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Genocidi degni d'attenzione

di Edward S. Herman - 29/03/2007

Fonte: znet



Può sembrare strano parlare di un sistema basato sulla considerazione che
alcuni genocidi siano più degni d'attenzione di altri, un sistema di cui fanno
parte persone come Richard Holbrooke e Samantha Power. Ma viviamo nell'epoca di
Kafka, un'epoca in cui dei responsabili di genocidio e i loro soci e alleati
possono indignarsi e perfino vincere il Pulitzer per aver denunciato alcuni
genocidi e aver parlato di "problemi infernali" mentre favorivano, ignoravano e
giustificavano altri stermini. [1] I genocidi degni d'attenzione sono quegli
omicidi di massa compiuti dai cattivi, in particolare nemici e bersagli degli
Stati Uniti, e ricevono grande attenzione e suscitano molta emozione. Quelli
non degni d'attenzione sono quelli compiuti dagli Stati Uniti o dai loro stati
clienti, e ricevono scarsa attenzione o indignazione e non sono etichettati
come genocidi, anche ove le proporzioni delle uccisioni superino di gran lunga
quelle così designate, ovviamente per considerazioni di utilità politica. Visto
che gli Stati Uniti sono una superpotenza aggressiva che "proietta potere" e
contrasta i movimenti popolari e rivoluzionari su scala globale dai tempi della
seconda guerra mondiale, è corretto dire che negli ultimi cinquant'anni i
genocidi non degni d'attenzione compiuti o appoggiati dagli Stati Uniti sono
stati predominanti, e che dunque gli Stati Uniti hanno causato più "problemi
infernali" di qualsiasi altro stato.

Ne consegue che un uomo come Richard Holbrooke, che ha fatto parte del sistema
di politica estera statunitense per più di quarant'anni, ha con tutta
probabilità partecipato ai genocidi che sono stati compiuti in quel periodo.
Dunque, mentre Holbrooke tiene i suoi discorsi e viene applaudito dal Carr
Center for Human Rights Policy di Harvard e da Human Rights Watch, [2] dovremmo
ricordare che ha lavorato per il governo americano durante la guerra del
Vietnam, dal 1962 fino a tutto il 1969; è stato sottosegretario di Stato con
delega per gli Affari dell'Asia Orientale e del Pacifico incaricato delle
relazioni con l'Indonesia durante l'amministrazione Carter e durante la fase
peggiore dell'occupazione indonesiana di Timor Est nel 1977-1978. È Stato anche
funzionario dell'amministrazione Clinton e infine Ambasciatore degli Stati
Uniti alle Nazioni Unite negli anni in cui gli Stati Uniti imponevano
le "sanzioni di distruzione di massa" all'Iraq.

Se misuriamo il "genocidio" in base al numero di persone deliberatamente e
intenzionalmente uccise e la minaccia che queste azioni pongono alla
sopravvivenza della popolazione che ne è vittima, tutti e tre gli episodi in
cui Holbrooke è stato coinvolto rientrano in questa categoria. Nel caso del
Vietnam, come ha rilevato Noam Chomsky, visto che il governo americano non era
interessato alle vittime vietnamite, il numero reale di morti è incerto e
nell'ordine di grandezza di milioni, ma delle stime serie calcolano che vi
siano stati tre milioni o più di morti, milioni di feriti o traumatizzati, una
terra devastata dalle bombe e dagli agenti chimici; dati del 1997 parlavano di
circa 500.000 bambini mentalmente o fisicamente deformi come risultato di una
spietata guerra chimica. [3] L'invasione-occupazione indonesiana provocò la
morte di 200.000 abitanti di Timor Est su una popolazione di circa 800.000
persone: un quarto del totale. Le sanzioni di distruzione di massa imposte
all'Iraq dalle Nazioni Unite su pressione degli Stati Uniti hanno probabilmente
causato la morte di un milione o più di persone, solo il 6% del totale ma un
numero comunque grandissimo, dieci volte i morti i Bosnia nel periodo 1992-
1995. Una delle due frasi più celebri sulle sanzioni all'Iraq fu pronunciata
dal superiore di Holbrooke, Madeleine Albright, che nel 1996 disse a Leslie
Stahl della CBS che il prezzo delle sanzioni, 500.000 bambini morti, era "valso
la pena"; l'altra frase, di John e Karl Mueller, su Foreign Affairs di giugno
1999, era che le sanzioni di distruzione di massa "potrebbero aver ucciso più
persone in Iraq di quante ne siano state massacrate dalle cosiddette armi di
distruzione di massa in tutta storia umana".

