In un libro le opzioni per non soccombere all'iperconsumismo (recensione)
di Renato Berio - 29/03/2007
Fonte: Il secolo d'Italia
Dobbiamo rassegnarci tutti
alla filosofia di vita imposta
dagli ipermercati, i nonluoghi
di cui parla Marc Augé sottolineandone
la mancanza di vita culturale
e sociale? Esistono concrete
alternative di consumo? La piccola
produzione locale è destinata a
scomparire? A questi interrogativi
tenta di dare una risposta il libro
Schiavi del supermercato. La grande
distribuzione organizzata in Italia e
D
le alternative concrete
(Arianna editrice),scritto da Monica Di Bari e
Saverio Pipitone, in cui viene analizzata
l’organizzazione della megadistribuzione
alimentare, dei marchi
italiani e stranieri, della ristorazione
veloce, fino ad analizzare l’alternativa
dei gruppi d’acquisto solidali.
In Italia, attualmente, la distribuzione
alimentare è gestita per il 55%
da 5 grandi protagonisti: il primo
posto è occupato da Coop (17%), cui
seguono Carrefour (11%), Conad
(10%), Rinascente-Auchan (9%) e
infine Esselunga (6%). Colossi contro
i quali non sembra esserci altra
alternativa se non quella di diventare
tutti, allegramente, iperconsumatori,
catturati dalle attrazioni
messe a disposizione dal centro
commerciale: cinema, fast food,
offerte speciali, prove d’assaggio,
mirabolanti ultime novità tecnologiche
fino alle raffinate seduzioni
pseudoinfantili dei “villaggi” Ikea.
Pure, non vanno sottovalutati i
comportamenti alternativi che il
volume analizza: dai gruppi di
acquisto solidale ai mercatini di
strada, dalla ristorazione tradizionale
alle pratiche di commercio
equo, fino al recupero di valori
come sobrietà, condivisione e convivialità.
Si tratta di tendenze che
discendono dagli appelli alla “decrescita”
fatti da teorici e pensatori
come Serge Latouche o Alain de
Benoist. Appelli che non vanno confusi
con un utopistico ritorno al passato
ma con una consapevole presa
d’atto dell’illusorietà degli infiniti
bisogni della società dei consumi.
«Oreganizzare la decrescita – scrive
Serge Latouche – significa rinunciare
all’immaginario economico, cioè
alla credenza che “di più” significhi
“meglio”. La riscoperta della vera
ricchezza nella pienezza delle relazioni
sociali in un mondo sano può
realizzarsi con serenità nella frugalità,
nella sobrietà e addirittura in
una certa austerità dei consumi
materiali». L’Italia, infine, è la terra
che – con le sue tradizioni gastronomiche
– appare sicuramente più
attrezzata per sferrare la sfida del
gusto ai tecno-cibi dei supermercati.
E a volte ci riesce. Era il 2002 quando
Luca Di Gesù aprì un piccolo forno
proprio a fianco di un Mc
Donald’s appena inaugurato a Altamura.
Il fast food proponeva il big
mac e Luca produceva le tradizionali
pizze e focacce che hanno reso
famoso il pane d’Altamura. I ragazzi
del paese preferirono i panini locali
e, in pochi mesi, il Mc Donald’s fu
costretto a chiudere. La notizia fece
il giro del mondo, ed è divenuta il
simbolo della rivincita del tipico
contro la tirannia del gusto unico.
Il Secolo d'Italia 18/3/2007