Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Torture, in Iraq si può: Rumsfeld «non punibile»

Torture, in Iraq si può: Rumsfeld «non punibile»

di Franco Pantarelli - 31/03/2007

 
Donald Rumsfeld è colpevole del reato di tortura, ma non è perseguibile. L'ex ministro della Difesa americano, nonché «genio» della guerra in Iraq, è dunque stato liberato dall'accusa che due organizzazioni per la difesa dei diritti umani - Aclu e Human Rights First - avevano presentato contro di lui in nome di nove ex prigionieri di Abu Ghraib che non avevano fatto nulla (nel senso che nessun crimine è mai stato loro contestato) ma che hanno subito ugualmente il trattamento vigente in quel luogo. Nella loro denuncia raccontavano che i loro aguzzini li hanno picchiati, li hanno appesi al soffitto a testa in giù, gli hanno urinato addosso, gli hanno applicato scosse elettriche, li hanno umiliati sessualmente, li hanno bruciacchiati in varie parti del corpo, li hanno praticamente sepolti in cellette in cui non potevano neanche muoversi e li hanno terrorizzati con false esecuzioni.
Liberato, Rumsfeld, ma non sollevato. La motivazione con cui il giudice federale Thomas Hogan ha dichiarato la sua non punibilità è infatti allo stesso tempo una durissima requisitoria contro di lui e gli altri accusati, e cioè il generale Ricardo Sanchez, il colonnello Thomas Pappas e la generalessa Janis Karpiski che era quella direttamente «in charge» di Abu Ghraib. Se Rumsfeld non fosse quello che tutti abbiamo imparato a conoscere in questi orribili anni, dovrebbe andare a nascondersi. «Questo è caso deplorevole», dice Hogan nella sua requisitoria di 58 pagine. E aggiunge che «sarebbe bello» avere la possibilità di «usare il tribunale per correggere gli abusi di potere». Ma «nonostante l'orrore che le accuse suscitano» non ci sono i mezzi legali per perseguire Rumsfeld e gli altri. Hogan dice anche che il caso sottopostogli è «senza precedenti», ma lui si è studiato i casi in qualche modo simili e in essi ha trovato la «fonte» per respingere la richiesta di processarli.
Le basi sono due. Una è che i diritti costituzionali riconosciuti ai cittadini americani non necessariamente si applicano ai cittadini stranieri, specialmente se i fatti che essi denunciano sono avvenuti fuori dal territorio nazionale come in questo caso. L'altra è che Rumsfeld e gli altri devono essere considerati «immuni» perché la loro azione si è svolta nell'ambito dell'«azione di governo». E per essere più specifico argomenta che consentire a questo caso di andare avanti porrebbe il governo alla mercè di «ogni sorta di denunce politiche». Paradossalmente, spiega ancora, «perfino Osama bin Laden potrebbe rivolgersi al tribunale, sostenendo che almeno due presidenti hanno cercato di ammazzarlo».
Decisamente forzata, la posizione di questo giudice, il cui interesse è sembrato molto più quello di salvare capra e cavoli (la condanna nelle parole, l'assoluzione nella sostanza) che quello di fare giustizia. E infatti il commento di Lucas Guttentag, l'avvocato dell'Aclu che ha sostenuto la necessità di processare Rumsfeld e gli altri, è stato decisamente duro. «Siamo profondamente delusi da questa decisione. Nonostante il riconoscimento che la tortura è categoricamente proibita e che il trattamento subito dai nostri rappresentati costituisce una inequivocabile violazione dei diritti umani, il tribunale ha deciso che dei civili innocenti torturati dagli Stati Uniti non possono ricorrere ai tribunali americani affinche vengano puniti i responsabili di quel trattamento». E l'altro avvocato, Hina Shasmi di Human Rights First, ha aggiunto: «La libertà dalla tortura è fondamentale sia per la legge americana che per la legge internazionale. E' inammissibile che delle vittime come i nostri clienti non possano rivolgersi ai tribunali americani». In pratica, aggiunge, «questa decisione lascia un vuoto nella legge che di fatto il giudice ha riconosciuto. E ciò costituisce una pressione nei confronti del Congresso affinché questo vuoto venga colmato».
Ma è poi vero che non c'è una legge per processare Rumsfeld? Contro di lui c'è un altro procedimento in corso che potrebbe decidere esattamente il contrario. E' sotto esame in Germania, al tribunale di Karlsruhe, e in quel caso la pattuglia dei potenziali imputati è ancora più nutrita. Oltre a Rumsfeld e Sanchez, infatti, ci sono pure Alberto Gonzales, il ministro della Giustizia che in questi ha anche altro problemi, per i suoi famosi «memo» e l'ex capo della Cia George Tenet per le altrettanto famose prigioni non più segrete. Il governo tedesco, a quanto risulta, sta cercando di adoperarsi per non vedere distrutto - nel caso che questo processo vada avanti - tutto il lavoro fatto dalla povera Angela Merkel per riaggiustare i rapporti con Washington. Ma non pare che ci siano possibilità di bloccare il procedimento. La base su cui poggia, infatti, è che di fronte a un crimine contro l'umanità i confini non valgono. Lo dice il Codice dei crimini contro la legge internazionale diventato operativo in Germania nel 2002. Rumsfeld, insomma, non è ancora al sicuro.