Durante la Guerra del Vietnam Holbrooke non ricopriva un ruolo di spicco, ma
sulla base dei principi stilati dal Tribunale Criminale Internazionale per l'Ex
Jugoslavia (ICTY), secondo i quali i coloro che hanno partecipato a una "joint
criminal enterprise" (JCE, "impresa criminale") saranno giudicati colpevoli se
hanno perseguito un fine politico-militare in comune con altri criminali, [4]
Holbrooke rientrerebbe facilmente in questa categoria. Il ruolo come
corresponsabile di genocidio è molto più chiaro nel caso di Timor Est, dove fu
il più alto funzionario del Dipartimento di Stato ad avere a che fare con
l'Indonesia e con l'occupazione di Timor Est: incontrò Suharto e altri leader
indonesiani mentre nei campi si accatastavano i cadaveri e contribuì a
implementare una politica che favorì il genocidio. Durante il suo incarico il
terrore e gli omicidi giunsero al culmine, negli ani 1977 e 1978, e in quel
periodo gli Stati Uniti continuarono ad appoggiare l'Indonesia e non mossero un
dito per smorzare le violenze. Testimoniando davanti al Congresso, il 4
dicembre 1979, Holbrooke mentì a proposito dell'origine della guerra e della
responsabilità indonesiana in quelle morti, dicendo al Congresso che
il "benessere dei timoresi è l'obiettivo principale della nostra politica nei
confronti di Timor Est" - una palese falsità - e ritrasse lo stato responsabile
del genocidio in una luce estremamente favorevole. [5] Il Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite condannò l'invasione e l'occupazione di Giakarta,
ma la squadra Carter-Holbrooke fornì a Giakarta aerei che furono impiegati
dall'esercito indonesiano per lanciare bombe e napalm sugli est-timoresi,
nonché protezione diplomatica e pronte giustificazioni per un programma di
pacificazione post-genocidio. Non furono adottate risoluzioni del Consiglio di
Sicurezza dell'ONU riguardo Timor Est prima del 22 aprile 1976, durante il
periodo rimanente dell'amministrazione Carter, nonostante l'escalation nelle
uccisioni negli anni seguenti al 1976. Un rapporto del parlamento australiano
ha in seguito descritto quel periodo come caratterizzato da "indiscriminate
uccisioni su una scala che non ha precedenti nella storia successiva alla
Seconda Guerra Mondiale". [6]

Il ruolo di Holbrooke nella fondazione e nella gestione dei successivi genocidi
organizzati e supportati dagli Stati Uniti attraverso le sanzioni di
distruzione di massa contro l'Iraq è meno chiaro che nel caso di Timor Est, ma
è stato un alto ufficiale nell'amministrazione Clinton dal 1993 in poi, e nel
periodo 1999-2001 è stato l'ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite.
Almeno questo basterebbe a qualificarlo come partecipante a un'impresa
criminale che stava compiendo un genocidio in Iraq.

Ovviamente è rivelatore che Richard Holbrooke sia un beniamino del Carr Center,
così come di Human Rights Watch. Ma le credenziali appena esposte e il fatto
che Holbrooke sia un ex ufficiale con aspirazioni politiche indica che potrebbe
essere un bugiardo, cioè una persona dalla quale un'organizzazione per i
diritti umani dovrebbe prendere le dovute distanze per mantenere la propria
indipendenza ed integrità. Ma negli Stati Uniti l'ipocrisia è tale che simili
principi non sono riconosciuti ufficialmente. Negli anni '80 quando il preteso
(ma falso) collegamento del KGB bulgaro con l'attentato a Papa Giovanni Paolo
II era una questione all'ordine del giorno, Paul Henze, un veterano della Cia
con 30 anni di servizio ed ex capo della sezione turca del servizio, fu uno dei
maggiori "esperti" convocati dai media, che non sollevarono mai dubbi riguardo
la possibile inaffidabilità di Henze e le sue credenziali compromesse come
fonte. Siamo così buoni e corretti che i nostri alti ufficiali e i nostri
agenti segreti possono essere considerati fonti del tutto affidabili, almeno
per i media ufficiali e l'HRW.

