La bolla (balla) delle "comode rate". Un revolver chiamato credito al consumo
di Fabio Dal Boni - 31/03/2007
C’è una bad bank a rischio esplosione con 90 miliardi di euro e un revolver chiamato credito al consumo
U
na bolla da novanta miliardi di euro,pronta a esplodere in comode
rate mensili. E’ la nuova smania degli
italiani, intrippati dalla rincorsa al divario
con gli altri paesi evoluti, offuscati
dai miraggi del tutto-compreso-a-interessi-
zero, istigati dal superfluo ad accatastare
debiti sottoforma di card plastificate
che a fine mese si avvitano e
innescano la bomba ad orologeria degli
interessi che dovevano essere zero e invece
si scoprono ben oltre la soglia di
usura. Il tutto nell’apparente compiacenza
del governo che si copre dietro
l’alibi di una legge, appunto sui prestiti
usurari (la 108 del 1996), che spesso
assume il tono della beffa.
Una volta c’era il mutuo o la macchina
nuova – e ci sono ancora, più di prima
– oggi si corre dietro il televisore al
plasma, la vacanza alle Maldive, il nido
privato e il fitness. Tutto a debito, naturalmente.
E senza distinzione di classi
sociali, qui anche i ricchi viaggiano in
Porsche o Bentley rateizzate. “Che ne
dici amore, ci iscriviamo all’Harbour
Club? Per due persone è scontato: costa
solo 458 euro al mese, senza interessi”.
Certo, il centro sportivo è di quelli
da supervip: piscina coperta d’inverno
e olimpionica d’estate, palestra con
personal trainer, massaggi, ristorante,
golf, campi da tennis, da calcetto e calciotto,
larghissimi spazi verdi nella grigia
periferia milanese. “Ma fanno 5.496
euro all’anno, ti rendi conto?”, mi fa
l’amico barista-tabaccaio raccontandomi
la spinta al consumo che gli arriva
dalla moglie, e che lui asseconda anche
perché il suo bancone assomiglia a
un supermarket della carta di credito
(anzi, di debito). E per rendermi la cosa
più semplice prende la calcolatrice:
“Visto che lavoro tutto il giorno dal lunedì
al sabato, all’Harbour potrò andarci
la domenica; quante ce ne sono
in anno? 52? Ma, quando c’è la partita,
quando un battesimo, poi la settimana
bianca (sempre a rate), poi i fine settimana
a Santa Margherita Ligure, Pasqua
a Sharm el Sheik, due settimane
minimo ai Caraibi, Natale dai suoceri.
Insomma se ci vado sei domeniche in
un anno è tanto. Ecco qua: mi costa 916
euro a domenica”. In realtà è più salato,
perché – cartoncino delle tariffe
2007 alla mano, prese giusto per controllare
– per un neo-iscritto (lui ci va
già da anni, dice) vanno aggiunti (“a
fondo perduto”, testuale) 3.450 euro,
che portano il conto – scritto a lettere
come negli assegni – a millequattrocentonovantuno
euro. Ma, vuoi mettere?
Sei domeniche da strafico.
L’amico tabaccaio, che accetta di rispondere
a patto di essere citato (rimarrà
deluso) e di farmi vedere come si
riempiono i moduli per avere sull’unghia
5.000 euro (per tenersi bassi) da
spendere come si vuole, è una rotella
non insignificante nella catena di montaggio
dell’indebitamento familiare.
Uno dei primi a capirlo, per esempio, fu
Gianpiero Fiorani, sì l’ex amministratore
delegato della Banca popolare di Lodi
(Bipielle), finito in disgrazia per le
scalate bancarie dell’estate dei furbetti.
Nel luglio 2002 comprò, tramite la
controllata Efibanca, il 15 per cento della
Sisal, la società di gestione di Lotto e
Superenalotto. Per quella quota pagò 40
milioni alla famiglia Molo, che all’epoca
ne possedeva il controllo. Un prezzo
decisamente alto ma il progetto che
aveva in testa valeva molto di più nei
suoi piani di espansione: attraverso la
rete capillare di sportelli e centri Sisal,
la Bipielle avrebbe potuto piazzare fondi,
azioni e chissà quali altri marchingegni
finanziari, messi effettivamente in
campo per sostenere successivi aumenti
di capitale della banca e accatastare
fieno in cascina per le scalate. “Attraverso
i quasi 20mila terminali sparsi
per l’Italia – ebbe a dire Fiorani a commento
dell’operazione – intendiamo offrire
una serie di servizi, in prospettiva
anche finanziari”. L’accordo sfociò subito
nella carta Kalibra (tuttora esistente
e certamente comoda), una sorta di carta
di credito prepagata, tipo: vai in ricevitoria,
la compri, la usi o la regali a chi
vuoi e, quando il credito è esaurito, la
butti. L’obiettivo di Fiorani, tuttavia, era
più ambizioso: distribuire servizi e prodotti
finanziari avanzati, malgrado notevoli
ostacoli normativi (relativi, per
esempio, all’offerta fuori sede) che contava
di abbattere sfruttando il sodalizio
con il governatore della Banca d’Italia,
Antonio Fazio. La ricevitoria sarebbe
diventata una centrale di smistamento
del risparmio gestito.
