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La foglia di fico egiziana

di Alessia de Luca Tupputi - 29/03/2007

Approvato il referendum costituzionale, una riforma per stringere le redini del potere
 
 

E’ passato con il 75,9 per cento dei voti a favore il referendum sulla riforma costituzionale, approvata dal Parlamento egiziano appena una settimana fa. Lo ha annunciato stamattina, dati alla mano, il ministro della Giustizia Mamdouh Marei, in diretta tv nazionale. Seggi vuoti e presunti brogli, tuttavia, denunciati dalle organizzazioni per i diritti umani, hanno caratterizzato il giorno del voto, anticipato dalle manifestazioni dei partiti di opposizione che avevano invitato al boicottaggio.

Donna dopo il voto. Foto di Alessia de Luca Tupputi Sugli emendamenti, che contemplano 34 articoli, il Partito Nazionale Democratico (Pnd) di maggioranza non ha lasciato spazio a modifiche, costringendo l’Assemblea ad una seduta-fiume conclusasi lunedì scorso con l’approvazione del pacchetto, e abbreviando i tempi del referendum, previsto in un primo momento il 4 aprile e anticipato con un editto presidenziale al 26 marzo. Riguardo l’affluenza al voto i dati sono contrastanti. Nove milioni e mezzo, il 27 per cento degli aventi diritto, è la cifra fornita dal ministero di Giustizia egiziano, contestata dalle Organizzazioni non governative che parlano di uno scarso 5 per cento dei partecipanti e denunciano brogli nelle votazioni e nei conteggi.

Foto di Alessia de Luca Tupputi Ma le contestazioni dell’opposizione e della società civile non hanno atteso il risultato delle urne. Le tensioni erano già state alimentate dai contenuti della riforma, definita dall’opposizione “un colpo di Stato” e uno schiaffo al processo di democratizzazione auspicato dal presidente Hosni Mubarak nel corso della campagna elettorale del settembre 2005. La frustrazione dei contestatori, e in primo luogo della confraternita bandita dei Fratelli Musulmani, considerata il vero bersaglio della manovra, si concentra in particolare su alcuni articoli, come il 62, ad esempio, modificato in modo da garantire la rappresentanza dei partiti politici e delle donne nel Parlamento. L’allusione ai partiti politici – lamenta la fratellanza, che conta 88 deputati formalmente indipendenti – limiterebbe le possibilità dei candidati indipendenti, che si vedrebbero costretti ad allearsi a dei partiti per potersi presentare alle elezioni.

Sostenitore di Kifaya. Foto di Alessia de Luca Tupputi E’ nella stessa direzione, inoltre, che sembra inserirsi l’emendamento all’articolo 5 della costituzione, che vieta la formazione di partiti su base confessionale. Ma ad inquietare tutti, dai gruppi islamisti ai partiti dell’opposizione laica e di sinistra, sono soprattutto gli articoli 88 e 179 relativi alla supervisione sulle elezioni, alla lotta al terrorismo e alla durata del mandato presidenziale. L’emendamento all’articolo 88 affida la supervisione elettorale ad un alto comitato indipendente, annullando il sistema di controllo da parte della magistratura, fino ad oggi garante della correttezza delle operazioni di voto, ed è stato bollato dai partiti dell’opposizione come un “mezzo per garantire al Pnd il controllo totale sulle urne”.

Foto di Alessia de Luca Tupputi Mentre attraverso l’emendamento all’articolo 179, i più temono che si legalizzi la violazione alle libertà individuali, sottoforma di lotta al terrorismo. L’articolo infatti dà al presidente della Repubblica il potere di deferire i cittadini accusati di “atti criminali o terroristici” alle corti marziali, oltre a prevedere, per legge, la violazione delle libertà personali e della sfera privata. Alle durissime critiche sollevate da Amesty International, che ha definito la riforma, “la più grande erosione dei diritti umani in 26 anni”, si sono affiancate le manifestazioni di piazza tenutesi nei giorni che hanno preceduto il voto, e disperse con la forza da centinaia di poliziotti in assetto antisommossa.
 
Il bilancio, secondo gli organizzatori, è stato di decine di dimostranti arrestati. Quanto basta per scoraggiare grandi mobilitazioni nel giorno delle votazioni, che si sono svolte senza impedimenti. A lanciare un ultimo guanto di sfida al governo, però, ci hanno pensato i giudici, che a poche ore dall’annuncio dei risultati hanno dichiarato ufficialmente di “lavarsene le mani dei risultati del referendum”, aggiungendo che si rifiutano di essere “la foglia di fico per coprire atti vergognosi”.