Ma in realtà, il trattamento di riguardo riservato a Holbrooke suggerisce che
il Carr Center e HRW sono membri dell'establishment e al massimo diranno solo
verità parziali. Come il suo nome suggerisce, il Centro Carr per le Politiche
dei Diritti Umani è politicamente orientato. Ma certamente non è orientato
verso politiche di assistenza a gruppi e paesi sotto attacco da parte degli
Stati Uniti. Un indizio di ciò è il fatto che l'attuale direttore esecutivo,
Sarah Sewall, è stata consulente del Pentagono ed è specializzata in counter-
insurgency warfare (si veda per esempio il suo "Modernizing U.S.
Counterinsurgency Practice" [Modernizzare le pratiche statunitensi anti-
insorgenza], Military Review, Sett/Ott. 2006). In quanto consulente del
Pentagono, e per altri collegamenti del Carr Center con l'establishment
governativo e militare, non ci sono dubbi che Sewall e i suoi associati non
abbiano una visione obiettiva delle violazioni dei diritti umani compiute dagli
statunitensi tanto da criticarle in termini inequivocabili. Hanno come premessa
il diritto degli Stati Uniti ad intervenire per il mondo, e hanno la sola
funzione di rendere queste azioni in linea coi principi umanitari! (Il Carr
Center descrive così uno dei punti fondamentali del suo programma: "In
definitiva, il progetto ambisce ad influenzare la maniera in cui le nazioni
intervengono militarmente, rendendo l'uso del potere militare più coerente con
i principi umanitari"). Dati i suoi collegamenti, il Carr Center soprassiede
sulle violazioni statunitensi dello statuto delle Nazioni Unite e dei diritti
umani. Richard Holbrooke non potrebbe essere ospite onorario, Samantha Power
non potrebbe tenere un seminario con lui al Carr Center, e il Carr non potrebbe
attirare relatori come il generale del comando centrale Abizaid se avesse
relazioni meno che amichevoli con il governo.

In realtà il Carr Center ha con il governo relazioni molto simili a quelle di
vari istituti che hanno studiato il "terrorismo". In uno studio sull'"industria
del terrorismo" a cui ho collaborato alcuni anni fa, alcuni dei dati più chiari
erano che le definizioni di terrorismo e di obiettivi politici di
quell'industria coincidevano con quelle del governo, e che i suoi membri
servivano lo stato e i movimenti privati che avevano bisogno di essere protetti
dai terroristi al dettaglio - che spesso erano messi sotto assedio da parte di
stati terroristi (all'ingrosso). [7] Era chiaro che i contadini guatemaltechi
uccisi dallo stato o i membri del Congresso Nazionale Africano o gli angolani
sotto attacco da parte del governo sudafricano che allora praticava l'apartheid
non avrebbero mai goduto della consulenza dei membri di queste industrie. Ne
usufruivano invece i governi che li attaccavano, e quei governi erano sostenuti
anche dal governo statunitense. I contadini sotto attacco erano i "terroristi"
e i governi responsabili di operazioni di terrore di stato erano, nel lessico
dell'establishment occidentale, impegnati in operazioni "antiterrorismo". [8]
Il sudafricano "Centro di Ricerca sul Terrorismo" aveva relazioni collegiali
con gruppi di ricerca statunitensi e britannici e con la Cia, il Mossad e l'M-
16, e questi ultimi tre erano anche rigidamente allineati. Il Pentagono
definiva il Congresso Nazionale Africano come uno dei "più noti gruppi
terroristici", e analisti come Carl Sterling, Paul Wilkinson, Robert Kupperman,
Brian Crozier e Walter Laqueur lavoravano tutti insieme allo stesso sistema di
definizioni e per gli stessi obiettivi. Sewall, Power, Holbrooke e il generale
Abizaid usano anch'essi definizioni simili e lavorano per gli stessi obiettivi.

Un test per valutare l'integrità di un gruppo per i diritti umani è il modo in
cui tratta le aggressioni compiute dal proprio governo. Dato che nell'ultimo
decennio il governo statunitense ha lanciato attacchi di grandi proporzioni
contro tre paesi in violazione dello statuto dell'Onu - "crimine supremo
internazionale" secondo il tribunale di Norimberga - il Carr Center e i suoi
capi, come ICTY e Human Rights Watch, hanno fallito il test limitandosi a
ignorare la questione. Similmente, col loro governo apertamente coinvolto
nell'uso sistematico della tortura in molti luoghi del mondo, e con l'uso
delle "consegne straordinarie" come mezzi supplementari di tortura, anche
questa imbarazzante circostanza è stata acconta praticamente in silenzio. L'ex
direttore del Carr Michael Ignatieff ha notoriamente supportato tutti e tre
questi crimini supremi, il primo con grande entusiasmo, ed è stato comprensivo
in merito all'uso della tortura per far fronte alla minaccia terrorista. [9]