Del resto il portafoglio degli italiani
stava cambiando rapidamente e, se Fazio
chiuse un occhio (o ambedue), c’era
una tigre che gli istituti di casa faticavano
a cavalcare. Anzi, snobbandola, la lasciavano
preda delle big estere. Questione
di cultura se, dopo decenni a firmare
cambiali per gli acquisti a rate, stressati
dai pagherò e umiliati dal funzionario
di banca che ripeteva la solfa “niente garanzie,
niente prestito”, soltanto adesso
i capifamiglia hanno scoperto il cosiddetto
“credito al consumo”, offerto per
lo più da istituti spagnoli e francesi. La
tigre del credito al consumo ora sono
tutti lì a spronarla. Anche se si ha l’impressione
che il sistema creditizio continui
a sottovalutare il fenomeno o a fare
orecchie da mercante sui possibili effetti
dirompenti sul quadro familiare, che
negli anni Sessanta era sostanzialmente
povero ma senza debiti e oggi è almeno
instabile e pieno di debiti: secondo i dati
Bankitalia nel novembre 2006 sono
stati accordati prestiti per 431 miliardi
di euro, il 10 per cento in più rispetto all’anno
prima, il 50 per cento in più rispetto
al 2002. Il tasso d’indebitamento
complessivo delle famiglie italiane (a
breve e lungo termine) è balzato nel periodo
1999-2005 dal 31,1 al 43,4 per cento.
Poco male, si dirà: le passività sul reddito
disponibile sono ancora basse (43,4
per cento, appunto) rispetto al 113,7 del
Regno Unito, al 96,7 della Germania, al
93,2 della Spagna e al 59,7 della Francia.
Il nuovo governatore, Mario Draghi, per
ora ha assunto il “low profile” e nelle
Considerazioni finali sul 2006 lette ai
banchieri alla sua prima uscita, il 31
maggio scorso, ha scelto toni vagamente
elogiativi della corsa alle rate, con un
unico accenno al credito al consumo:
“Trainata dalla moneta unica e dalla
progressiva armonizzazione regolamentare,
l’integrazione dei mercati bancari
europei riceve impulso dall’evoluzione
dell’ambiente competitivo. Vi contribuisce
lo sviluppo del credito al consumo e
più in generale dei prodotti per le famiglie,
caratterizzati da una progressiva
standardizzazione nel disegno e nella
tecnologia. La loro distribuzione su larga
scala ne risulta incentivata; il valore
delle reti distributive esistenti ne è accresciuto.
L’Italia, dove le famiglie hanno
un livello contenuto d’indebitamento
e attività finanziarie ancora non molto
diversificate, costituisce un mercato attraente”.
Ed è proprio l’attestazione di
“livello contenuto d’indebitamento” a
lasciare perplessi nonostante i numeri
cinesi degli inglesi. Vedremo se quest’anno
l’ufficio studi gli mostrerà dati
ancora rassicuranti. Intanto, il credito al
consumo gioca con le carte di debito “revolving”
(ribattezzate dal tabaccaio “carte
revolver”) e con un fenomeno esponenziale,
per cui si ricorre a una revolving
per coprire i buchi fatti con la revolving
precedente e si rischia di finire
sull’orlo della bancarotta e, non di rado,
nelle mani degli strozzini.
Torniamo, allora, alla bolla da 90 miliardi:
a tanto ammontano nel 2006, secondo
un’indagine Assofin-Crif-Prometeia,
le consistenze del credito al consumo,
cresciute del 17,6 per cento rispetto
al 2005, che a sua volta aveva segnato
un incremento del 20,8 per cento
sul 2004. Anche l'Osservatorio McKinsey
– Il Sole 24 Ore di recente pubblicazione
prevede grafici col turbo: più 55
per cento dal 2005 al 2010, quando lo
stock supererà i 130 miliardi. I numeri
– spiega il rapporto – non sono quelli
della Gran Bretagna (340 miliardi la stima
a tre anni), ma la marcia è innescata:
il ricorso ai finanziamenti a rate è
pari all’8,7 per cento dei consumi, inferiore
alla media del 13,6 per cento nell’Europa
a quindici. “Fino a qualche
anno fa – afferma il rapporto – l’indebitamento
in Italia veniva visto come un
peccato. Oggi non più. Nei prossimi anni
i consumatori italiani oltrepasseranno
frontiere già esplorate in altri paesi.
