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Bush schiera la flotta nel Golfo persico. Attacco imminente?

di Maurizio Molinari - 28/03/2007

 
Il decollo di un jet dal ponte di una portaerei americana
 
Voci di uno scontro navale e il greggio vola a 69 dollari
Il Pentagono teme che Teheran possa bloccare a sorpresa le rotte del greggio e per scongiurare tale pericolo schiera nel Golfo Persico la task force aeronavale più imponente dai tempi dell’invasione dell’Iraq. Due portaerei, più di una dozzina di navi di appoggio, cento aerei e diecimila marinai disegnano i contorni della maggiore concentrazione di forze Usa oltre Hormuz dal marzo 2003. La grande armata della Us Navy ha iniziato manovre militari tese ad ammonire l’Iran di Ahmadinejad che con un blitz a sorpresa ha catturato quindici marinai britannici nello Shatt El Arab. L’intelligence Usa teme che Teheran possa tentare nuove azioni provocatorie, puntando a far impennare il prezzo del greggio come ritorsione contro le sanzioni votate dall’Onu.


Sebbene l’ammiraglio americano Kevin Aandahl neghi un collegamento diretto fra gli inglesi detenuti a Teheran e l’imponente schieramento di forze il messaggio è difficile da equivocare: i caccia F/A 18, gli aerei-spia EA-6B Prowler ed i velivoli anti-sommergibili S-3 Viking decollano dai ponti delle portaerei Uss Dwight Eisenhower ed Uss John Stennis per condurre operazioni di monitoraggio fino ai limiti dello spazio aereo iraniano. E lo stesso avviene nelle acque del Golfo, dove l’Us Navy si spinge fino a 12 miglia dalla costa iraniana per condurre manovre che simulano interventi in risposta ad attacchi contro le imbarcazioni: dalla difesa di petroliere allo sminamento delle rotte fino alla protezione da attacchi kamikaze con barchini simili a quelli usati da Al Qaeda per colpire la Uss Cole nelle acque dello Yemen nell’ottobre 2000. Fra gli scenari presi in considerazione vi è anche la caccia a sommergibili in quanto Teheran ne possiede diversi dotati di motore diesel e quindi più difficili da identificare. Il Pentagono ritiene che Teheran possa bloccare le rotte petrolifere con una mossa improvvisa - proprio come la cattura dei soldati britannici - e l’inizio giovedì scorso di manovre navali iraniane con l’impiego di sottomarini e piccole navi lanciamissili non ha fatto altro che aumentare tale preoccupazione. «Da qualche mese stiamo osservando gli iraniani e temiamo possano destabilizzare la regione per intimidire i Paesi che vi si trovano» ha spiegato il portavoce Usa Dan Cloyd, puntualizzando che proprio il rischio di colpi di mano rende impossibile prevedere quando la Uss Stennis andrà via: «Le manovre dureranno qualche giorno ma la portaerei resta a tempo indeterminato». Mentre dall’Oceano Pacifico se se sta avvicinando una terza: la Uss Reagan. «Siamo qui per garantire sicurezza e stabilità della regione - ha sottolineato l’ammiraglio Aandahl - se c’è qualcuno che vuole destabilizzare è l’Iran». Proprio ieri l’ammiraglio William Fallon ha assunto la guida del Comando centrale delle truppe Usa, responsabile del Medio Oriente. «Non abbiamo intenzione di fare guerra all’Iran - ha spiegato nella prima dichiarazione - ma l’Iran finora ha nociuto alla pace ed è causa di instabilità e preoccupazione». Lo stesso Fallon sta per iniziare una missione nelle capitali del Golfo per affrontare due argomenti che ha riassunto così: «Stabilizzare l’Iraq ed impedire all’Iran di nuocere».


Durante le manovre la Us Navy ha a disposizione le basi nel Bahrein, dove ha sede il quartier generale della Quinta Flotta, e del Qatar, che ospita un comando avanzato delle forze Usa, e ciò ripropone lo schema operativo che accompagnò l’inizio di «Iraqi Freedom». In coincidenza con le esercitazioni americane si è avvicinata allo Stretto di Hormuz anche la squadra navale della portaerei francese De Gaulle, la cui presenza accresce il profilo politico di Parigi nel braccio di ferro con l’Iran.
Parigi condivide con Washington e Londra la volontà di sventare eventuali colpi di mano iraniani sulle rotte del greggio che, secondo uno studio della Heritage Foundation, potrebbero portare il prezzo del barile fino a quota 120 dollari. E ieri il prezzo del petrolio ha subito un balzo dopo le notizie, smentite dalla Casa Bianca, di uno scontro tra navi della marina statunitense e quelle iraniane nel Golfo Persico. Il prezzo del greggio è aumentato di cinque dollari attestandosi a quota 68,91 dollari.