Scrivendo a proposito dell'Iraq, come vedremo più approfonditamente in seguito,
il capo del Carr Center Sewall e Samantha Power non hanno mai menzionato il
fatto che gli Stati Uniti sono l'aggressore e che l'invasione e l'occupazione
dell'Iraq sono un "crimine supremo internazionale" in violazione dello statuto
delle Nazioni Unite. Come nel caso di Ignatieff, per Sewall e Power il loro
paese ha il diritto all'aggressione.

Un altro test chiave per verificare l'integrità istituzionale è vedere se i
leader di un'istituzione siano in grado di mantenere un certa imparzialità
sugli obiettivi ufficiali dell'organizzazione o se questi siano semplici
premesse di buone intenzioni. Ignatieff qui ha fatto storia, asserendo che gli
Stati Uniti erano in Iraq semplicemente per portare la democrazia e liberare il
popolo, senza fornire alcuna prova se non il fatto che lo avesse dichiarato
Bush. [10] Ha escluso obiettivi materialistici o politici concentrandosi
sull'atto di fede. Sarah Sewall ha anche semplicemente postulato, senza portare
alcuna prova, che l'aggressione all'Iraq era "il più grande esperimento
democratico" che "sembra incredibilmente umano" a confronto delle "centinaia di
migliaia di vittime in Vietnam e Corea", eccetera. [11] Come nel caso di
Ignatieff, Sewall non accenna mai a possibili obiettivi in malafede, non
suggerisce mai che Bush, Cheney, Rumsfeld e compagnia, costruendo enormi basi
in Iraq e con piani progettati molto in anticipo per la concessione del
petrolio iracheno a investitori privati abbiando potuto pianificare per il
futuro dell'Iraq un regime men che democratico.

Così come Power anche Sewell ha fallito il test dell'integrità nell'uso delle
cifre. Ci sono stati ben più che "centinaia di migliaia" di morti nelle guerre
statunitensi contro Vietnam e Corea, che si possono molto difficilmente
considerare tentativi di liberare i paesi da dittature - il regime del Vietnam
del Sud era una dittatura imposta dagli Stati Uniti che gareggiava con quella
di Saddam Hussein in quanto a ferocia. La sua pretesa che solo 30.000 morti
irachene rendano l'invasione-occupazione "incredibilmente umana" si basa in
parte sull'assunto che l'avventura irachena sia stata fatta veramente per
liberare gli iracheni, una premessa eccessivamente e insostenibilmente
apologetica; si basa anche sul presupposto che la rimozione di una dittatura
tramite l'uso della violenza, in violazione dello statuto dell'Onu, sia non
solo accettabile ma anche l'unica maniera che renda possibile conseguire simili
cambiamenti politici. Inoltre Sewall critica sia lo studio Lancet che ha
calcolato 100.000 morti iracheni al dicembre 2004, sia le stime di Iraq Body
Count, mettendo l'accento sulla presunta inaccuratezza metodologica di questi e
sulle conclusioni dell'IBC per cui gli Stati Uniti sarebbero direttamente
responsabili di meno del 40% delle morti; così "dopo tutto il numero potrebbe
non essere così alto". Per Sewall, "i numeri suggeriscono un carattere diverso"
[rispetto a quello degli americani come "cowboy dal grilletto facile"]. Sewall
non ha ancora commentato gli ultimi studi secondo i quali in Iraq sarebbero
morti tra 650.000 e un milione di civili, [12] ed evita accuratamente di
riconoscere un fatto evidente sotto molti aspetti, e cioè che i suoi capi hanno
condotto il paese verso una catastrofe, [13] ma non ho dubbi che anche di
fronte alle nuove cifre respingerà ogni dura critica verso il nobile tentativo
americano di portare la democrazia.