La casa da bene rifugio si trasformerà
in uno strumento di liquidità: in gergo
si chiama “home equity release” e consente
di utilizzare l’immobile come garanzia
per ottenere finanziamenti. Ma
anche una nuova carta di credito ritagliata
su misura per scegliere la modalità
di pagamento – rateale o a saldo – a
seconda dell’acquisto”.
Un altro fronte, tutto nazionale, è
quello della cessione del quinto dello
stipendio che nel 2006 ha registrato uno
scatto dei flussi erogati del 28 per cento.
Come dice il nome, si tratta della possibilità
di ottenere un prestito e di rimborsarlo
facendosi trattenere in busta
paga fino a un massimo del 20 per cento
– un quinto, appunto – dello stipendio
o della pensione (senza intaccare l’importo
del trattamento previdenziale minimo).
Rappresenta circa il 6 per cento
del mercato del credito al consumo,
quando lo si richiede non occorre indicare
l’uso che si intende fare del denaro
e la somma viene erogata in una
quindicina di giorni. Per farsi un’idea,
per un prestito di 20mila euro si può arrivare
a rimborsare in tutto più di 32mila
euro, pagando 120 rate mensili da 270
euro l’una. Lo strumento, proprio perché
agganciato allo stipendio, non crea
l’effetto moltiplicativo delle carte revolving
ma contribuisce – se sommato ad
altre forme di affidamento – a tagliare
la capacità di una famiglia a rimborsare
i capitali ottenuti e soprattutto a fermare
la locomotiva degli interessi.
La possibilità di rimborsare un tanto
al mese le proprie spese ha un costo da
non sottovalutare: il tasso annuo effettivo
raramente scende sotto il 15 per cento.
Eppure l’assumere debiti sembra
contagioso, un’epidemia che moltiplica
gli annunci e le (false) promesse su cui
vanno a sbattere il naso e gli occhi,
ovunque si girino: “Soldi subito”, “cash
pronta cassa”, “prestiti per tutti”, “rata
piccola porta bene”, “fido facile”. A dominare
il mercato sono ancora i gruppi
esteri: leader è Findomestic, società
controllata con quote paritetiche dalla
francese Bnp Paribas e dalla Cassa di
Risparmio di Firenze, che nel 2005 ha finanziato
prestiti per un valore superiore
ai 5,5 miliardi, seguita da Deutsche
Bank-Prestitempo e Agos. La prima,
controllata dalla banca tedesca, ha concesso
fidi per 4,2 miliardi; la seconda fa
capo al transalpino Crédit Agricole ne
ha erogati per 3,75 miliardi. Poi ci sono
Clarima Banca (gruppo UniCredit, con
3 miliardi), FiatSava (specializzata nelle
rate per l’acquisto di auto Fiat, con
2,5 miliardi), la spagnola Santander
Consumer Finconsumo (2,45 miliardi) e
Fiditalia (controllata dalla francese Société
Générale, con 2,35 miliardi) e le
italiane Bipitalia Ducato, Neos e Consum.
it. Ciò che tira e attira di più, come
detto, è la carta di credito revolving: un
mezzo di pagamento alternativo al contante,
che generalmente prevede il rimborso
del saldo accumulato in rate mensili
di importo prefissato. L’importo della
rata può essere stabilito dal possessore
della card, entro una forbice stabilita
da chi l’ha emessa. Tutto si paga a rate,
dalla dentiera alla parcella dell’avvocato
divorzista; presto, anche i funerali
si rateizzeranno con la “revolver
card”. Il vero trionfo della “revolver”,
comunque, si riscontra al supermercato
(di casa nelle catene Cityper, Pam, Panorama,
Sidis), dai grossisti di elettronica
(Comet, Euronics, Media World,
Trony), nei megastore di abbigliamento
(Benetton) o di mobili per la casa (Ikea,
Europa Divani, Poltrone & Sofà).
Così, sale anche il rischio per le finanziarie
di scornarsi con le frodi creditizie:
nel primo quadrimestre 2006,
secondo i dati della società di ricerche
Crif, si sono registrate almeno 8.000
truffe, per una perdita di circa 50 milioni
di euro. La forma elementare di raggiro
è quella di chiedere il prestito con
documenti falsi o, più spesso, rubati.
