marco riuscirà a dominare l’istinto e a vivere lo stoicismo con pieno slancio, né a raggiungere l’adiaforia (l’indifferenza verso le cose reali, l’accettazione razionale degli avvenimenti universali). Marco Aurelio, durante le campagne militari sul fronte germanico, scriverà un’opera in greco intitolata A se stesso; si tratta di brevi pensieri, in cui ne esce il ritratto di un uomo tormentato, che non riesce a vivere pienamente con stoicismo l’esperienza dell’esistenza, a causa delle proprie debolezze umane; e anche a causa di una salute, non proprio di ferro. Scriverà in alcuni passi della sua opera: “Io sono nato per governarli, come il toro la mandria, l’ariete il gregge. E’ la natura che regge l’universo e, se questo è vero, gli esseri inferiori sono nati per i superiori e viceversa” (A se stesso XI, 18). E ancora: "Se l’intelligenza è comune agli uomini, pure la ragione, che ci rende ragionevoli, è a tutti comune. Se questo risponde a verità è comune anche la ragione che ordina ciò che si deve e non si deve fare. Esiste perciò una legge comune, perciò siamo tutti cittadini e perciò partecipiamo tutti a una specie di governo, quindi il mondo è simile a una città...” (A se stesso IV, 4).
L’arroganza umana nasce, a suo avviso, dalla presunzione di essere immortali: il risultato è un radicale ridimensionamento di sé e del mondo circostante. Per l’imperatore, l’altro non è più una sorgente potenziale di minacce di asservimento, viceversa, è l’altro che dipende dall’imperatore e pertanto è da sopportare, non da combattere. Non di rado Marco Aurelio lascia affiorare il senso di solitudine che avverte nella sua corte: egli dice a proposito che "nessuno è così favorito da non avere accanto a sé, al momento della morte, qualcuno che gioisca del triste evento”. Egli sa di poter trovare nella corte non amicizia, ma soltanto dissimulazione e di fronte a questa triste constatazione, può evitare di isolarsi completamente grazie alla insegnamento stoico, secondo cui ciascuno è parte di quella totalità organica che è l’universo: nell’ordinamento cosmico ognuno ha un posto assegnato, con doveri specifici.
Marco fu filosofo, ma fu anche soldato tra i soldati, con i quali condivise disagi e fatiche nei lunghi anni di guerra contro le truppe germaniche.
Quando salì al trono, aveva 40 anni e per la prima volta nella storia imperiale, associò un alter ego, Lucio Vero, figlio adottivo di Antonino Pio, alla guida del popolo romano. Forse lo fece considerando che il suo corpo fragile, non gli avrebbe consentito di combattere su più fronti, oppure che il desiderio di dedicarsi alla filosofia, lo avrebbe distolto dal governare Roma. Fatto sta che trovò nel giovane Lucio, ciò che mancava a lui, la robustezza fisica e le qualità necessarie per le campagne di guerra. Roma e l’impero ebbero per la prima volta, e per la durata di circa otto anni, due augusti di uguali diritti. La successione imperiale congiunta, secondo alcuni storici, fu motivata da esigenze militari.
Marco Aurelio, durante il suo regno, combatté valorosamente e quasi esclusivamente nel settore nord europeo i Galli e i Germani. Lucio Vero invece, avrebbe dovuto controllare il settore orientale dei temuti Parti dell’Asia e ristabilire così il controllo dell’Oriente, ma preferì trascorrere le sue giornate in giochi e cacce, prima ad Antiochia e poi a Dafne.
Marco tollerò le leggerezze del fratello e incaricò il generale Stazio Prisco, di conquistare la città di Artassata, occupare l’Armenia e trasformarla in protettorato di Roma.
Oltre a combattere e a scrivere, Marco ebbe il tempo di restaurare il Senato Romano: ne consentì l’ingresso a persone con poche disponibilità finanziarie e lo impedì a quelle di dubbia provenienza. Aumentò i giorni dedicati all’amministrazione della giustizia; abolì la legge pletoria dando a chiunque la possibilità di assumere un procuratore nei processi; punì severamente quelli che facevano i calunniatori di professione, con l’unico scopo di ottenere la quarta parte dei beni delle vittime delle loro denunce.
Limitò gli spettacoli gladiatori e diminuì gli stipendi degli istrioni; restaurò le strade dell’Urbe e le provinciali.
L’Impero di Marco e Lucio però, non era iniziato sotto benevoli auspici - un’inondazione del Tevere provocò una gravissima carestia - e nel 167 (la data è controversa), terminata da poco la campagna contro i Parti, scoppia una nuova rivolta, questa volta dei Marcomanni, in Germania. Sarà la prima di tre campagne condotte contro le popolazioni sveve. L’ennesima ribellione dei Marcomanni, vede l’Imperatore in prima fila per trasformare la Marcomannia e la Sarmazia in province romane, ma la ribellione di Avidio Cassio in oriente - complice l’Imperatrice Faustina, istigatrice della ribellione, convinta che a Marco Aurelio fosse rimasto poco da vivere - fece fallire l’impresa.
Nel 180, nell’ultima battaglia, Marco Aurelio morirà - probabilmente di peste - consapevole di essere l’ultimo dei grandi Cesari, al culmine di un declino già annunciato dai grandi imperatori del passato (Augusto, Traiano, Adriano) che ormai sono solo fantasmi, inghiottiti dai secoli.