Il libro di Samantha Power, A Problem from Hell: America in the Age of Genocide
[Un problema infernale: l'America nell'epoca del genocidio, in italiano
tradotto col titolo Voci dall'inferno], è notevole per la sua estrema
attenzione ed enorme indignazione nei confronti degli omicidi compiuti dai
serbi in Bosnia e nel Kosovo, dove entrò in contatto con Holbrooke, che, come
la Power ci dice, "fu trasformato dall'osservazione diretta di una scena del
crimine", in Bosnia [14] - ma stranamente non a Timor Est, dove non a caso gli
assassini furono protetti dalle autorità statunitensi, incluso Holbrooke
stesso. Power ci dà la cifra di 200.000 morti in Bosnia tra il 1992 e il 1995,
e usa la parola "genocidio" per questi assassinii. Non fa distinzione tra i
bosniaci morti negli scontri tra i vari gruppi etnici e negli scontri tra
soldati e civili. La successiva scoperta da parte di due gruppi di ricerca
militari che le morti complessive su entrambi i fronti, civili e militari,
furono circa 100.000, solleva ulteriori domande sul suo reale interessamento
per quest'area. Sewall ovviamente può trovare che i 30.000 morti iracheni e i
300.000 morti statunitensi in circostanze analoghe siano un trionfo di umanità,
data la nobiltà dei fini di coloro che ne sono responsabili (nel caso
dell'Iraq, il suo governo); molti meno di 100.000 possono essere un "problema
infernale" per Power, date le sue (estremamente fallaci e parziali) analisi, in
base alle quali i cattivi sono coloro che vengono attaccati dal suo governo.

Riguardo alle cifre sul Kosovo, Samantha Power ci dice che:

Per quanto alto fosse il bilancio delle vittime [nel Kosovo nel 1999], sarebbe
stato molto più alto se la Nato non fosse intervenuta. Dopo anni passati ad
evitate un confronto, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno salvato forse
centinaia di migliaia di vite. Inoltre, benché i critici a priori o a
posteriori dell'intervento statunitense abbiano citato a lungo gli effetti
collaterali negativi che ne sarebbero derivati, la campagna NATO ha avuto
alcune ricadute inaspettate assai positive. Accusato dal Tribunale per i
Crimini di Guerra dell'Onu per le atrocità della Serbia durante
l'operazione "Ferro di Cavallo" e sconfitto sul campo, Slobodan Milosevič è
diventato ancora più vulnerabile nel suo paese. [15]

Questo paragrafo non contiene una sola frase onesta e non ingannevole. La
perdita di vite umane della guerra in Kosovo non era alta - sotto le 8000 morti
complessive - e Power dimentica di menzionare che durante la guerra gli
ufficiali Nato sostenevano che il bilancio dei morti tra gli albanesi kosovari
fosse di 500.000. La sua affermazione che sarebbe stato più alto se la Nato non
avesse agito non fondamento, dato che il numero di morti dell'anno precedente
la guerra era stato stimato a 2000, ed è stato dimostrato che l'operazione
Ferro di Cavallo era una frode dei servizi segreti, che Power prese per buona.
Pover dimentica anche di dire che George Robertson, segretario generale della
Nato, ha ammesso che l'UCK aveva fatto più morti in Kosovo durante l'anno
precedente ai bombardamenti di quanti ne avesse fatti l'esercito jugoslavo
(cioè, più di metà dei 2000 stimati); [16] non cita neppure il fatto che nel
periodo precedente la guerra la Cia stava addestrando e consigliando i membri
dell'UCK, dando loro ragione di credere che le provocando i serbi avrebbero
spinto la Nato all'attacco. Riguardo le conseguenze inaspettate, Power
dimentica di menzionare che mentre Clinton sosteneva che l'obiettivo della
guerra era di creare un "Kosovo multietnico e tollerante", ha avuto l'effetto
opposto: ha stimolato l'intolleranza, dato luogo alla "più grande pulizia
etnica [in proporzione] delle guerre balcaniche", e lasciato un Kosovo dominato
dal terrore e dalle mafie, che è ora la capitale europea del commercio di droga
e della prostituzione.

In breve, Samantha Power può identificarsi con Holbrooke perché entrambi
seguono la linea dei partiti statunitensi sui genocidi degni d'attenzione. Gli
Stati Uniti furono direttamente coinvolti nel grande genocidio del Vietnam, i
suoi leader parteciparono con l'Indonesia a un'"impresa criminale" a Timor Est
e furono responsabili delle sanzioni di distruzione di massa che uccisero
500.000 bambini, la cui morte fu giudicata Madalene Albright "una cosa di cui
valeva la pena", ma Samantha Power evade queste questioni. E così la guerra del
Vietnam, nella quale milioni di persone furono uccise direttamente dalle forze
statunitensi, non figura nel testo di Power. Il Guatemala, dove è stata
compiuto una strage di 100.000 indiani Maya tra il 1978 e il 1985, in quello
che Amnesty International definisce "un programma governativo di omicidio
politico", ma da parte di un governo installato e supportato dagli Stati Uniti,
non figura nel libro della Power. La Cambogia ovviamente è inclusa, ma solo per
la seconda parte del genocidio: la prima fase, dal 1969 e il 1975, durante la
quale gli statunitensi sganciarono circa 500.000 tonnellate di bombe sulla
Cambogia uccidendo un grande numero di persone, non viene menzionata. Riguardo
il genocidio dei Khmer Rossi, Power dice che hanno ucciso due milioni di
persone, cifra ampiamente citata dopo essere stata diffusa da Jean Lacouture;
quest'ultimo ammise poi di essersi inventato quella cifra, che cotinuò a essere
citata e serve anche agli scopi di Power.