Fino a un paio di anni fa i dati personali
del debitore, con relativi curriculum
creditizi, erano archiviati nelle “centrali
rischi”. Ora si chiamano Sistemi di
informazioni creditizie (Sic) e altro non
sono che liste nere dove finisce chi non
rimborsa le rate: sia che si tratti di un
cattivo pagatore o semplicemente un
ritardatario, sia che si tratti di insolvenza
cronica. Una volta schedati è difficilissimo
riuscire a lavare la macchia,
peggio delle cambiali protestate. Si entra
nel girone delle “bad bank” e non si
esce più. Invece, dal prestito salvavita
alla malavita il salto è piuttosto facile,
perché accanto a un affare che si sviluppa
troppo in fretta spesso fiorisce
un mercato parallelo dove regna l’illegalità.
Nel mirino della vigilanza è finito,
per esempio, il caso Padova, dove risiedono
molte finanziarie specializzate
nei prestiti personali. Nulla d’irregolare
finora, non si tratta di un agglomerato
di cravattari di professione né d’infiltrazione
della cosiddetta “banca della
camorra”. Ma l’elevato numero di società
ha destato qualche sospetto, più
di quanto siano terminati sotto la lente
delle autorità di vigilanza o di pubblica
sicurezza i tassi praticati dal finanziatore
di turno.
D’altra parte i criteri di legge per decidere
se il prestito è da usura oggi gridano
vendetta: si dia un’occhiata alla tabella
pubblicata dal ministero dell’Interno
sui tassi praticati alla clientela da
enti riconosciuti e rilevati dall’Ufficio
italiano cambi. Per “anticipi, sconti
commerciali, crediti personali e altri finanziamenti
effettuati dagli intermediari
non bancari” il tasso medio è del
17,33 per cento (12,47 su base annua): da
“strozzo”, ma secondo la legge l’usura
scatta se quel tasso è aumentato della
metà, ossia al 25,995. Per “prestiti contro
cessione del quinto dello stipendio” la
media del 20,08 per cento, non è considerata
usura fino a poco più del 30 per
cento. Per “prestiti finalizzati all’acquisto
rateale” è stato rilevato il 16,71 per
cento per importi fino a 1.500 euro, del
16,07 da 1.500 a 5.000 euro e del 10,18 per
somme superiori ai 5.000 euro. Il giro
del fumo dunque è questo: sul mercato
del credito i tassi sono alti perché sono
alti e che colpa avranno mai la Banca
d’Italia che li autorizza, l’Ufficio italiano
cambi che li rileva e il ministero dell’Interno
che invece – legge alla mano –
non li vede poi così alti? Afferma il sottosegretario
all’Interno Ettore Rosato
dal sito del ministero: “La nostra determinazione
è di non rassegnarci a considerare
questa situazione come immodificabile,
a non cedere alla tentazione di
credere che, soprattutto in alcune parti
d’Italia, racket e usura sono fenomeni
inestirpabili”. Perché non cominciare
con una sistematina a quella legge vecchia
di dieci anni, ma distante anni luce
dal paese reale? L’Italia ha il passo
della lumaca, comunque anche da noi
sono arrivati i prestiti via Internet o i
microcrediti sullo stile di Muhammad
Yunus per dare soldi senza garanzie ai
nullatenenti per aiutarli a creare delle
attività (invenzione che è valsa all’economista
del Bangladesh il Nobel per la
pace nel 2006). Qualcosina da rivedere
dunque ci sarebbe, magari a vantaggio
dell’incauto debitore che, abituato al
porcellino di terracotta e abbagliato dai
soldi facili, tralascia (o non sa interpretare)
le clausole che firma, anche se sono
evidenti. Alzi la mano chi ha dimestichezza
con il Taeg e il Tan. Il primo (tasso
annuo effettivo globale) esprime il
costo reale del finanziamento perché è
su base annua e comprende quasi tutti
gli oneri accessori, quali le spese di
istruttoria e assicurative. A ben guardare,
il Taeg non è improbabile che scantoni
verso il limite dell’usura “reale”
non quella “legale”, perciò da un dichiarato
12 per cento in poi è meglio
pensarci su due volte prima di prendere
in mano quella carta revolving. L’altro
(tasso annuo nominale) è il saggio
d’interesse applicato all’importo lordo
del prestito e non comprende oneri accessori.
Poi c’è lo scherzetto della variazione:
Taeg & Tan possono essere modificati
a piacimento da banche e finanziarie.
Ovvio, le norme impongono l’obbligo
di comunicare le variazioni per
iscritto almeno 5 giorni prima e, se le
nuove condizioni non sono ritenute soddisfacenti,
il cliente può recedere dal
contratto liquidando il prestito. Ma, viene
da sé, chi ha sul groppone un debito,
magari giunto al quarto-quinto stadio di
reiterazione (cioè, debito nuovo, maggiorato,
per pagare quelli vecchi) come
fa a ritirarsi dal gioco infernale? Col
“revolver” o si spara o spara alla finanziaria.
Col rischio di bucare la bolla.