In Indonesia nel 1965 è stato compiuto con l'incoraggiamento e l'appoggio degli
Stati Uniti un grande genocidio nel quale furono uccise circa 700.000 persone.
Questo genocidio non è menzionato da Power, e i nomi Indonesia e Suharto non
sono citati nel suo libro. Power dimentica anche di parlare della Papua
occidentale, dove quarant'anni di occupazione omicida indonesiana
costituirebbero secondo i criteri della Power un genocidio, se fosse stato
compiuto sotto differenti auspici. Power cita Timor Est, molto brevemente,
dicendo che "nel 1975, quando il suo alleato, l'anticomunista e ricca di
petrolio Indonesia, ha invaso Timor Est uccidendo tra i 100.000 e i 200.000
civili, gli Stati Uniti hanno distolto lo sguardo". [17] La sua trattazione
dell'argomento si limita a questo, anche se le uccisioni a Timor Est
conivolsero una percentuale maggiore della popolazione rispetto alla Cambogia,
e il numero degli uccisi fu maggiore del numero degli uccisi in Bosnia e
Kosovo, ai quali dedica più di un terzo del libro.

Power distorce anche il ruolo statunitense a Timor Est: gli Stati Uniti
non "distolsero lo sguardo" ma diedero la propria approvazione, protessero
l'aggressione da eventuali reazioni delle Nazioni Unite (nella sua
autobiografia, l'allora ambasciatore statunitense alle nazioni unite Daniel
Patrick Moyanihan siè vantato dell'efficacia nel proteggere l'Indonesia da
qualsiasi azione delle Nazioni Unite) [18] e incrementarono fortemente la
fornitura d'armi all'Indonesia, facilitando dunque il genocidio. E il suo amico
Richard Holbrooke era in prima linea nell'incoraggiare questo genocidio.

Power compie una simile rimozione rifiutandosi di riconoscere il ruolo
statunitense nel genocidio in Iraq. Cita accuratamente e ampiamente l'uso da
parte di Saddam Hussein di armi chimiche e l'uccisione di kurdi ad Halabja e
altrove, e discute dell'incapacità degli Stati Uniti di opporsi e agire contro
Saddam Hussein in questa occasione. Ma non fa parola del riavvicinamento
diplomatico con Saddam durante sua guerra contro l'Iran nel 1983, il supporto
logistico attivo fornito a Saddam durante la guerra, e l'approvazione
statunitense della vendita e trasferimento di armi chimiche e biologiche nel
periodo in cui le usava contro i kurdi. Power non menziona nemmeno gli sforzi
attivi intrapresi da Stati Uniti e Gran Bretagna per bloccare le azioni delle
Nazioni Unite che avrebbero potuto impedire le uccisioni di Saddam.

L'uccisione di oltre un milione di iracheni attraverso le "sanzioni di
distruzione di massa" non è menzionata da Samantha Power. Di nuovo, la
correlazione tra escusione, responsabilità statunitensi e l'idea che dal punto
di vista statunitense "valesse la pena" causare tante morti è chiara.
Considerazioni politiche molto simili fanno sì che la Power non parli del
genocidio a bassa intensità dei palestinesi da parte degli Israeliani e
dell'"alleanza distruttiva" tra il Sudafrica e gli stati confinanti negli anni
ottanta, che portò a un numero di vittime che superava di gran lunga quello
delle guerre balcaniche negli anni novanta. [19] Né Israele né il Sudafrica,
entrambi "alleati in modo costruttivo" con gli Stati Uniti, entrano nel libro
della Power.

Power è preoccupata per il genocidio che sta avvenendo in Iraq in questo
momento, e recentemente ha scritto un articolo su come fermarlo ("How to stop
genocide in Iraq", Los Angeles Times, 5 marzo 2007). Ma in nessun punto dice
che l'uccisione di massa che ha avuto luogo in Iraq risale all'invasione
statunitense ed è avvenuta in violazione del trattato delle Nazioni Unite; non
menziona in nessun punto il fatto che le uccisioni sono aumentate
parallelamente all'occupazione e alle politiche di occupazione; non menziona in
nessun punto Fallujah e altri casi di uccisioni di massa dei quali i suoi capi
sono responsabili; non accenna da nessuna parte alla possibilità che gli Stati
Uniti abbiano stimolato il conflitto etnico in quanto parte di una
strategia "Divide et Impera". Quando Bush sostiene di aver aumentato le truppe
nell'interesse della stabilità e per ridurre il conflitto, Power non contesta
mai questa affermazione o suggerisce spiegazioni alternative. Una persona
meglio informata sull'Iraq, l'esule Sami Ramadani, scrive che "è difficile non
presumere che ciò che [Bush] ritiene sia una strategia d'uscita consista
piuttosto nell'instaurarazione di un regime cliente a Baghdad, sostenuto dalle
basi statunitensi. Il popolo iracheno non lo accetterà, e l'occidente dovrebbe
sapere che gli obiettivi politici degli Stati Uniti porteranno solo a maggiori
conflitti regionali, piuttosto che ad un ritiro completo". [20] Samantha Power
non può formulare o ammettere una analisi così critica.

Quando Power parla di "atrocità" sono sempre le forze indigene a commetterle,
non gli occupanti statunitensi. È sempre stata molto zelante nel portare i
responsabili delle atrocità davanti alla giustizia, e anche a proposito
dell'Iraq dice che se gli Stati Uniti vogliono seriamente mettere fine agli
orrori settari devono "mandare un segnale chiaro alle milizie e ai leader
politici che compiono o ordinano atrocità, perché rispondano dei propri crimini
davanti alla giustizia". In un articolo del 2003 Power sostenne che benché
fossero sbagliati i fondamenti logici dell'invasione, questa era comunque
giustificata perché avrebbe assicurato che i cattivi finissero di fronte
alla "giustizia". ("How to try Saddam Hussein", New Republic, 29 dicembre
2003). Ma non si riferiva agli ufficiali statunitensi che erano stati complici
di Saddam Hussein quando commise i suoi peggiori crimini negli anni '80; e
neppure agli ufficiali statunitensi che hanno invaso l'Iraq compiendo
un "supremo crimine internazionale", che hanno distrutto Fallujah e sicuramente
ucciso più civili di quanti i suoi bersagli preferiti, i serbi, abbiano fatto
in Kosovo e Bosnia messe assieme. Ancora una volta il suo paese ha diritto di
aggressione, e Power ci dice che quello che sta avvenendo in Iraq accade "sotto
il nostro controllo". Milosevič in Kosovo stava operando all'interno del
proprio paese, ma "non aveva il controllo" - mentre il paese di Power "ha il
controllo" ovunque decida di invadere e uccidere.

Le conclusioni di Samantha Power sono che le politiche statunitensi verso i
genocidi sono state assai imperfette e abbiano bisogno di riorientamento, meno
opportunismo e maggior vigore. Per Power gli Stati Uniti sono la soluzione, non
il problema. Queste conclusioni e raccomandazioni politiche poggiano sulla sua
spettacolare distorsione nella selezione dei casi: sorvola su quelli che sono
ideologicamente scomodi, dove gli Stati Uniti hanno evidentemente commesso
genocidio (Vietnam, Cambogia, 1969-75, Iraq 1991-2003), o hanno dato supporto
ai processi genocidiari (Indonesia, Papua occidentale, Timor est, Guatemala,
Israele, Angola, Mozambico e Sudafrica). Guardando a questi casi, e
al "problema infernale" prodotto dagli Stati Uniti proprio in questo momento in
Iraq, si dovrebbe rapidamente concludere che gli Stati Uniti sono il problema,
non la soluzione, e che sono stati la causa di quell'inferno. Dunque la vera
sfida per il mondo è contenere gli Stati Uniti e porre fine alle sue azioni
genocidiarie e il supporto ad esse.

Quello che è stupefacente è che il libro della Power abbia potuto vincere un
Pulitzer e che una pensatrice di questo calibro e propagatrice di tali menzogne
sia diventata un icona tanto richiesta, benvenuta anche su The Nation e Le
Monde Diplomatique. Ma dobbiamo ricordare che anche Thomas Friedman e George
Will hanno vinto il Pulitzer; Claire Sterling e Paul Henze erano star
mediatiche come esperti di terrorismo; il fraudolento libro di Joan
Peters "From Time Immemorial" ha ricevuto plausi dai media ufficiali e Alan
Dershowitz, che ha letteralmente plagiato la frode di Peters nel suo "The Case
for Israel", è ancora trattato con rispetto; e Henry Kissinger, Bill Clinton e
Richard Holbrooke sono oratori riveriti, con Holbrooke agli onori sia del Carr
Center per le Politiche dei Diritti Umani sia di Human Rights Watch.



Note:

1. Samantha Power, A problem from Hell, America in the age of genocide. Questo
libro ha vinto il premio Pulitzer nel 2003 per la saggistica.

2. Sul trattamento di Holbrooke da parte di HRW, vedi Edward S. Herman, David
Peterson e George Szamuely, Human Rights Watch in service to the War Party,
including a review of "Weighing the evidence: lessons from the Slobodan
Milosevic trial" (Human Rights Watch, dicembre 2006), Znet, 25 febbraio 2007.

3. Peter Waldman, "Body count in Vietnam, the Agony of Births Defects Calls an
Old War to Mind", Wall Street Journal, 12 dicembre 1997.

4. L'"impresa criminale riunita" è descritta da John Laughland nel capitolo 6
di "Travesty, The Trial of Slobodan Milosevic and the Corruption of
International Justice" (Pluto, Londra 2007).

5. Vedi Noam Chomsky, Toward a New Cold War (Pantheon, 1982) pagine 350 e 471.

6. Vedi Joseph Nevins, "First the Butchery, Then the Flowers: Clinton and
Holbrooke in East Timor", Counterpunch, 16-31 maggio 2002 (come postato sul
sito dell'ETAN).

7. Vedi Edward S. Herman e Gerry O'Sullivan, The Terrorism Industry: The
Experts and Institutions That Shape Our View of Terror (Pantheon, New York
1989)

8. Anche il brutale governo salvadoregno ha ricevuto fondi dagli Stati Uniti
nel 1983 in virtù dell'"Anti-Terrorism Assistance Act". Vedi ibid, pagina xiii.

9. Per esempio, "seguire troppo alla lettera i principi della legalità non fa
che concedere ai terroristi un eccessivo margine di sicurezza per poter
sfruttare le nostre libertà. Abbandonare i principi della legalità è però un
tradimento dei nostri maggiori valori. Per combattere il male dovremo agire
come il male: detenzione indefinita dei sospetti, interrogazioni coercitive,
omicidi mirati, anche guerre preventive." Michael Ignatieff, "Lesser Evils",
The New York Times, 2 maggio 2004.

10. Vedi il suo articolo del 26 giugno 2005 sul New York Times Magazine ("Who
Are Americans to Think That Freedom Is Theirs to Spread?").

11. Sarah Sewall, "What's the Story Behind 30.000 Iraqi deaths?", Washington
Post, 18 dicembre 2005.

12. Quella di 655.000 morti è la più recente stima fornita dagli studi di
Lancet. Più recentemente, Gideon Polya ha fornito una stima maggiore in "Four
Years: One Million Iraqi Deaths", countercurrents.org, 22 marzo 2007.

13. Vedi per esempio Anthony Arnove, "Four Years Later. and Counting:
Billboarding the Iraqi Disaster", tomdispatch.com, 18 marzo 2007

14. A problem from Hell, pp. 514-15

15. Ibid, pag 472.

16. Citato in Laughland, Travesty, pag. 22.

17. A problem from Hell, pagg. 146-47

18. "Il Dipartimento di Stato voleva che le Nazioni Unite si dimostrassero
completamente inadeguate a quello che avrebbero dovuto affrontare [l'invasione
indonesiana di Timor Est]. Questo compito fu affidato a me, e l'ho portato
avanti con successo non trascurabile". Citato in Noam Chomsky, Towards a New
Cold War, (Pantheon, New York, 1982, pag. 339).

19. P. Johnson e D. Martin, Destructive Engagement: South Africa at War
(Zimbabwe Publishing House, Harare, 1986)

20. Sami Ramadami, "In Iraq, public anger is at last translating into unity",
The Guardian, 20 marzo 2007.


Fonte: Znet

Traduzione a cura di Andrej Andreevič